C’è un po’ da perdere la pazienza: è ferma al palo in Italia la costruzione di un partito (o movimento? o area?) liberal democratico, collegato con analoghi in Europa , più o meno come quello che Federico Moro delinea nel suo decalogo, pur chiamandolo ‘liberal socialismo’ ( ma la sostanza è la stessa). (https://www.luminosigiorni.it/2023/04/dieci-passi-per-la-rivoluzione-democratica/). L’esito, concluso, sembrerebbe, con un divorzio, della ridicola disputa tra Renzi e Calenda, iniziata quando questo editoriale era scritto per metà, è solo l’ultimo tassello di una questione irrisolta che ha radici lontane e che non riguarda certo solo questi due sedicenti partiti e i loro due sedicenti leader, due bischeri in realtà, direbbero in Toscana, che non ne vogliono sapere di abbandonare l’età dell’infanzia. Infatti….Ma vediamo.
ANTEFATTO
Prendendola larga, e questo è l’antefatto, è al palo perché il PD da un pezzo, e di recente in via definitiva, ha abbandonato questa identità fondativa verso altre prospettive; che potranno anche rilanciarlo con una ventata di novità, ma non certo in direzione liberaldemocratica. E va bè, era una svolta prevedibile, al limite fa chiarezza e sai con chi hai a che fare. In questo caso più che perdere la pazienza si è persa da tempo la speranza. Sull’altro versante Forza Italia ha solo sbandierato al suo esordio trent’anni fa un’identità liberale (addirittura “di massa”) di facciata, lasciando stabilmente in piedi solo una innata predisposizione liberista in economia, che è tutt’altra cosa, una ‘cosa’ semmai antiliberale. E qui la partita non si è mai aperta.
LA PAZIENZA E’ FINITA
Prendendola più stretta, e questa è invece attualità, è al palo perché, persa, almeno per ora e per un bel pò, la partita liberaldemocratica del PD nel suo insieme, mai nata quella per Forza Italia, troppo nel presente ci si è affidati per costruirlo alle sorti e alle intenzioni/annunci del duo Renzi-Calenda e alle loro paturnie. E qui, con questi due, c’è veramente da perdere, e tanto, la pazienza. Ogni volta che costoro hanno aperto bocca, attorno a loro sono calati i potenziali consensi e aumentati esponenzialmente le distanze, sia dei potenziali interlocutori politici/partitici, sia soprattutto dei potenziali sostenitori di un adulto esperimento, che si prefigga un’egemonia non solo politica, ma anche culturale nel senso più esteso della parola. Questo, che non esito – e lo vedremo- a chiamare ‘popolo’, eternamente orfano, resta senza parole di fronte al comportamento reciproco non solo dei due, ma anche della folta schiera delle reciproche seconde linee nazionali, ma il verdetto verso di loro, che è lo stesso con cui concluderemo questa amara riflessione, era già stato preso di fonte a tutte le numerose avvisaglie o qualcosa di più di avvisaglie, manifesatesi in questi ultimi anni dell’era Covid. Si fossero rimessi d’accordo o se lo faranno nulla di ciò che si pensa di loro sarebbe cambiato.
C’è da credere per tante ragioni che i sostenitori potenziali di un’idea libarldemocratica occupino una vasta area sociale, teoricamente disponibile a una linea politica aperta, democratica, liberale ma molto attenta al sociale (nei limiti del possibile), pragmatica e non settaria/ideologica; europeista per convinzione, ma, per come si stanno mettendo le cose internazionali, anche per realismo; un’area ridotta al silenzio, ‘silenziosa’ appunto, perché, dopo averlo trovato in Draghi, si trova in totale assenza di un riferimento credibile che le dia piena rappresentanza.
