La lettera di Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha sollevato il dibattito sul patriarcato: «I “mostri” non sono malati, sono figli sani del patriarcato» ha detto Elena “ ….Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’ amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto” Le parole a volte sono macigni e le parole di questa giovane donna che il macigno lo ha nel cuore, ancor di più.
Il dibattito , al solito prestato a slogan e social , ha preso l’avvio televisivo sul patriarcato di governo a cui la nostra Presidente del Consiglio ha risposto muscolarmente esponendo una foto familiare composta da quattro generazioni di donne, a dimostrazione della sua lontananza da qualsiasi “cultura patriarcale”. Ora è noto che le generalizzazioni non rendono un buon servizio alla comprensione perché soprattutto in ambito antropologico, tutto è più complesso e più sfumato.
Il Patriarcato è una parola di derivazione greca composta da πατήρ, padre, e άρχης, derivato di ἄρχω, essere a capo ,comandare, che letteralmente significa “governo o dominio del padre”, anche nel senso della protezione, termine utilizzato, in senso più ampio, per indicare l’ordinamento sociale in cui autorità e potere sono tradizionalmente concentrati nelle mani degli individui maschili più anziani. Oggi, il termine si riferisce più generalmente al sistema sociale in cui il potere è prevalentemente detenuto da uomini adulti.
Un costume antico se pensiamo che Aristotele, teorico del dominio maschile sulle donne, dipingeva queste ultime come moralmente, intellettualmente e fisicamente inferiori agli uomini, precisando come il ruolo delle donne nella società coincidesse con la riproduzione e nel servire gli uomini in casa. Secondo alcune teorie marxiste, sviluppate in maniera differente da Friedrich Engels e Karl Marx, il patriarcato sarebbe nato a causa di una primitiva divisione del lavoro in cui le donne si prendevano cura della casa e gli uomini dell’approvvigionamento di cibo attraverso l’agricoltura. Dopo lo sviluppo del capitalismo, il regno della produzione sarebbe stato monetizzato e stimato maggiormente rispetto al regno della casa, mai valorizzato.
E se la Patria terra dei padri diventasse Matria datrice di vita?
La confusione di tesi e antitesi commette anche un altro errore, parlando di matriarcato quale patriarcato al contrario, ovvero “comando delle donne”. Heide Goettner Abendroth, che al matriarcato ha dedicato tutta la sua vita e carriera diventando fondatrice dei moderni studi sul tema, ci dona una lettura assai diversa di matriarcato quale semplice contrapposizione al patriarcato, ovvero quello dell’interpretazione dell’ arché come inizio, “iniziamo dalle madri ” per ridefinire i concetti e diventare consapevoli che un altro modo di leggere il mondo è possibile. La prima scultura di forma umana che si conosca fu realizzata 35 mila anni fa. La statuina scoperta nel 2008 rappresenta una donna grassa, con seni spropositati, natiche grandi e sporgenti e una vulva accentuata. Era con tutta probabilità una divinità femminile, da portare al collo. Se a quei tempi la divinità principale era femmina, il ruolo delle donne doveva essere importante, non inferiore a quello dei maschi. Anzi, per tutto il Paleolitico, specialmente di 20 mila anni fa, le cosiddette Veneri, statuine ritrovate in Europa e Asia, hanno rimarcato il concetto del “dio femmina”. Tali tesi ritengono reale il matriarcato in epoca neolitica, riconoscendo l’esistenza di un capo supremo donna e, in generale, delle donne come capi-famiglia.
La svolta al patriarcato avvenne in quanto la guerra era diventata una forma di economia e la forza maschile era molto più importante; per fare in modo che le terre possedute e conquistate restassero ai propri discendenti, i maschi pretesero la sicurezza della paternità e per questo iniziarono a segregare le donne. Le sacerdotesse vennero subordinate ai sacerdoti.
