L’Osservatorio ISTAT sull’occupazione nel mese di settembre conferma senza sorprese il trend positivo ormai consolidato a partire dalla ripartenza dell’economia dopo la crisi Covid. Crescono gli occupati sia in termini congiunturali (rispetto al mese precedente) pari a +0,2%, sia in termini tendenziali (rispetto a 12 mesi prima) pari a +1,4%. In particolare aumentano i lavoratori dipendenti: rispettivamente +0,3% e + 1,3%, mentre calano gli autonomi in termini congiunturali (-0,3%) ma in crescita robusta in termini tendenziali (+1,7%). Ma soprattutto, in controtendenza lampante con la vulgata corrente, crescono i dipendenti stabili rispetto a quelli a termine: i primi aumentano in termini congiunturali dello 0,5% e tendenziali del 1,4%, mentre i secondi, dopo la forte crescita dei primi mesi del dopo Covid (+0,9% negli ultimi 12 mesi) cominciano a calare significativamente (-0,6% in termini congiunturali). Altro dato positivo: aumenta, riportandosi sul 60,2%, il tasso di occupazione, mentre decresce il tasso di inattività (-0,2% congiunturale e -0,6% tendenziale) e, particolare non frequente e molto significativo, pur aumentando il numero di coloro che cercano lavoro (calo del tasso di inattività) non aumenta il numero di coloro che non lo trovano (tasso di disoccupazione): 0 congiunturale e addirittura -1,1% negli ultimi 12 mesi.
Occorre dire che questo trend decisamente positivo, coincidente con una crescita continua e perfino inaspettata del PIL, potrebbe mutare in relazione a vicende macroeconomiche, quali l’inflazione e le conseguenze della guerra.
Ma intanto è opportuno prendere atto che l’economia italiana ha saputo reagire a due crisi economiche internazionali consecutive in modo perfino sorprendente, assestandosi su indicatori mai così buoni: il tasso di attività è stato stabilmente per i primi 9 mesi del 2022 sopra il 65%, raggiungendo i livelli record pre Covid; il tasso di occupazione è stabilmente sopra il 60%, come mai nella storia delle rilevazioni ISTAT. Il numero dei lavoratori con contratto stabile da Marzo supera i 15.000.000, record storico. I contratti a termine sono 3.046.000, in moderato ma continuo calo dal mese di Febbraio: costituiscono comunque il 16% dell’occupazione dipendente, del tutto in linea con i Paesi Europei (zona Euro 15,3%).
Occorre fare delle riflessioni, non strumentali e/o demagogiche, sul perché di risultati indubbiamente buoni sul piano dell’occupazione da parte di un’economia che soffre ancora di numerose insufficienze strutturali: per citare solo quelle più attigue al mercato del lavoro un sistema di istruzione-formazione lontanissimo dalla sufficienza, un mismatch altissimo, una produttività tra le ultime in Europa, un sistema di politiche attive del lavoro che produce lavoro solo per i propri impiegati, ecc.
Capire come, in condizioni così ostili, il mercato del lavoro riesca a produrre performances tutto sommato apprezzabili e studiarne i meccanismi, le pratiche, le relazioni industriali, le dinamiche e i contesti che le generano sarebbe di grande utilità per un approccio innovativo alle politiche del mercato del lavoro.
Colpisce invece come il Sindacato, in generale, si disinteressi all’argomento e preferisca continuare a dipingere il mercato del lavoro come un inferno di sottoccupazione e precarietà, quasi che in assenza di situazioni estreme di sofferenza sociale e miseria la ragion d’essere del Sindacato venga meno. D’altra parte i Segretari delle Confederazioni hanno ben altre questioni in testa, come Maurizio Landini confida a La Stampa (3 Novembre): “Il nostro riferimento rimane l’attuazione della Costituzione”. (a cura di Claudio Negro)
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