Lo so che in Politica non esistono i sogni che si avverano. Ma quando il sogno è così “modesto” come il mio, chiederei una licenza. Io vorrei una cosa semplice ma molto utile. Che un giorno di questi, nel pieno della “bagarre populista” fra uno sberleffo di Salvini e una risposta acida di Di Maio, si svegliasse Calenda e sulle orme del “sommo poeta” recitasse: Matteo, i’ vorrei che tu e Emma ed io fossimo presi per incantamento e messi in un vasel, ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio. Insomma che Calenda, dismessa l’ascia da guerra che giustamente ha dissotterrato per combattere contro populisti, poltronisti, incompetenti e nullapensanti, si ponesse l’obiettivo ambizioso e difficile di costruire in Italia un partito liberaldemocratico, saldamente europeista e fondato sulle tante competenze a disposizione del paese. Sia a livello centrale che nei tanti territori della penisola. E per costruire un partito liberaldemocratico serio, in grado di competere sull’egemonia culturale prima che politica nei confronti di una parte “non marginale” dell’opinione pubblica più “evoluta”, non basta un piccolo partito del leader ma occorre mettere assieme tutte le forze vive che, pur con mille sfumature, difetti e arretramenti parlano un linguaggio comune sui grandi temi del paese.
La sfida non è banale. Cosa significa costruire un partito liberaldemocratico, europeista e meritocratico? In un paese come l’Italia che ha sempre “scansato” ogni approccio liberale, che ha da tempo scambiato l’Europeismo con l’adesione ad un gruppo di autosostegno e che ha spesso declinato la politica come risposta ai bisogni e al merito (come non ricordarsi dell’intervento del giovane Martelli alla Conferenza Programmatica del Psi di Rimini del 1982) ma poi puntando quasi esclusivamente sull’assistenzialismo e sull’egualitarismo verso il basso.
In Italia c’è bisogno di liberaldemocrazia. Lo Stato è asfissiante, burocratico ed inefficiente. Copre troppi spazi, li copre male e mortifica così ogni spinta verso l’innovazione istituzionale e la libera iniziativa come risposta anche ai bisogni sociali e collettivi. Ed invece ci vuole uno Stato più snello, che faccia meno e controlli di più. E controlli veramente con assiduità, con onestà e con competenza. Abbiamo bisogno di più privato e di più terzi, quarti e quinti settori. Non ne possiamo davvero più di un settore pubblico sfiduciato, delegittimato e sempre in difesa di presunti o reali privilegi. Vogliamo, come consumatori, poter scegliere di più. E vogliamo che la perequazione sociale avvenga per via di rafforzamento di potere economico delle famiglie e dei singoli in difficoltà e non attraverso una offerta pubblica standardizzata e non personalizzata.
L’Europa ci serve. Ma non come bancomat o come elemento di sostegno nelle difficoltà ma ci serve come spazio politico ed economico della nostra azione nel mondo globale. Per questo essere europeisti oggi non significa essere per questa Europa. Che brilla per assenza come motore di sviluppo e come soggetto di politica internazionale. Vogliamo un’Europa più attiva, capace di fare politiche vere di sviluppo e di crescita per tutto il continente e politiche di rilancio di investimenti in campo ambientale, infrastrutturale e sociale. Oltre ovviamente a sostenere le imprese in campo economico e della ricerca e innovazione. Il “finto” Piano Junker non ci è bastato. Non vorremmo assistere ad un nuovo “finto” piano verde con il New green deal. Insomma, più Europa si, ma Europa svegliati. Prima che sia troppo tardi.
Ed infine il merito, la competenza, il sapere di eccellenza e diffuso. La politica si è oramai dimenticata di questi temi. Il sapere non sembra più importante né nella selezione politica, sempre più affidata a elementi fiduciari con capi e capetti di periferia, né nella valutazione del corpo sociale da parte della politica. Si può diventare interlocutori del Governo con curriculum risibili, manager pubblici senza aver mai gestito nulla e consulenti strategici non avendo mai fatto alcuna strategia su alcunché. E il modello politico poi tende a fare scuola un po’ ovunque. E poi ci si meraviglia che gli imprenditori puntino sul basso costo del lavoro e non sulla qualità delle risorse umane e sulle tecnologie innovative. Per fortuna del paese non tutti e non ovunque. Ma la battaglia per il merito deve continuare non solo nella parte enunciativa ma finalmente nella parte realizzativa di un nuovo sistema di valutazione e di selezione delle persone. Sia in politica che nella società.