Potremmo continuare a lungo , ma semplifico dicendo di aver sperimentato personalmente cosa volesse dire essere figlia di un padre autocrate che negli anni 60 insegnava, senza tanti giri di parole , che il potere in casa lo esercitava chi “ portava a casa i soldi” e di una madre , immensa certo , ma succube. Come si diceva, banalizzando ma non troppo, “agli uomini i calzoni del comando, alle donne il grembiule della cucina”.
E oggi a che punto siamo? Se guardiamo il numero di donne che non ha intestato un conto corrente pari al 42%, paiono dimostrare una sudditanza patrimoniale e una fragilità finanziaria che non sembra essere stata minimamente intaccata dal Sessantotto, dal femminismo, dalla rivoluzione sessuale di mezzo secolo fa.
Ma tutto questo che ha a che fare con il dibattito sulla povera Giulia? Sono molte le donne che sostengono che la congiuntura del patriarcato come privilegio e la concezione della donna come proprietà, finisca per sfociare in una “cultura dello stupro” in cui lo stupro e altre forme di violenza verso le donne sono riconosciute come la norma all’interno dell’ordine sociale.
Ora credo davvero che una società più al femminile sarebbe costruita su un sistema di equità , più ugualitaria, meno corrotta e meno accumulativa, una società di maggior reciprocità.
Ciò basterebbe a fermare la carneficina? Certamente no, ma l’attenuerebbe avere uomini capaci di vedere che la società patriarcale ha fallito e che i valori del femminile sono da inserire all’interno di ogni contesto sociale: il prendersi cura, il generare amore, la capacità che abbiamo di saperci occupare di più cose contemporaneamente. In questo le parole di Elena appaiono potenti, nella capacità di risvegliare le menti degli uomini capaci di fermare la violenza di altri uomini sulle donne e di rivalutare ogni giorno il valore delle donne in ogni campo.
Il delitto di Filippo, che non nasce da un raptus improvviso, ma è maturato nel tempo, se non è figlio del patriarcato è certamente figlio del narcisismo. Non nasce certo nell’ambito di un amore ( parola davvero abusata) ma di una relazione narcisistica in cui l’altro non è “un altro”, ma ha solo una funzione in relazione a te stesso. La vita di Giulia, modello di efficienza, capacità e sicuramente di temperamento e volontà a cui lui non poteva arrivare, dimostra che la sua “è inferiore” e dunque insopportabile.
Dobbiamo domandarci con urgenza, tutti e tutte, se nelle nostre famiglie e nella nostra comunità stiamo dando esempi di dignità, perché prima di giudicare gli altri dobbiamo preoccuparci di essere un buon esempio e perché un grammo di buon esempio vale più di quintali di parole.
Solo così Giulia non sarà morta invano.
Giovanni Cominelli
Mi pare un’analisi ineccepibile. Più che il patriarcato, poté la percezione di sé come Io assoluto.
A volte si combinano: residue educazioni patriarcali (per lo più fornite dalle mamme al figlio maschio!) e nuovi narcisismi!