CREDIBILITA’ E AFFIDABILITA’ FINITA
Il duo RC, di cui sopra, credibile e soprattutto affidabile, se lo è mai stato, ha smesso di esserlo, e non val la pena perdere qui spazio per enumerare, prima ancora dello showdown di queste ore, le cappelle, i narcisismi, le scelte personali e/o di carriera, le dichiarazioni/commenti, alcuni opinabili e gratuiti, quanto inutili, gli ondeggiamenti, i voltafaccia, i ri-posizionamenti, le sovraesposizioni che il duo ha inanellato. L’ultima è che vogliono hanno divorziato, sarà vero non sarà vero, chissà? Domani potrebbero smentire tutto e alla sera stessa confermare tutto, ma chi gli crede? E, ciò nonostante, si può dire che i loro contenuti, questo il paradosso, sono sufficientemente chiari e non sono in discussione, perché sostanzialmente in linea, salvo dettagli, con un’impostazione liberaldemocratica. Il fatto è che i buoni contenuti non bastano, se non si hanno le idee chiare su dove andare e se rimangono rinchiusi dentro alla ‘ridotta militare’ di nanetti partitocratici, dalla spiccata vocazione correntizia prima ancora di esistere unitari, figuriamoci un domani in un partito unico.
CI VUOL (BEN) ALTRO
Anche l’idea, per nulla peregrina, espressa sovente da Calenda, di ottenere una quota di consensi in grado di imporre, con questo balordo sistema elettorale semi proporzionale, governi di larghe intese stabili, alla Draghi-Monti per capirci (e con qualcosa in più di solidità), necessiterebbe di un respiro e di una mobilitazione sideralmente più ampia e di una ben maggiore capacità comunicativa. Per dare la necessaria garanzia a chi giustamente come elettore e portatore di consenso la pretende per qualcosa di non ancora sperimentato, visto che le buone idee non bastano a dar garanzie, e l’affidabilità delle persone al comando diventa decisiva. Per contare ed essere decisivi poi un partito con le suddette aspirazioni egemoniche dovrebbe poter andare nei consensi in doppia cifra, più vicina al 20 che al 10. E in questo momento è una prospettiva che in quella ‘ridotta’ si può solo guardare col binocolo. Con due binocoli dopo ciò che è accaduto slo poche ore fa, e lo vedremo subito nei sondaggi.
QUADRI LOCALI IMPRESENTABILI
Non parliamo di come l’accoppiata Azione/Italia Viva è tradotta a livello di enti locali, dove nelle sfide elettorali conta ancor di più la persona e la solidità della sua idea programmatica. Perché a quel livello l’elettore potenzialmente liberal, se va a votare, manda a quel paese un Calenda/Renzi nel simbolo, se solo solo la figura presentata dagli altri due poli è potabile e affidabile. Perché allora il voto utile lo si rischia più volentieri, anche affidandolo a simboli che proprio non sarebbero il suo (il suo dell’elettore intendo); sia verso destra che verso sinistra. Questo poi viene accentuato, nella traduzione locale, dalla tipologia del personale politico che si è reso disponibile a rappresentare Azione/Italia Viva, costituito sovente da riciclati, talvolta, spiace dirlo, diventati a lungo andare sempre più impresentabili. Non tutti ovviamente, tanto è vero che localmente molti dei semplici iscritti si son ben guardati dal parteggiare e quelli che lo stanno facendo esprimono esattamente l’impresentabilità di cui sopra, un bel test per vedere con chi si aveva a che fare.
PIANO A: FARE DA SOLI
La domanda a questo punto è questa: si può costituire un vasto movimento politico senza dover partire necessariamente da un riferimento partitico o bi-partitico precostituito? Teoricamente si, idealmente sarebbe addirittura il processo migliore, la via maestra, un piano A tutto da inventare. Perché non c’è nessun obbligo di impiccarsi ad una formula politica legata a una fusione sommatoria di due siglette, con il fiato così corto. Se ne sta rendendo conto anche una testata di un certo prestigio come l’Inkiesta, che ha avuto più pazienza, con articoli esortativi verso i due partners, ma che mi pare la stia, anch’essa, perdendo.
