Il Pnrr va avanti. La Presidente del Consiglio, che sembra vada molto d’accordo con la Von Der Leyen e di questo ce ne rallegriamo, ci ha assicurato che le modifiche saranno accolte dalla Commissione e quindi riceveremo la terza e la quarta tranche di finanziamento previste dal Piano con probabili, significativi, effetti sull’economia reale.
Sono stati tolti soldi ai Comuni in ritardo di realizzazione, non sappiamo per quali tipi di intervento, e sono stati tolti soldi al Fondo di mitigazione del rischio idrogeologico in quanto gli interventi da realizzare avevano necessità di tempi più lunghi di quelli previsti dal Pnrr e cioè il 2026.
Detto così sembra nulla di più di una normale riprogrammazione. Diamo atto al nuovo Governo di aver lavorato diligentemente e di aver sfruttato tutte le flessibilità possibili e concordabili con la Commissione per cercare di arrivare al pieno utilizzo delle risorse. Diamo atto di una diligenza che purtroppo i Governi che si sono succeduti nella prima programmazione e quindi nella gestione del Pnrr non avevano avuto, riempiendo un po’, senza un serio avvallo tecnico, il Piano di progetti irrealizzabili negli stretti tempi previsti.
Forse con questa “correzione” in corso d’opera riusciremo ad arrivare alla fine. E rendiconteremo spese per un valore abbastanza prossimo ai 191 miliardi inneggiando così allo “spirito italico” che riesce sempre, nei momenti di difficoltà, a mettere in campo il meglio di sé per raggiungere obiettivi sfidanti.
Il periodo di Piano si può far coincidere con i 5 anni che vanno dal 2022 al 2026. E quindi 200 milioni in cinque anni danno un flusso annuo intorno ai 40 miliardi. Non poco se questa massa di risorse si riversasse quasi completamente sugli investimenti e se fosse per gran parte aggiuntiva del volume di investimenti che l’Italia ha realizzato in media negli ultimi anni. Si potrebbe assistere pressochè ad un raddoppio degli investimenti pubblici uscendo finalmente da quote da depressione che hanno, ahinoi , caratterizzato il paese nell’ultimo decennio.
Ma c’è uno spirito di “rinascita” e di “rilancio” del ruolo pubblico come innovatore e investitore in grado di accompagnare questo eventuale nuovo flusso di investimenti come strumento, non unico, di ripresa e di resilienza dell’Italia? Non sembra. Le Riforme che dovevano accompagnare i soldi facevano parte integrante di questa strategia ma ci pare di leggere, sui programmi e le realizzazioni di questo Governo, un qualche elemento di difficoltà. Ci sono temi che non vengono minimamente affrontati o se lo sono restano alla superficie.
Il primo grande tema è la costruzione di una “macchina pubblica” per realizzare le opere e gli investimenti necessari al paese. Non se ne puo’ più di lotta alla Burocrazia, di decreti Semplificazione e di Revisione del Codice degli Appalti. Non c’è un “sistema macchina” ed è inutile semplificare le procedure se non c’è un guidatore, un’automobile e un’autostrada, benzinai e meccanici sul percorso, qualche autogrill, pattuglie di polizia, centraline per il Sos e riscossori dei pedaggi. Inutile cercare scorciatoie o parzialità: o si costruisce il sistema macchina o in Italia si faranno le cose più “facili” e non le cose “più utili”. Il “taglio al dissesto idrogeologico” non è un caso e non è l’unica défaillance del paese.
Il secondo grande tema è lo sviluppo della concorrenza e la eliminazione di “lacci e lacciuoli” inutili che rallentano il paese. I tassisti o i balneari sono il fenomeno più visibile e che il cittadino tocca con mano. Ma i casi di mercati mancanti, di norme di favore per gruppi e gruppetti, di inefficienze e rendite da assenza di concorrenza sono numerose e diffuse in tutti i settori dell’economia. Bisogna fare qualcosa di serio e importante.
Il terzo grande tema è l’innovazione nel sistema pubblico dei servizi. Scuola e Sanità stanno mostrando grandi difficoltà anche in territori un tempo ritenuti all’avanguardia del paese. Inutile prendersela con i politici o con i pubblici dipendenti “tout court”. E’ il sistema del monopolio, o quasi monopolio, pubblico nella gestione del welfare che va ripensato. Rifuggendo da slogan come la “privatizzazione dei servizi” o “la difesa del sistema pubblico” intesa come la battaglia di Stalingrado contro le truppe del “Mercato”. Il tema è come dare “empowerment” ai cittadini, che sono gli utilizzatori finali dei servizi, dando loro le armi del controllo e della scelta fra alternative diverse e diversamente gestite.
L’ultimo grande tema è come lavorare in Italia per sostenere le piccole imprese e in particolare le imprese nascenti per “spin off” o “idee imprenditoriali” senza creare svantaggi strutturali alla crescita dimensionale che non riguarda solo il numero di dipendenti ma anche e di più il volume di affari e di ricerca scientifica e tecnologica e quindi l’organizzazione e il sistema relazionale. Come paese abbiamo bisogno di rafforzare le strutture industriali e di servizio che sono più capaci di innovazione, di formazione dei dipendenti, di livello salariale e di investimenti innovativi. Fra il sistema di oligopoli e la massa di piccole imprese è bene cominciare a supportare quelle “medie imprese” che sono più adatte a stare sui mercati globali che sono sempre più complessi.
Questi appena accennati sono temi rilevanti per la ripresa e la resilienza del paese. C’è qualcuno che, insieme alla discussione sul Pnrr, ne sta discutendo? C’è un dibattito fra forze politiche e sociali nel paese? A questo doveva servire il Pnrr. Ed invece il Pnrr è passato come un volume di soldi da spendere un po’ come va. Il tema vero non sono i settori su cui investire. Sono i nodi su cui investire che avrebbero dovuto sviluppare l’attenzione e quindi catalizzare gli interventi. Non è andata così. Spendiamo questi soldi e, come diceva Keynes, anche fare buche per terra talvolta può servire per far crescere il paese. Ma il suo era solo un “paradosso”.
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