Il conflitto in Ucraina è un potente focolaio di instabilità geo-politica, energetica, produttiva e finanziaria. Le prime stime elaborate da prestigiose associazioni internazionali, ci mettono in guardia sull’impatto che questa guerra avrà sulle economie continentali, ma soprattutto, sui nostri futuri stili di vita, sul nostro senso di libertà, sul nostro concetto di democrazia. Sapevamo che lo choc inatteso della pandemia avesse stravolto il nostro vivere quotidiano, poi è arrivata una guerra in casa a sparigliare ancora di più le carte, portando con sé distruzioni fisiche, affettive, economiche e culturali. E se le conseguenze geopolitiche saranno più chiare al termine del conflitto, gli effetti economici sono i più facili da calcolare, ma anche da rimediare: l’Ocse, pur riconoscendo la assoluta fluidità degli eventi, ha già stimato che la guerra impatterà nel 2022 con un decremento del 1,4% sul PIL dell’Eurozona, mentre gli USA, al pari dell’economia globale, vedrebbero una riduzione di un punto percentuale. L’Europa risulta più colpita dal conflitto, sia perché avviene sul suo territorio, sia per la crisi umanitaria in atto- con oltre 3 milioni di rifugiati da ospitare- e sia per la sua forte dipendenza energetica dal gas russo. Riguardo agli effetti finanziari, intesi come sanzioni affibbiate alla Russia, si è già ampiamente discusso nei precedenti “Tocchi”: la Russia è diventata un paria internazionale, ma con inevitabili conseguenze anche per noi, fronte occidentale. Si tratta tuttavia di considerazioni provvisorie, che potrebbero drasticamente peggiorare: tutto dipenderà da come procederà il conflitto. Ci sono tuttavia altre conseguenze che stravolgeranno le nostre abitudini future. Penso ad esempio ai costi della difesa: l’Italia (ma non solo) ha deciso di investire maggiormente in tale direzione, che inevitabilmente impatterà sulle altre voci di spesa, quali, ad esempio, la sanità, la scuola, l’ambiente -che rimangono emergenze- a meno che non si pensi che possiamo indebitarci senza limiti. Certo, l’Europa (intesa come Comunità) garantirà maggior flessibilità nelle voci di spesa dei singoli Stati membro, e con buona pace dei Paesi “frugali”, oggi più che mai interessati a poter contare su (altri) eserciti professionistici pronti, nel caso, ad intervenire. Cambieranno anche molti nostri dogmi ecologisti: guardando ai nostri confini, sarà meglio e con celerità svincolarci dall’asfissiante dipendenza dal gas russo, soprassedendo su infantili slogan propagandistici di alcuni partiti, utilizzati in passato per fermare gasdotti alternativi. Paradossalmente e per contrappasso, in attesa di un nuovo dibattito sul nucleare, nell’immediato dovremo anche ricorrere alle nostre inquinanti riserve fossili, a testimonianza che qualunque ideologia che si trasforma in fanatismo, è sempre deleteria. Cambieranno anche alcuni dogmi sul benessere alimentare: tre anni fa questo Paese si era fermato per deliberare una legge che limitasse l’uso di bevande zuccherate. Preistoria. Oggi dinnanzi ai primi scaffali vuoti dei supermercati e in assenza dell’olio di semi, rivalutiamo anche il famigerato olio di palma e dinnanzi alla scarsità del pane e suoi derivati, ci andrebbe (o ci andrà) benissimo anche il grano transgenico. Perché stiamo assistendo da vicino, troppo da vicino, a una guerra che non avremmo mai immaginato e le immagini truci di bombardamenti e disperazione, scuotono il nostro benessere e le nostre certezze, che ritenevamo intoccabili ed acquisite. Ottanta anni fa l’Italia entrava in guerra con una famosa arringa di Mussolini, in cui si chiedeva al popolo “burro o cannoni”. La risposta, allora, fu scontata. Oggi si ripropone lo stesso dilemma. Proveremo a rispondere olio di palma.
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