giovanni
Daniele Carozzi
Credo che oggi si voglia crocifiggere il patriarcato, o addossare ad esso colpe non sue. Il patriarcato era, fino a metà del Novecento, un insieme di famiglie discendenti da quella del patriarca, i cui figli creavano a loro volta famiglia e prole. Teniamo conto che a quel tempo ogni coppia metteva al mondo una media di quattro – cinque figli e questi, a loro volta, altrettanti. La famiglia patriarcale, formata quindi da nonno, figli e nipoti, poteva arrivare al numero ragguardevole di 50, o 60 individui fra maschi e femmine. Orbene, in tempi di uno stato sociale carente se non assolutamente mancante, e di una economia prevalentemente agricola o veteroindustriale, dove il lavoro non era premere alcuni tasti o comandi, ma immane sforzo fisico e quindi demandato agli uomini, il lavoro di casa con lavaggio dei panni, acquisto di alimenti ed educazione dei numerosi figli era necessariamente lasciato donna. Il patriarcato fu dunque assistenza tra famiglie, condivisione di impegni e responsabilità, crescita dei figli e mutuo soccorso tra famiglie per ogni genere di necessità. Il patriarca aveva l’autorità e l’autorevolezza per gestire, secondo esperienza e saggezza, questo mondo di lavoro e di sentimenti. E, dietro le quinte, la donna era assolutamente ascoltata dal patriarca. Il patriarcato non era perfetto? Qualche patriarca avrà commesso errori? Forse, ma sicuramente un simile assetto sociale dava garanzie, rapporto umano, protezione e sicurezze. Vogliamo parlare di quella che oggi viene definita “famiglia allargata”? Con le sue fragilità, errori passati, ambiguità e carenze affettive? Per concludere, credo che la violenza di taluni uomini nei confronti delle donne dipenda da due sostanziali motivi. Gli uomini maturi nell’età, non hanno talvolta accettato la veloce emancipazione femminile verificatasi negli ultimi decenni. Emancipazione in molti casi positiva e di notevole e benefico apporto per la società umana. In altri casi, purtroppo, uno scimmiottamento dei peggiori difetti dell’uomo nel tentativo di competere con il medesimo. L’altro motivo, che riguarda soprattutto la fascia del maschio giovane, è probabilmente dovuta al fatto di una ormai riconosciuta fragilità generazionale. Giovani viziati, coccolati, iperprotetti, non abituati a sentirsi dire dei “no”. E, come sappiamo, l’altra faccia della fragilità è la violenza. Per concludere, nell’omicidio di donne (che non è “femminicidio” perché con il prefisso “omo” i latini già intendevano entrambi i sessi), ritengo che nella violenza sulle donne il patriarcato c’entri come i cavoli a merenda. E la sua chiamata in causa sia dovuta soltanto a pura ignoranza storica.
Guerino Biscaro
Una società più al femminile sarebbe costruita su un sistema di equità, più ugualitaria, meno corrotta e meno accumulativa, una società di maggior reciprocità? Boh! non si sa esattamente come è nato, chi lo ha creato o da dove sia venuto questo benedetto UOMO ma si sa esattamente che questo UOMO maschile o femminile conserva o nasconde reminescenze primordiali. Prima di giudicare gli altri o tirarci fuori dal problema, dobbiamo preoccuparci di essere un buon esempio e perché un atto di buon esempio vale più di migliaia di parole.
R. Catola
Ma quale patriarcato? Sono tutte balle diffuse dal vittimismo femministra e accolte acriticamente dalla sinistra radicale. Dimenticato il capitalismo, ecco il patriarcato a far compagnia alle rivendicazioni woke e agli incubi intersezionali importati dall’anglosfera. I maschi, anche italiani, erano molto più violenti in passato. Oggi i femminicidi sono una minima percentuale e per le donne l’Italia è uno dei paesi più sicuri d’Europa, il che significa del mondo. Le cifre starnazzate dalle femniniste sono ingannevoli: includono donne uccise da donne, bambine uccise dalla madre, vittime di entrambi i sessi di faide famigliari, vittime di rapine o di maniaci occasionali, nonché anziane malate terminali uccise per pietà dal coniuge che poi quasi sempre si suicida. I femminicidi passionali sono poche decine, per di più in buona parte commessi da immigrati. tutti, però, vengono tacitamente caricati sulle spalle del maschio italiano, violento e brutale. L’importante è fare massa critica, altrimento il lamento non funziona. Sono piccole cose che vanno ricordate, perché la grancassa del femminismo radicale (quello che ignora il femminicidio di massa di Hamas) finisce per influenzare anche la legge, con conseguenti. fenomeni di ingiusta colpevolizzazione del maschio. D’accordo, anche un solo femminicidio è eccessivo, ma si dica e si sappia che gli uomini assassinati sono molto più numerosi, che i morti sul lavoro sono essenzialmente uomini e che, per quando in misura minore, anche le donne uccidono i compagni.
Daniele Carozzi
Sottoscrivo anche le virgole! Questa apologia al femminile è stupida e ridicola. Le donne valide, che stimiamo e apprezziamo, non scimmiottano i peggiori difetti degli uomini. Ma sono se’ stesse.