Al termine delle complesse e lunghe procedure previste dallo Statuto, con un ampio consenso Nicola Zingaretti è stato eletto segretario del Partito Democratico.
Come leader della principale forza di opposizione al governo di coalizione tra Movimento 5 Stelle e Lega, porta una grande responsabilità perché deve costruire il consenso attorno ad un progetto politico che rappresenti una concreta alternativa.
Per questo appare di una qualche utilità cercare di comprendere meglio il significato di alcuni temi che sono stati messi in evidenza nel dibattito pubblico.
Si può iniziare da questo «È indispensabile rimettere al centro della nostra politica la giustizia sociale”
Difficile non concordare con questo obiettivo: quale leader politico può affermare di essere indifferente alla giustizia sociale?
Un breve sguardo alla storia recente mostra come tutti i leader dei totalitarismi, che hanno segnato con il sangue il Novecento, hanno affermato di voler perseguire l’obiettivo della giustizia sociale.
Non tutti i casi dove al primo posto si è posta la giustizia sociale sono stati tanto drammatici: in Argentina si è affermato (e continua a vivere ancora oggi) un movimento che porta il nome di giustizialismo per realizzare “ la giustizia sociale che dà a ciascuno il suo diritto in funzione sociale” (J. D. Peron), con esiti economici e sociali di queste politiche che hanno compromesso l’economia e la democrazia di quel paese.
Forse la giustizia sociale da sola non basta per costruire un paese migliore: in questo può aiutare riferirsi ad una icona della Sinistra italiana, il presidente Sandro Pertini : “Ma se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può mai essere barattata. Tuttavia essa diviene una fragile conquista e sarà pienamente goduta solo da una minoranza, se non riceverà il suo contenuto naturale che è la giustizia sociale”.
Il primum mobile nella società prefigurata da Pertini è la libertà, che ha bisogno della giustizia sociale. Ma libertà in quale dimensione? È noto il dibattitto sul rapporto tra libertà economica e libertà politica: chi le ritenne e le ritiene inscindibilmente legate, chi sostiene che può esserci libertà economica, ovvero il mercato, anche in assenza di libertà politica (si cita la Cina a questo proposito, secondo me ancora una espressione di dispotismo asiatico ai tempi della rete) ma non viceversa, non può esserci libertà politica senza libertà economica.
Se c’è libertà – e quindi competizione tra persone che dispongono di talenti naturali diversi, ivi compresa una diversa capacità di apprendere – cosa si fa? L’uguaglianza dei cittadini deve essere garantita alla partenza, assicurando a tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità, soprattutto in termini sostanziali, e poi accettando la disuguaglianza all’arrivo dei percorsi di vita, responsabilmente intervenendo per attenuarla ed assicurare a ciascuno i diritti fondamentali? A tutti, anche a chi non intende impegnarsi per contribuire al mantenimento ed al miglioramento della società e sceglie come opzione di vita il divano?
Oppure la competizione è manifestazione del demonio – variamente denominato da capitalismo a liberismo selvaggio – e, in quanto tale, non devono esistere premi o ricompense per i migliori ma todos caballeros: nella scuola si promuovono tutti e non di danno voti, nel lavoro i premi di produttività sono distribuiti in misura uguale (egualitarismo che passione!), sia a chi si impegna sia a chi fa il lavativo?
Nella sua millenaria storia la Chiesa si è confrontata con questo tema giungendo a conclusioni assai più meditate: vale la pena di rileggere il Catechismo ufficiale:
1936 L’uomo, venendo al mondo, non dispone di tutto ciò che è necessario allo sviluppo della propria vita, corporale e spirituale. Ha bisogno degli altri. Si notano differenze legate all’età, alle capacità fisiche, alle attitudini intellettuali o morali, agli scambi di cui ciascuno ha potuto beneficiare, alla distribuzione delle ricchezze I « talenti » non sono distribuiti in misura eguale.
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« Io distribuisco le virtù tanto differentemente, che non do tutto ad ognuno, ma a chi l’una a chi l’altra. […] A chi darò principalmente la carità, a chi la giustizia, a chi l’umiltà, a chi una fede viva. […] E così ho dato molti doni e grazie di virtù, spirituali e temporali, con tale diversità, che non tutto ho comunicato ad una sola persona, affinché voi foste costretti ad usare carità l’uno con l’altro. […] Io volli che l’uno avesse bisogno dell’altro e tutti fossero miei ministri nel dispensare le grazie e i doni da me ricevuti » (S. Caterina da Siena)
Per dirne una e concludere con un riferimento concreto, la cancellazione di fatto della buona scuola è esattamente l’opposto di una buona politica per ridurre la disuguaglianza sociale: con tutti i suoi limiti cercava di rendere più produttivi i talenti dei giovani per attrezzarli meglio di fronte al futuro ed al rischio di crescenti disuguaglianze, si è scelto di affossarla per privilegiare i diritti di oggi delle corporazioni che da sempre frenano il cambiamento e rubano il futuro ai giovani.
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