Non si sa praticamente ancora niente di scientificamente certo: non è chiaro se la nuova variante sudafricana del Covid 19 sia più infettiva (sembra di sì), o maggiormente virulenta (pare di no) delle precedenti; né è dato sapere se sia resistente al vaccino (o, meglio, ai vaccini essendo essi molto diversi tra loro) ed eventualmente in quale misura. Eppure, nel giro di qualche giorno, ha messo a soqquadro mezzo mondo: borse in picchiata, mercati disorientati, collegamenti aerei con Città del Capo e Pretoria cancellati, frontiere sigillate per arrivi da mezz’Africa.
Una reazione politica ed istituzionale tanto scomposta, sproporzionata e fulminea da suscitare -inevitabili e ragionevoli- dubbi e preoccupazioni.
E tutto nonostante le prime rassicurazioni giunte -a livello internazionale- dal costante monitoraggio medico effettuato sui primi casi di infezione da “Omicron” che presenterebbero asintomatologia o lievi disturbi mentre, al momento, nessun paziente risulterebbe ricoverato in terapia intensiva.
Ma allora perché tanta angosciante frenesia? Perché una risposta così severa, repentina e diffusa?
Che vi possano essere (o essere state) informazioni/previsioni riservate allarmanti è sicuramente possibile ma ipotizzare che queste abbiano (od abbiano avuto) un potere tale da mettere in discussione le strategie di intere nazioni come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti (decisamente proiettate verso l’uscita dall’emergenza pandemica) appare assai meno probabile.
Allora cosa bolle in pentola? Cosa si cela dietro a cotanta “potenza di fuoco” (stavolta -fortunatamente- pacifica)? E se tutto dipendesse da qualcosa d’altro: qualcosa di più subdolo ma estremamente potente che collega la paura alla (ir)responsabilità?
Ma paura di cosa?
Innanzitutto di tornare punto e a capo: nell’angolo! E dover ammainare la bandiera della vittoria contro il virus ancor prima di averla potuta sventolare. Sconfitta insopportabile ed improponibile per tutti i governi d’Occidente. Scenario da evitare in ogni maniera anche -e soprattutto- per le ricadute politiche, sociali ed economiche (prima ancora che sanitarie) che comporterebbe.
Quindi chiusure immediate, a tappeto, ed un imperativo per tutti (soprattutto per l’incallito ottimista Boris Johnson): evitare figuracce!
E poi? La paura dell’Africa: il bubbone “nero” dell’ingiustizia anche pandemica. Un intero continente -irresponsabilmente- dimenticato anche in questa vicenda; lasciato -scientemente- ai margini della strategia vaccinale sia materialmente (con la fornitura di quote irrisorie di vaccino per giunta con enormi difficoltà di distribuzione) sia culturalmente (senza mezzi di informazione per fronteggiare le note resistenze culturali).
Da ciò il riflesso pavloviano -da “mala coscienza”- della difesa dall’ignoto. Dalla responsabilità di una gestione politica del “bene salute” come un bene “nostrum”. Dalla irrazionalità di non aver creato una rete di vaccinazione mondiale capace di dare una risposta univoca, pronta e veramente incisiva. In ciò una mobilitazione mondiale repentina, lungimirante ed imponente sarebbe davvero servita.
La chiusura delle frontiere non libererà nessun Paese occidentale dalle proprie responsabilità ed i 45 milioni di dosi vaccinali che -come annunciato in queste ultime ore dal Ministro Roberto Speranza- il Governo italiano si appresta a “regalare” all’Africa rischiano di rappresentare solo un goccio di tardivo buon senso nel mare magnum di una irritante ipocrisia.
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