Alternativi alle derive populiste, lontani dalla tendenza assistenzialista, la galassia dei soggetti autenticamente europeisti, liberali, popolari deve ritrovarsi in un progetto unico per sostenere la transizione dell’Italia. Le idee sono chiare, i leader emergeranno da soli, scrivono nella lettera aperta i primi firmatari
La positiva soluzione della crisi politica apertasi con la caduta del governo giallo rosso apre una nuova fase della vita politica italiana, nella quale il nuovo governo europeista e riformista presieduto da Draghi potrà consentire di superare le cause più profonde che hanno determinato la palude nella quale il paese è stato drammaticamente spinto negli ultimi anni.
A ben vedere molte di quelle cause affondano le loro radici nei nodi irrisolti della eterna transizione italiana, che il fallimento della riforma costituzionale del 2016 ha reso ancor più visibili e gravi nella misura in cui ha fatto franare gli sforzi, seppur deboli e contraddittori, che erano stati perseguiti dai governi di centrosinistra.
Ma l’ingovernabilità che ha paralizzato il Paese negli ultimi mesi nasce anche dalle contraddizioni interne ai principali partiti: al MoVimento 5 Stelle, la cui classe dirigente ha per lo più fallito la prova della propria istituzionalizzazione; al Centrodestra, rimasta impigliata per tutta la prima fase della crisi in un registro politico esclusivamente propagandistico; al Centrosinistra, avvitato in una discussione sempre più ideologica sulla presunta ineluttabilità di una nuova “unità della sinistra” basata su un rapporto organico con il M5S.
Per quel che riguarda in particolare il Pd, il nuovo gruppo dirigente che ha sostituito quello che si era formato attorno a Matteo Renzi, ha creduto di risalire la china di due sconfitte elettorali abbandonando la via tracciata al Lingotto di dare vita a un partito a vocazione maggioritaria, postideologico ed europeo, e ascoltando le sirene di chi descriveva il M5S come una casamatta nella quale si era rifugiato un non meglio specificato «popolo della sinistra», critico nei confronti di un partito che aveva a loro dire perduto le proprie radici di sinistra.
Per inseguire questa chimera il Pd ha tagliato i ponti con il riformismo liberal socialista sul quale fondava la sua identità originaria, per inseguire il populismo su una strada pericolosa e miope e ha tagliato i ponti con i mondi vitali del cattolicesimo democratico pensando di rappresentarli con i resti del centrismo più concentrato sul potere per il potere che sui valori.
Queste dinamiche dello spazio politico hanno avuto ripercussioni nel campo delle forze di ispirazione autenticamente europeista, riformista, liberale, socialista, popolare e democratica. Una crisi che riguarda soprattutto il lato dell’offerta politica, non quello della domanda.
La domanda c’è, ma gli elettori che non si rifugiano spaesati nell’astensione sono al momento divisi tra diverse forze politiche: Azione, Italia Viva, Più Europa, e in parte il Partito democratico e Forza Italia; e tutte si candidano a rappresentare quelle istanze.
Fuori dai partiti molte sono le realtà che operano con questi medesimi obiettivi, raccogliendo chi non trova risposte nei partiti. Vogliamo ricordarne alcune, dimenticandone certamente tantissime: Base Italia, Voce Libera, Libertàeguale, Insieme, i Circoli dell’Avanti, Demos, Volt, Alleanza Civica, Ali, Liberioltre.
L’avvento del governo Draghi può favorire la ricomposizione di questo “fronte” perché dal lato della policy può favorire la realizzazione di quelle riforme strutturali senza le quali il Recovery plan italiano resta un elenco di buoni propositi, da quello delle politics ha ricomposto in un unico campo tutte le forze che si erano divise sul sostegno o meno al Conte II.
Può così prendere forma un progetto politico di ampio respiro nel quale collocare le risorse straordinarie dell’Unione europea e la struttura della governance preposta a gestire l’esecuzione dei piani previsti, ma soprattutto finalizzarle alla rinascita e alla ricostruzione del Paese dopo un cupo decennio di crisi economiche e pandemiche.
