Il vero vulnus per il PD della scissione di Renzi non è quello di aver portato via, almeno per ora, un piccolo gruppo di parlamentari, comunque decisivi per raggiungere la maggioranza, ma quello, ben più grave, di aver portato via un progetto di partito e una visione di società.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Privo dell’anima riformista, nessuno fra quelli rimasti del vecchio gruppo renziano ha la statura di leader, il Partito democratico è costretto a rispolverare vecchie ricette o peggio ancora, gli esempi ormai non si contano più, ad andare a rimorchio dei 5 Stelle che un loro modello di partito e di società, seppure perversi, ce l’hanno. Di conseguenza l’azione del Governo o risulta tutta sbilanciata sul lato grillino, emblematico che Casaleggio, un imprenditore privato, vada a parlare all’ONU con il sostegno dell’Esecutivo, o procede a tentoni con un colpo al cerchio e una alla botte, con una limatura qua e una là, senza che si percepisca un disegno unitario che non sia quello ragionieristico di far quadrare almeno per il momento i conti.
L’immagine che viene fuori è quella di un Paese che sta giocando tutto in difesa, che non ha il coraggio di andare all’attacco per affrontare i problemi vecchi e nuovi con una visione d’insieme che abbia la potenzialità di risolverli una volta per tutti. Certo, anche esponendosi al rischio di un insuccesso, come del resto è stato nel caso del referendum del 2016, ma che almeno dia la percezione alle persone che c’è il desiderio di giocare la partita. Come nel calcio, se stai sempre in difesa un gol finisci per prenderlo, magari all’ultimo minuto.
Le prime indiscrezioni sulla manovra economica sono lì a confermare quest’impressione. Ancora una volta si punta su spesa in deficit e assistenzialismo. Si litiga e si discute solo su questo e non invece su come risparmiare e favorire la crescita.
E’ un concetto che sembrerebbe semplice ma che forse non lo è: se vogliamo redistribuire le risorse in un modo più equo bisogna prima di tutto preoccuparsi di farle crescere. Se la coperta resta sempre quella, tirandola da una parte si ottiene solo di scoprirne un’altra.
L’Italia è in una crisi profonda. Servono riforme radicali che riportino il Paese a quella crescita stabile e duratura che manca da 20 anni, serve una guida politica moderna che tenga saldamente la barra in Europa, serve una forza di sinistra riformista, attenta al merito, alla crescita e al mercato e, proprio per questo, anche più capace di dare delle risposte vere ai bisogni, serve un progetto e una visione per l’Italia di domani.
Il piccolo cabotaggio non basta più. E questa è la ragione di fondo per cui il destino di questa maggioranza è segnato, indipendentemente dalle sirene che suonano da più parti, ultima quella di Paolo Mieli con un fondo sul Corriere del 30 settembre.
Negli anni a cavallo fra gli ’80 e i ‘90, quando Craxi tentò di modernizzare il Paese, chi aveva interesse a non cambiare le rendite di posizione esistenti sfruttò a suo vantaggio il problema della corruzione e, pur cambiando gli attori, tutto rimase fermo. Oggi le stesse forze, per ottenere lo stesso risultato, puntano a costituzionalizzare i grillini attraverso l’accordo con il PD.
Non sarà una battaglia facile e soprattutto non sarà breve. Ma se non si inizia mai a combatterla non ci sarà nemmeno la speranza di vincerla.
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