Di fronte all’aggressione islamista, quella che usa gli esplosivi, le autobombe, le decapitazioni, molti si rifiutano di nominare le cose come sono. Il sistema dei media svuota del loro significato gli attacchi terroristici e imporre il tema del lupo solitario, dell’assassino squilibrato, del camionista pazzo.
In Europa pochi hanno osato criticare l’islam radicale ed è stato anche il silenzio a permettere che la radicalizzazione si diffondesse in Germania, in Belgio, in Olanda, in Svezia e soprattutto in Francia come descriveGeorges Bensoussan nel libro da lui curato, Une France soumise.
Accusare di “islamofobia” come è capitato allo stesso Bensoussan- chiunque non voglia abdicare al compito di capire il mondo del fanatismo islamico per indicare con chiarezza le sue contraddizioni significa circoscrivere a priori il terreno del lecito, di ciò che è giusto e non è giusto dire.
Si accusa di islamofobia chi ha il coraggio di guardare i fenomeni storici e sociali per quello che sono e chi riconosce quegli “sconvenienti” legami tra Islam, terrore e immigrazione.
Nel suo ultimo libro Un racisme imaginairePascal Bruckner denuncia con forza l’odio e la violenza contro i musulmani ma contesta la nozione equivoca di “islamofobia”, un’arma usata per soffocare il dibattito. Da oltre vent’anni, scrive Bruckner, siamo testimoni della costruzione di un nuovo delitto di opinione simile a quello che veniva rinfacciato ai dissidenti, etichettati come “nemici del popolo” dagli intellettuali organici dei regimi comunisti.
Le accuse, oltre a limitare la libertà d’espressione, ottengono il risultato di bloccare ogni tentativo di riforma nel mondo musulmano, isolando come islamofobochi vorrebbe, anche tra gli stessi mussulmani, denunciare le derive islamiste di una minoranza bellicosa che si fortifica in nome di una presunta autentica interpretazione della fede.
Nei confronti del terrorismo islamista abbiamo ottime probabilità di perdere la battaglia non a causa della mancanza di mezzi militari o per scarsità dell’intelligence, ma a causa di un grave deficit culturale e comunicativo che ci impedisce di chiamare le cose con il loro nome e se non si riconosce il nemico è impossibile sconfiggerlo.
Uno scontro da cui dipende il futuro di un’Europa sempre più permeata dalla diversità culturale: un punto di forza, se non fosse che gli integralisti islamici rivendicano come arma contundente contro le società aperte.
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