Un progetto politico che assuma la bussola del “debito buono” (quello fatto di investimenti e non di sussidi), lanciata un anno fa dallo stesso presidente del consiglio per investire su infrastrutture, istruzione, sanità, economia circolare, sostenibilità ambientale, transizione digitale, pubblica amministrazione, giustizia, giovani, cultura, lasciandosi alle spalle quei vetusti marchingegni statalisti e assistenzialisti nell’erogazione della spesa pubblica, che costituiscono la base materiale su cui edificare sia lo scivolamento della sinistra verso il massimalismo, che quello della destra verso il sovranismo.
Se questo è il quadro, non solo si apre uno spazio d’azione notevole per le forze che per brevità chiameremo riformiste, ma le chiama anche ad una responsabilità ancora maggiore verso il Paese: è dalla loro unità di intenti e riconoscibilità che dipende il successo di quella progettualità politica che è indispensabile per guidare il Paese verso la rinascita post pandemica, davvero analoga a quella del boom economico post bellico. Se falliranno, se falliremo, sarà sempre più concreta una prospettiva di decrescita e assistenzialismo.
Ma queste forze ora non sono un campo politico coeso e riconoscibile; sono uno spazio ma non ancora una proposta e un progetto.
Questa è la sfida che hanno di fronte i soggetti che rifiutano la deriva populista e/o sovranista dei campi dove attualmente si collocano. Molti, soprattutto nel Pd, ma anche nel centrodestra si intravede qualche distinguo, stanno resistendo. Lo abbiamo visto e apprezzato anche durante le prime fasi della crisi del secondo governo Conte. Resistere, distinguersi, però non basta più. Come non ha senso la pretesa di autosufficienza dei soggetti fuori dai partiti maggiori.
È necessario, anzi urgente, uno sforzo unitario. Compete ai veri leader, se sono veramente tali, l’onere di farsi promotori del salto di qualità necessario per riconoscere che poiché l’obbiettivo politico è comune, esso va perseguito agendo di comune intento.
Lanciamo quindi un appello perché si mettano in moto: il Paese ha bisogno di uno spazio politico alternativo ai due populismi. Alternativo sia a una destra sovranista e nordista che una sinistra massimalista, giustizialista e assistenzialista. Serve uno sforzo di sintesi per andare oltre i personalismi e integrare l’offerta politica.
È difficile, ma è questo il momento più opportuno per farlo e in questo modo raccogliere le migliori energie che sono lontane dall’impegno politico diretto, nel mondo del lavoro, del sociale, dell’ambientalismo riformista e dell’impresa.
E il leader? Una vera leadership quando c’è, emerge: senza predeterminazioni, dannose proprio al processo di costruire una squadra forte e coesa.
Tutte le leadership importanti si sono forgiate sul campo. In questo caso sarà colei o colui che riuscirà a tenere insieme realtà diverse e a condurre la propria gente da un ambiente che le è familiare ad un mondo che non ha mai conosciuto.
Firmatari
Alberto De Bernardi, Alessandro Maran, Marco Campione, Isabella Conti, Emma Fattorini, Isabella Conti, Alessandro Barbano, Ada Lucia De Cesaris, Pier Camillo Falasca, Luciano Floridi, Lucia Valente, Carmelo Palma, Oscar Giannino, Sofia Ventura, Emanuela Poli, Lorenzo Dellai, Costanza Hermanin, Sergio Scalpelli, Francesco Luccisano, Silvia Zanella, Emanuela Girardi, Massimo Adinolfi, Andrea Olivero, Alfonso Pascale, Sandro Trento, Rosanna Scopelliti, Claudia Medda, Federico Ronchetti, Massimo Pesenti, Mario Rodriguez, Claudia Mancina, Giovanni Cominelli.
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