Nella vita quotidiana, quando perdiamo la pazienza perché la persona a cui abbiamo affidato un incarico si dimostra reiteratamente inaffidabile, abbiamo uno scatto di stizza, la scostiamo, magari un tantino bruscamente, sibilando tra i denti “…lascia stare, faccio io, che è meglio”. Certo, frase facile a dirsi e anche a farsi nella vita quotidiana, complicatissimo a farsi nella sfera attinente alla politica se non si posseggono risorse personali in abbondanza per fare da sè; e non alludo alle capacità, che sono un pre-requisito, ma a quelle risorse strutturali ed economiche che ogni singolo raramente possiede. Oltre al fatto che la persona dimostratasi inaffidabile non si fa facilmente scostare (fuor di metafora il duo Renzi Calenda) e rimane lì impalato a far danni, sostenuto dalla sua roboante presunzione (che al duo non manca certo).
Però a questo punto, perso per perso, val la pena provarci, perché per quell’altra via non si va a parer mio da nessuna parte, e si ottiene l’effetto opposto di aggiungere frustrazioni a frustrazioni. Con una rete da tessere pazientemente di contatti bisognerebbe, uso volutamente il condizionale, operare una chiamata a raccolta del mondo liberaldemocratico, sia quello che già si auto ritiene tale, sia quello che non ne ha contezza ma che lo è potenzialmente come figura sociale ed economica. E c’è ragione di credere che soprattutto questa seconda fisionomia allarghi di molto le potenzialità di un pensiero applicato all’azione. C’è chi ci ha già provato e penso alla convention tenuta a Milano dal LIBERAL FORUM e di cui ci ha dato conto su LUMINOSI GIORNI il nostro Nicolò Compostella (https://www.luminosigiorni.it/2022/12/liberal-forum/). Può essere l’esempio da seguire, se non addirittura il contenitore nuovo già costituito e bell’e fatto?
Il dato è questo: c’è tutto un mondo silente che, mi si scusi la rudezza, ne ha le palle piene di un bipolarismo feroce, tutto di impostazione ideologico/identitaria. Tale è l’impostazione della destra, e lo si vede anche nei primi passi del governo italiano, tutto concentrato nell’impugnare atti e scelte che identifichino il suo popolo, tenuto insieme da poche parole d’ordine, che vanno continuamente alimentate e appagate. Ma tale è anche per il movimentismo della cosiddetta sinistra, oggi incarnata con un profilo sicuramente più alto dalla Schlein, che tuttavia necessita di altrettante bandiere da sventolare, incurante della realizzabilità concreta di ciò che quello sventolio di bandiere propone. Tutto questo mondo, che ne ha le palle piene, quanto è vasto?
L’ESEMPIO FRANCESE E I NUMERI POTENZIALI DEL CONSENSO LIBERALDEM
Per capire l’ampiezza di un’area sociale quanto meno potenzialmente sensibile ad un messaggio liberal democratico, si veda quel che sta ancora succedendo in queste ore in Francia; un paese cugino anche nelle radicalità ideologiche, che laggiù continuamente si alimentano sempre un tot più alte che in Italia.
C’è in Francia una proposta sensata di innalzamento delle pensioni, per altro moderato, graduale, non per tutti, e soprattutto fino a una ragionevole età, 64 anni; che in Italia è già stata superata per legge da un pezzo, con un innalzamento a suo tempo ben più alto e ben più brusco, avviato in un amen dal martedì al mercoledì dall’allora ministra Fornero. Perché il problemino della spesa pubblica non è una bazzecola anche in Francia. (considero lo welfare un caposaldo della liberaldemocrazia, ma non può sempre e per sempre “pagare Pantalone”). Ebbene i mass media anche nostrani sventolano i sondaggi sul consenso verso il vasto movimento di protesta oltranzista contro questa sensatezza di Macron assegnandogli il dato di oltre il 60% dei Francesi. E infatti il movimento, alla faccia del bipolarismo di due blocchi sinistra/destra che si dicono incompatibili, è messo in piazza da due fronti, destra estrema e sinistra populista ( leggi Le Pen e Melanchon), improvvisamente, guarda caso, compatibilissimi nella comune demagogia di piazza. Nessuno riflette che il 40% dei francesi silenziosamente è invece favorevole a questa sensata riforma. E sembra poco il 40%? In quelle condizioni miracolosamente è un numero alto. Ed è l’esatta rappresentazione numerica di una vasta area trasversale, messa sotto dalla protervia e dall’arroganza dei demagoghi e troppo prigioniera della propria innata mitezza.
