E’ finita anche la 10a Leopolda. Non voglio fare una analisi ma solo buttare là alcune impressioni da persona interessata alla cosa ma non coinvolta nel “movimento leopoldino” come succedeva nelle precedenti esperienze. Sono infatti, e lo dico per inquadrare la collocazione di chi vive e racconta una impressione, fuori dal PD ma non dentro il percorso di Italia viva. Insomma, allo stato attuale, mi ritengo un “apolide del centrosinistra” in attesa di un nuovo contenitore che sia realmente liberaldemocratico nella struttura ideale, innovativo nell’approccio e democratico nel modello organizzativo. Mi sa che l’attesa sarà lunga. Ma non dispero. Attendo “cose nuove” da soggetti come Renzi ma anche come Calenda, Bonino, Sala, Carfagna e altri che, lo spero, si aggiungeranno alla “schiera” liberaldemocratica. Certo nella misura in cui abbandoneranno la stretta osservazione del proprio “ombelico” e cominceranno a pensare seriamente a costruire una alternativa politica nel paese fra il sovranismo di destra, il populismo grillino e il tardo, e stanco, socialdemocratismo della sinistra.
E veniamo, ora, alla Leopolda. Intanto, vista dall’interno e comparata alle esperienze passate, non si può non definire un “grande successo” di pubblico. Tanti, da tante parti d’Italia e, rispetto ai precedenti incontri, con una componente che è parsa più rappresentativa del popolo e dei semplici militanti, che dei quadri politici istituzionali. Fossero questi sindaci, parlamentari, consiglieri regionali o comunali in qualche modo eletti. Questa sensazione che già si era fatta presente nella Leopolda 9 è apparsa più netta e più visibile in questa ultima edizione. Insomma a questa Leopolda ha partecipato in massa non solo il gruppo dirigente della neonata formazione, ovviamente più ristretto ad oggi, della corrente renziana dentro il PD, ma ha partecipato il nucleo iniziale dei militanti di un nuovo partito. E a giudicare dalla passione e dallo slancio rappresentato nella tre giorni, con una buona e concreta possibilità di allargare il consenso e l’adesione ad una parte più ampia della società italiana. Insomma l’impressione che si è avuta, scontato un certo “tifo” tipico della “gente della Leopolda”, è che questo partito abbia una collocazione giusta, cioè che copre uno spazio per nulla o mal rappresentato dai partiti attualmente esistenti, e che, per questo, abbia buone possibilità di espansione. Cioè il “contenuto” c’è. E il susseguirsi degli interventi ha detto anche che il contenuto è anche di buona qualità: dalla manifestazione con le “donne combattenti” di Kobane, particolarmente toccante, alla discussione sulla società digitale del futuro con Quartarelli e Barberis, dall’intervento sull’importanza della “fascia grigia” e quindi degli asili nido gratis di Isabella Conti alla presentazione del “piano Clima” di Maria Chiara Gadda. Siamo di fronte ad un partito che rappresenta una parte importante del “cervello politico pensante” del paese. E questo non è poco.
Sulla innovatività dell’approccio c’è poco da dire. Renzi è innovativo per definizione. Se c’è semmai da fare un appunto è l’eccesso di “rappresentazione” che spesso fa del suo grado di innovazione. E’ evidente che Italia viva è, riprendendo un cavallo di battaglia delle prime Leopolde, uno strumento di critica e di attacco delle giovani generazioni allo “status quo” e alla generazione che quello “status quo” ha prodotto e spesso difeso ad oltranza. Ma l’eccesso di rappresentazione muove, a mio avviso, ad uno scadimento del messaggio. A scapito poi dei contenuti che si possono, in questo campo, proporre. Renzi che presenta il simbolo circondato da ragazzi e ragazze sorridenti e festosi crea una immagine che ricorda troppo le pubblicità commerciali e poco invece la durezza dell’impegno da profondere per portare questo partito in tutta la società italiana e per farlo apprezzare anche dalle fasce più popolari. Insomma, per dirla in maniera più sintetica, l’attacco allo status quo richiede qualcosa di più di una cartolina di giovani festanti intorno al capo. Per i miei gusti preferisco un appello ai giovani a studiare, a impegnarsi , a non avere paura (cosa che non è lontano dal “sentire” di Renzi) piuttosto che una chiamata a farsi avanti con il solo “merito” della giovinezza. E su questo appello all’impegno la vecchia generazione non avrebbe più alibi per non dare una mano, per non fornire un supporto e per non facilitare l’ingresso dei più giovani nel mondo del lavoro e nel mondo che conta.