Insomma, un partito veramente, e non solo sedicente, liberaldemocratico ha la vita dura in Italia. Lo sappiano bene. Ecco perché non si può non pensare a mettere assieme tutti i pezzetti del puzzle oggi esistente. E se si tratta di aggregare non c’è solo Calenda, Renzi e la Bonino. Ma c’è Sala, Gori, Parisi, Carfagna, Richetti, Cottarelli e tanti altri ancora.
Conosco, anche fra i sostenitori di Calenda, di Renzi e della Bonino, le obiezioni. Ma “loro” non la pensano come noi. “Noi” siamo coerenti e “loro” no. “Loro” stanno al Governo coi grillini. “Loro” pensano solo alle poltrone. Ma “Lui” non è affidabile. E così via. Obiezioni giuste. E fondate sulla voglia di cambiamento vero. E sulla volontà forte e ripetuta da più parti di questo mondo di puntare al massimo della qualità del personale politico. Ma se si vuole costruire un “blocco” liberaldemocratico importante, capace di incidere nella realtà, la strada della divisione non è accettabile. C’è semmai in questa fase di turbolenza una possibilità diversa dalla “fusione a freddo” di cose ad oggi diverse sia per programmi, che per personale politico e strategia. Ed è la strada, in qualche modo avviata con l’esperienza pugliese che speriamo sia foriera di novità positive, della alleanza fra partiti e movimenti che rimangono autonomi. Quindi non un “abbraccio mortale” dentro una stessa casa ma incontri, non necessari ma possibili, giocati sulla capacità di ogni soggetto di crescere per sé stesso e di crescere come capacità di aggregazione con altri che possono essere politicamente vicini. Insomma, non un partito unico ma una federazione liberaldemocratica. Dove ognuno lotta per l’egemonia all’interno dell’alleanza ma coopera nello stesso tempo per la crescita collettiva della federazione nel consenso degli elettori.
È una strada da percorrere. Guai ad insistere nell’isolamento e nella crescita solitaria. Il rischio è di venir schiacciati dagli opposti populismi di destra e di sinistra. E questo sarebbe imperdonabile per chi crede nel cambiamento profondo del paese per uscire dal lento, ma inesorabile, declino generato dalla vittoria dell’assistenzialismo e della decrescita felice.
Graziano Bonacchi
la Federazione liberal-democratica come intende “federare” anche il PD?
Ammesso che riesca a federare i componenti richiamati e sollecitati da Grassi !!! E che voglia federare anche il PD!
“Vasto programma” avrebbe esclamato De Gaulle!
Comunque sia, sono interessato agli approfondimenti che vorrete inviarmi.
Vediamo.
I socialisti sono curiosi ed io sono socialista ; iscritto al PSI dal ’70 al ’94 , E socialista lo sono ancora! .
Dopo il,’94 ho provato , insieme a Valdo Spini a ” mettere insieme ” un movimento ( o partito!) “laburista .
Anche se , a me , Tony Blair non è mai piaciuto molto!
Comunque è stata una esperienza molto aperta , peraltro utile e necessaria , per contrastare , Berlusconi ecc ecc
Alla fine , diciamo nel ’98 , ho aderito ai DS ; ma, nel 2007, non ho accettato di aderire al PD , perchè non ho condiviso quella ” fusione a freddo” … ecc ecc.
Quindi sono rimasto senza partito , ma non disimpegnato , fino a quando , pochi mesi fa , ho deciso di iscrivermi al PD, pur sapendo che avrei trovato una situazione vicina al collasso .
Qualcosa di me : sono chimico e non ho mai interrotto la mia attività di chimico esercitata : prima , per quasi 30 anni , nel laboratorio di ricerca di una Industria farmaceutica fiorentina ( Malesci) , quindi , per quasi 10 anni , in Direzione ARPAT , come Responsabile del Settore qualità applicata ai laboratori di prova provinciali della Agenzia.
Ed, infine , svolgendo attività di consulenza ( formazione) , per laboratori pubblici e privati .
Ho avuto incarichi sia nel PSI che nei DS ; sono stato Consigliere comunale PSI a Pistoia ( dal’85 al ’94) e Consigliere provinciale ( DS dal 2004 al 2007 e poi dal 2007 al 2009 ).
Per un breve periodo ( due anni ’90-’92) sono stato Assessore all’Urbanistica ed alla Edilizia privata del Comune di Pistoia.