C’è da credere che quella stessa percentuale, punto più punto meno, sia traducibile nella stessa quantità anche in Italia, ma resta congelata, a differenza che in Francia dove almeno c’è Macron bene o male a rappresentarla, dall’inaffidabilità dei partiti che potrebbero darle voce. Tre quarti di quella disponibilità potenziale, al momento del voto non va a votare, o, come già detto dianzi, più verosimilmente s’incammina riluttante ma fatalista verso uno dei due poli opposti.
LA LINEA DI +EUROPA
Se n’è convinto un partito a questo punto più coerente, seppure senza molta fantasia, come +Europa, che ha scelto deliberatamente la collocazione in un polo dove far lievitare le sue battaglie civili e sui diritti. Un lavoro che quel partito sa fare bene, anche perché temprato da decenni dalla sua componente radicale. È una comprensibile, e fino un certo punto, anche apprezzabile scelta di mero posizionamento, in cui far crescere lentamente la propria nicchia, senza oscillazioni e ondeggiamenti. Un calcolo che ha un senso, e che al momento consegna giustamente a +Europa una reputazione decisamente migliore del duo inaffidabile; anche se poi inevitabilmente +Europa sarà costretta al silenzio e ad umiliarsi quando il demagogismo di sinistra dirà la sua sulla guerra, sul nucleare, sui termovalorizzatori, sui conti pubblici e sulle opere pubbliche, e non potrà far finta di niente. Si potrebbe dire: contenti loro. Io a quel punto non sarei così propenso ad accontentarmi, seppure altre vie siano di difficile, seppure non impossibile, praticabilità
L’AUTOCONVOCAZIONE E’ PERCORRIBILE ?
Resta difficile dire se questa potenziale autoconvocazione liberaldemocratica, liberata dalle sigle, totalmente libera, l’ideale piano A, sia una via percorribile e realizzabile, al di là di un semplice convegno autoconvocato, la cui si spinta propulsiva potrebbe esaurirsi nello spazio di un mattino. Sondare, cercare e valutare non costa nulla, se non la ‘rottura di palle’ di consultare per l’ennesima volta agende, di stilare liste di nomi, di provare a sondare disponibilità, senza alcuna certezza di un risultato.
AMBIZIONE EGEMONICA
Vedremo, ma una cosa dev’essere chiara. La fisionomia e l’identità valoriale, prima ancora che politica, non può e non deve più avere come rappresentazione nominale il termine Terzo Polo e men che meno Centro. E non è solo un fatto nominale, ma di sostanza. Il fatto che il binomio destra sinistra sia ormai da ritenersi inadeguato ad esprimere la complessità e la pluralità di tutte le opzioni politiche, non significa che ci si debba individuare come ‘terzi’ o utilizzando le sempiterne categorie spaziali, perché l’ambizione dev’essere più alta. Perché dovrebbe puntare ad un ruolo di egemonia. Qualcosa che permea di sé la società e che non può essere ridotta ad una sigla.
La liberal democrazia l’egemonia già la svolge di fatto perché si identifica con l’assetto sociale e civile garantito dalle costituzioni democratiche del mondo occidentale e da chi le protegge anche dalle aggressioni interne; di solito, queste si, provenienti dalla destra sempre tentata nel suo complesso dall’esser sovversiva. Ma a volte anche dalle aggressioni ‘dolci’ di chi, come certa sinistra populista, le Costituzioni le accetta a parole e poi le contraddice su punti qualificanti.