Ed infine l’organizzazione del nuovo partito. Qui la Leopolda non ha detto granchè di nuovo. A parte l’innovazione, buona da una parte (evita i controllori delle tessere) e cattiva dall’altra (porta ad un minor radicamento territoriale), del tesseramento “solo on line” non si vede molto di più. Il partito rimane il “partito del capo”. Con un gruppo dirigente interamente cooptato. Il tutto non scalabile da nessuno e con una discussione interna pressochè inesitente, se non quella richiesta e accolta dal capo. E’ il punto debole della Leopolda e del nuovo partito. Per molti “tifosi” è invece il punto di forza. E’ mia impressione che, come accade per le imprese individuali che nascono con un capo assoluto, all’inizio di un percorso questo modello è certamente vincente. I tempi di decisione sono brevi e immediati. La visione è raccolta e concentrata sull’obbiettivo. L’organizzazione risponde ad un solo messaggio: forte e chiaro. Ma come accade con le imprese individuali di successo ad un certo punto per crescere, per consolidarsi e per competere alla lunga, l’impresa individuale deve cambiare la propria organizzazione. Pena il rimanere con un partito coeso e appassionato ma poi incapace di ampliare il proprio consenso e la propria capacità di incidenza nella politica nazionale. Renzi ha già sperimentato che l’uomo solo al comando ha dei limiti. La vulgata, anche a lui cara, che la colpa dell’insuccesso sia stata quella del fuoco amico appare consolatoria. E spiega solo una parte, la più piccola, della sua caduta. Nelle conclusioni è parso lontano dal porsi questo problema. Ed è un peccato. Perchè, anche in questa Leopolda, accanto agli appassionati senza se e senza ma sono passati in tanti, o si sono informati in tanti, per capire se nell’evoluzione di un Renzi maturo c’è anche l’idea dell’abbandono dell’uomo solo al comando.
Non per andare verso i miti e i riti del partito novecentesco, che non c’è più, ma per rispondere ai tanti che pensano che un partito, anche nuovo, con forti innovazioni tecnologiche e organizzative, e anche con la grande semplificazione causata dal ruolo del leader, è pur sempre e deve comunque rimanere un’esperienza collettiva. E come tale ha bisogno dei modi adeguati e dei tempi adeguati per caratterizzarsi come esperienza collettiva democratica. La democrazia, pur semplificata e coltivata con sistemi meno rituali, è una necessità per un partito. Ancor di più per un partito liberaldemocratico. Speriamo che prima o poi Renzi ci metta un po’ di attenzione. Siamo in tanti ad attendere questa novità.
Staremo a vedere l’evoluzione di Italia viva. Con la speranza di non restare “apolidi” per tanto tempo. Sarebbe un male per il centrosinistra e, alla fine, anche per le sorti del paese.
Stefano
La delusione di essere appartenuto ad un movimento progressista che di è esaurito nell’individualità e nell’abbandono dei territori, non mi fa essere speranzoso in IV. Ad ogni modo il messaggio è forte, ma per essere anche duraturo, ha bisogno di un autocritica seria e profonda.
Speriamo
roberto
Apprezzo l’entusiasmo che hai descritto, Penso che fondare un nuovo partito possa essere una esperienza esaltante. Però sono andato sul sito di Italiaviva e francamente non ho trovato nulla di interessante, Sarà un mio limite ma io resto ancorato ai fondamentali. Voglio leggere lo statuto ed il programma per giudicare un movimento politico invece trovo una carta dei valori che è solo un elenco di buone intenzioni. Aspettiamo e speriamo che da questo movimento nasca qualcosa di utile per il paese.