Enrico Letta è il nuovo segretario del PD. Si può dire eletto per acclamazione e dentro una vicenda che, causa la Pandemia e la crisi innescata dalle dimissioni di Zingaretti, è apparsa quanto mai tempestiva e accelerata rispetto alle tradizionali “ritualità” del principale partito di sinistra.
Sull’uomo nulla da dire di più di ciò che è noto. Una persona colta, con salde radici e valori democratici rafforzati dalla frequentazione con i due principali referenti della sua esperienza politica, come Andreatta e Prodi, con una conoscenza profonda delle istituzioni europee e del funzionamento dei meccanismi istituzionali e giuridici del Governo nazionale.
Il suo intervento, che andrà letto e rivisto in seguito a successivi approfondimenti, risente di queste sue caratteristiche ed esperienze personali. Un intervento dentro la cultura del NGUE, con la necessità della transizione digitale e verde e l’affermazione di una forte e crescente coesione sociale e territoriale che restituisca un ruolo all’Europa dei diritti. L’Italia, con il Governo Draghi, deve stare in testa a questo nuovo “main stream” europeo e si deve candidare ad essere, come nella fase originaria, uno dei principali costruttori della Nuova Europa. Specialmente ora che la Gran Bretagna, con i suoi veti e le sue mediazioni al ribasso, non c’è più.
Letta pone il PD in questo contesto valoriale e di programmi. Il Governo Draghi è il Governo del PD. Non c’è posto per nostalgie del passato né per differenziazioni sui grandi temi di riforma del paese. Anzi ci deve essere uno sforzo, in questo Governo, per spingere più avanti il processo riformatore.
I temi sono quelli più tradizionali della sinistra, come Coesione, Ambientalismo, Solidarietà e attenzione ai Giovani e alle Donne. Ma Letta li cita e li declina in maniera credibile. Farli diventare da slogan a politiche sarà certamente un passaggio difficile e delicato ma il quadro c’è ed è ben delineato.
Sullo strumento per sostenere questo processo, cioè la Politica, Letta appare meno convincente. Qui più che citare frasi o sottolineare passaggi del suo discorso valga, ad oggi “di “primo acchito”, l’impressione che si ricava dal suo intervento.
Intanto la forte e continua citazione di Prodi come suo elemento ispiratore. Intendiamoci Prodi è certamente una risorsa per il paese. E’ l’unico leader del centrosinistra degli ultimi vent’anni che ha battuto in elezioni politiche il centrodestra. Ma la sua esperienza, l’Ulivo, da molti rimpianta e ricordata, appare oggi impossibile da ripetere. Anche per i limiti che, a suo tempo, ha delineato a causa dell’eccesivo ruolo numerico ma anche programmatico lasciato alla sinistra più radicale. Limiti che invece non appaiono evidentemente così rilevanti a Letta.
Si può dire che nelle citazioni di Prodi, ed in alcuni passaggi su certi valori e su certe bandiere della sinistra, Letta ha dato l’impressione di volersi rifare a quella stagione. Vedendo nell’asse fra sinistra di Fratoianni, Movimento 5 stelle di Conte e PD (con Leu già rientrata nell’alveo?) il centro attrattivo su cui fondare la ricostruzione dell’Ulivo.
Certo ha detto anche che con Renzi è disposto a parlare. Ma il problema non è Renzi. E se vogliamo neppure Calenda, la Bonino e gli altri esponenti di quella sinistra liberaldemocratica che, pur fra mille affanni e separazioni, cercano di costruire qualcosa di diverso dalla tradizione del centrosinistra italiano.
Il problema è semmai quello di far interagire la cultura dell’Ulivo, che era costituita dall’incontro fra il comunismo italiano e la cultura cattolica popolare, con il riformismo liberaldemocratico da sempre sterile e sterilizzato, minoritario e di fatto assente dalla politica nazionale. Assente peraltro sia quando al Governo c’era il centrosinistra ma assente anche quando al Governo c’era il centrodestra. Più attento all’Italia delle corporazioni e dei gruppi di potere piuttosto che ai principi della libertà economica e della libera imprenditorialità.
L’impressione che si ricava dal dotto e se vogliamo “alto” intervento di Letta è che, alla fine, lui veda una lotta nel paese fra la sinistra e la destra di Meloni e Salvini cercando in tal modo di radicalizzare lo scontro e quindi di richiamare all’ovile” della sinistra tutti quanti hanno cercato altrove una casa per il riformismo.
E quindi che dire? Se tutti concordiamo che la politica in Italia si fa attraverso le coalizioni, sia che prevalga un sistema proporzionale sia un sistema maggioritario con qualche correzione proporzionale, è chiaro che il “mondo di mezzo” non è più possibile attrarlo richiamandolo alla guerra santa contro gli infedeli. Ci vuole qualcosa di “altro”. Ci vuole la scrittura di un nuovo spartito per il centrosinistra dove i principi di libertà e responsabilità individuale, imprenditorialità e merito, sburocratizzazione e stato più leggero sono ben rappresentati e visibili in campagna elettorale e poi, in caso di vittoria, nella gestione del Governo.
Letta e il suo PD sono chiamati a questa scelta. Non si può fare una media fra diverse visioni del mondo. Ma, dopo una attenta e approfondita analisi delle criticità della società e dell’economia italiana, si può chiamare ogni idealità e sensibilità a contribuire alla risoluzione di quelle criticità. Ma non con gli slogan o con i provvedimenti bandiera. In questi anni ne abbiamo già visti troppi. E l’Italia continua ad arrancare.Il PD di Letta deve cimentarsi con quei problemi, trovando soluzioni avanzate e nuove. In tal modo recuperando centralità che non gli può venire dal tentativo di mettersi al centro di una coalizione, come quella costruita sull’asse PD-M5s e SI, sgangherata e con deboli riferimenti politici e programmatici.
Alessandro Petretto
Punto di vista assolutamente condivisibile. C’è da ricordare che Letta ha avuto la sua stagione per cambiare l’Italia e l’ha perduta. Il “diavolo” che lo ha sostituito non veniva dagli inferi ma da una larghissima maggioranza del PD e da un evidente sostegno del Quirinale. Il governo era in uno stallo evidente e sconfortante. Andrà meglio ora? Speriamo in una nuova maturità e…… In Draghi
Giorgio
A me è parso un gran bell’intervento!
Giorgio Federighi