Constatato l’imbarbarimento dei toni e insieme la sempre maggiore vischiosità dell’azione politica, a tutti i livelli, verrebbe voglia di chiedere a politici e aspiranti tali la sottoscrizione di una specie di Codice Comportamentale. Sarebbe naturalmente velleitario e di difficile applicazione perché se solo si tentasse di mettere mano alla redazione di una cosa simile ci si scontrerebbe con sensibilità molto diverse. Tuttavia è utile almeno riflettere su un problema che grava sulla vita politica di questo Paese (e non solo di questo Paese). Tento dunque di proporre questi ragionamenti.
Un primo livello di considerazione è relativo a come si concepisce la battaglia politica. Un modo sano (a mio parere il solo modo sano..) è quello di concepirla come competizione virtuosa a fare meglio dell’avversario. Come due squadre di calcio che scendono in campo per vincere e sanno entrambe che per vincere devono fare più goal degli avversari. Hanno regole condivise e riconosciute. Non è che una delle due pensa che l’altra possa segnare usando le mani e per questo si sente autorizzata a spruzzare lo spray al peperoncino sugli occhi degli avversari.. Nel dibattito politico, locale e nazionale, questo largamente non accade. L’atteggiamento di fondo è di critica aprioristica su tutto ciò che fa l’altra parte. Mai il riconoscimento che questa cosa era giusta, si poteva magari fare meglio (ecco il concetto di competizione virtuosa) ma critiche ad alzo zero solo perché l’iniziativa è dell’avversario. Eppure, soprattutto in ambito locale, gli spazi per competere virtuosamente senza demonizzarsi reciprocamente sono amplissimi. Perché il bene complessivo della comunità che si amministra deve (dovrebbe..) essere prioritario e in moltissimi casi gli obiettivi sono condivisi e si differisce semmai (e non sempre) sul come raggiungerli.
Si potrebbe obiettare che, grazie tante, è una semplice questione di bon ton, una questione di lessico e di comportamenti moderati e rispettosi. Non è proprio così in realtà, perché condurre la dialettica politica e sociale riconoscendo, in partenza almeno, la buona fede dei soggetti in campo è il classico caso in cui la forma si fa sostanza e facilita in modo sostanziale il raggiungimento di obiettivi che, ripeto, in molti casi sono comuni (proprio perché attengono al bene collettivo).
Naturalmente la questione non si esaurisce a questo livello. Sarebbe troppo semplice. Esistono circostanze in cui contrapposte forze politiche divergono legittimamente in modo radicale e talvolta ideologico sulle ricette e sulle risposte a un certo problema. Esempi a mille: l’antitesi destra/sinistra sulla politica fiscale (flat tax e patrimoniale), talune impuntature ideologiche dei cinquestelle, l’Europa, i temi etici e sovente quelli ambientali che, soprattutto in ambito locale (dove sovente si incistano sulla sindrome NIMBY) sconfinano nel fanatismo (chi scrive viene da Venezia e potrebbe citare vari esempi ma sono certo che a chiunque mi legge ne potrebbero venire in mente più di uno).
In questi casi non c’è compromesso possibile: l’unica ricetta è chiarezza delle posizioni, possibilmente facendosi carico di proporre soluzioni accettabili e concretamente realizzabili dal punto di vista delle risorse e delle ricadute sul piano sociale, economico e ambientale (il che, diciamolo, non avviene spesso) e poi contarsi: democraticamente e serenamente contarsi e procedere consequenzialmente.
Purtroppo, di norma avviene esattamente il contrario di quanto auspicabile. Nei (molti) casi in cui c’è una sostanziale condivisione degli obiettivi si ricerca lo scontro in modo artificioso e si gioca a dividersi per motivi di tornaconto politico. Viceversa, i temi davvero (e legittimamente) divisivi si evitano, si rimandano, si lasciano macerare sperando si dissolvano. Il Governo Conte ne ha fatto un’arte.
Ma sarebbe ingeneroso prendersela con il Governo in carica. In realtà l’andazzo è generale, un malcostume largamente praticato da decenni (con la colpevole complicità della carta stampata).
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