La liberaldemocrazia in verità è la cornice e la sostanza della vita quotidiana della stragrande maggioranza della popolazione europea; che può circolare libera senza polizie alle spalle, che può esprimere dissenso ogni volta che ne ha voglia, che si regge sulle regole che limitano la libertà individuale solo quando, e i casi sono tantissimi, lede la libertà altrui. Regole, cioè, come garanzia di libertà vera per tutti. Teoricamente dovrebbe ottenere ogni volta maggioranze schiaccianti, come lo erano quelle che approvarono quelle costituzioni democratiche. Così non è perché i demagoghi le utilizzano a la carte, le Costituzioni, quando fanno comodo a salvaguardare i loro parziali principi. La difficoltà però è indurre a riflessione la troppo variegata società italiana (ed europea) sulla convenienza ad avvallare, con una maggioranza politica, la stabilità della propria vita quotidiana, sola garanzia per poi migliorare con riforme incisive, realistiche e praticabili, condizioni di vita per molti ancora precarie. Ce la può fare un partito nuovo per quanto ‘vergine’ da pregressi partitocratici e nato da un movimento spontaneo?
PIANO B: LA LOBBY TRASVERSALE
La difficoltà di cui sopra potrebbe indurre anche a un piano B, altrettanto ambizioso, ma più percorribile. Qualcosa che, come una influente lobby, tiene unita trasversalmente tutta la cultura liberal democratica che pure si divide elettoralmente e si distribuisce nei poli esistenti, per assenza di alternative praticabili in proprio. Per esempio, lo hanno fatto, dopo la fine della Democrazia Cristiana, i cattolici sui loro presunti valori non negoziabili; non senza difficoltà, ma lo hanno fatto portando a casa risultati, certo, buoni per loro (e non per tutti e non per noi); l’ha fatto fino ad un certo punto anche il mondo ambientalista con certe battaglie, anche queste non tutte condivisibili, ma efficaci soprattutto quando c’è da opporsi ad un’opera infrastrutturale. Persino i cacciatori continuano a mettere insieme in un fronte interpartitico il pur discutibile loro interesse traversale. Altri casi noti ci sarebbero. Certamente una buona parte dell’elettorato PD e, più carsico, per quanto minoritario, della destra di governo, possiede questa identità valoriale. La versione migliore di un’ipotesi lobbistica e trasversale del genere potrebbe avere margini per condizionare le scelte creando maggioranze ogni volta variabili e che portano a casa risultati che si traducono in incisive riforme. Anche questa è egemonia. Con un impegno in più, vale a dire quello di mantenere continuamente aperto il canale del dialogo traversale agli schieramenti, basato sulla pragmaticità delle scelte caso per caso. Per le quali non crea scandalo essere insieme su una cosa e divisi su un’altra. E in cui viene messa al bando la delegittimazione sistematica che opposizioni e maggioranze utilizzano a piene mani per interessi di propaganda.
PIANO C AL CAPOLINEA
Mi rendo conto di una certa difficoltà anche di un piano del genere e persino della fragilità nell’essere percepito; il già citato piano A, il fare da soli autoconvocandosi, se riuscisse sarebbe di gran lunga migliore. Ciò che, per me è certo è che il piano, diventato piano C, di affidarsi a una fusione fredda di due sigle, nate logore come Italia Viva e Azione, e proseguite in declino, per quanto mi riguarda, al momento è una soluzione da ritenersi fallita e, per quanto nulla sia mai irreversibile, e quand’anche tornasse di attualità sotto altre spoglie, arrivata ad un capolinea, rendendo ininfluente l’esito della telenovela circa la rottura o la ricomposizione della frattura tra i due, perchè nell’uno e nell’altro caso con loro o solo affidandosi a loro, al momento, si è chiuso. Poi si sa, le vie del Signore….eccetera.
(articolo ripreso dal periodico online www.luminosigiorni.it)
Maria Acomanni
Mettere sullo stesso piano Renzi e Calenda equivale a dire che la cioccolata è uguale alla !
Dove Renzi è la cioccolate e………..
Gloria Pianigiani
Mah ..su Calenda ha ragione, su Renzi ha dei pregiudizi.