Più spesso di quanto si immagini è possibile imbattersi in un museo durante la lettura di un libro, sia questo anche un romanzo. Succede soprattutto nella letteratura straniera, più raramente in quella nostrana; anche questo mette in luce la differenza di valore e di uso che, in diversi contesti culturali, è data a questa istituzione.
Un museo lo troviamo anche in due dei più classici romanzi del Novecento italiano: “Il fu Mattia Pascal” e “La coscienza di Zeno”, ma come per la maggior parte dei casi la citazione tende a perdersi tra le pieghe della narrazione. Quando, invece, gli scrittori o le scrittrici affrontano direttamente il museo nascono pagine più appassionate e stimolanti come quelle che è possibile leggere in un libro di recente uscita per Sellerio dal titolo “Pezzi da museo”. Sono, infatti, qui raccolti ventidue tra i trentotto articoli usciti su “Intelligent Life”, un’importante rivista culturale, commissionati ad altrettanti noti autori. Ancora una volta si dimostrata come nella cultura anglosassone il museo sia un luogo ben presente, un luogo a cui è data grande attenzione, un’attenzione che è possibile ritrovare, ad esempio, anche in alcuni film di Woody Allen. Chi voglia conoscere piccoli e originali musei sparsi nel mondo, questo è il libro che fa per lui; perché se tutti gli scrittori sono piuttosto ben noti, i musei che raccontano non lo sono, ad esclusione del solo Prado. Per l’Italia, anche se non è una questione di rappresentanza nazionale, sono presenti due istituzioni e già dalla loro non scontata notorietà è possibile intuire anche la personalità degli altri diciannove. I due musei in questione sono: il Museo delle Pietre dure a Firenze e Villa San Michele a Capri. A voi scoprire gli altri. Perché il proseguo di queste brevi note si limita ad alcune considerazioni di carattere generale, comuni ai diversi “pezzi”, in modo da poter assurgere questo libro a un indiretto ed involontario, ma comunque utile, “manuale” di museologia.
Contrariamente a quanto avviene nel dibattito pubblico intorno ai musei, soprattutto a partire dagli anni novanta del secolo scorso, nessuno degli scrittori si sofferma sull’edificio e sull’architettura del museo. L’effetto Bilbao con l’apertura del Guggenheim di Gehry nel 1997 per vent’anni sogno e incubo, rispettivamente dei politici e dei direttori di museo, sembra in queste pagine aver perso quote. Allo stesso modo nessuno racconta i loro acquisti presso il bookshop né il loro pranzo, o il riposo meritato durante la visita, presso la caffetteria; luoghi di un’accoglienza che ancora una volta hanno occupato per molto tempo le riflessioni degli addetti ai lavori con l’illusione, ancora una volta da parte soprattutto della politica, che dopo la loro apertura il pubblico sarebbe affluito numeroso. Anche l’auditel dei visitatori in queste pagine non sembra interessare a nessuno e non certo perché sia ricercato quel lato snob che vuole il museo come luogo di pochi. O perché questi musei siano da classificare con l’aggettivo minore, cosa che non può distinguere nessun museo, anche il più piccolo. Tutte le pratiche di quanto ora viene detto audience development sono lasciate, giustamente, ad altre e più mirate pubblicazioni. Certo, tutti questi sono argomenti importanti, ma forse andrebbero trattati con maggior cautela e in una visione più complessa rispetto a quel dibattito intorno al museo che soprattutto in Italia sembra essere una spicciola chiacchierata post prandiale. E di questo gli scrittori in questione hanno coscienza, non si avventurano in campi che non sono i propri.
Quello che invece da queste ventidue cronache emerge come importante, e che troppo spesso è da tutti dimenticato, è la magia che sanno suscitare le collezioni; quello che prende corpo nell’esperienza di ciascuno degli scrittori durante la loro visita; il fascino di quelle opere che vivono davanti ai loro occhi ma ancor di più nel loro linguaggio come interpretazione di un qualcosa che vive soltanto in loro, al di là dell’interpretazione ufficiale dell’opera che è soltanto una tra le tante. È quel modo di vivere in libertà, con spregiudicatezza, una collezione, un racconto di un’epoca piuttosto che alcuni oggetti materiali che questi uomini di lettere mettono in risalto. Quello che per paura e soggezione del luogo non sono purtroppo in grado di fare molti visitatori: saper cogliere quella scintilla di stupore nell’opera per dare vita al proprio racconto, fatto di memoria e altri saperi. E molti musei per il modo in cui sono ordinati non li aiutano certo a fare. Ma quello che ancor più colpisce in questo libro è che per tutti il passeggiare nel museo che descrivono è un qualcosa che si ripete nel tempo, è un ritorno in uno spazio che già altre volte li ha visti protagonisti. Se rileggere un libro, o rivedere un film fa scoprire sempre cose diverse, anche visitare più volte uno stesso museo ampia le frontiere delle nostre scoperte. E questi “pezzi” lo raccontano bene. La vera sfida per ogni museo, ma soprattutto per tutti coloro che ci lavorano, è riportare più volte nelle sale lo spettatore, contrariamente a quanto si legge ne “La coscienza di Zeno” e che, nonostante in questi ultimi anni si assista a una crescita dei pubblici anche nel nostro paese, può essere ancora assunto al più tipico pensiero italiano: “Meno male che i musei si incontrano in viaggio di nozze eppoi mai più.”
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