Era febbraio del 2008, le elezioni politiche erano imminenti, e Silvio Berlusconi riuscì nuovamente a federare tutti i partiti del centrodestra, Lega bossiana inclusa. E a vincere quelle elezioni con una maggioranza relativa che si trasformò nel Parlamento in una maggioranza assoluta grazie alla legge Calderoli del 2005.
Un’operazione simile, nel senso geometrico del termine, era riuscita due anni prima anche a Romano Prodi col suo secondo governo ulivista, in cui aveva infilato tutti ma proprio tutti: Rifondazione Comunista, i verdi, i radicali e persino i mastelliani.
Due belle ammucchiate davvero, giustificate dalla storia della Seconda Repubblica e dalla legge elettorale di tipo maggioritario che tutto sommato garantì stabilità ai quei governi. Ma Berlusconi non riuscì mai a fare la rivoluzione liberale promessa dai tempi della “discesa in campo” con Forza Italia; e Prodi finì impallinato dai suoi stessi sodali visto che al Senato la maggioranza si reggeva con lo scotch.
Come dicevamo, quella era la Seconda Repubblica e sia Berlusconi che Prodi erano due autentici federatori, capaci di attrarre e di mediare. Inoltre erano nel pieno delle loro forze e al culmine delle rispettive carriere politiche.
Facciamo un salto di qualche anno: nel gennaio 2020 arriva il Covid, la pandemia in un anno ammazza 130 mila persone solo in Italia, ma, grazie ai risultati straordinari della scienza moderna, con i vaccini si inizia a vedere la luce alla fine del tunnel. Solo che i vaccini vanno prima acquistati sul mercato mondiale e poi distribuiti a milioni di persone, per cui l’incapacità del governo Conte bis si palesa sotto gli occhi di tutti.
La fine della storia è ben nota perché è storia recente: san Matteo Renzi opera il miracolo e fa cadere il governo giallo-rosso, Giuseppe Conte torna (per un po’) all’università e, grazie soprattutto a Mattarella, viene Mario Draghi a tenere la barra di un governo di unità nazionale. E’ merito suo se oggi l’85% degli italiani sono stati vaccinati e il nostro Pnrr è stato approvato a Bruxelles.
L’Italia del dopo-Covid non è più quella di prima. Non è che tutto ora funzioni alla perfezione: basta guardare il numero dei morti sui posti di lavoro o le cifre della povertà che sono in continuo aumento per capirlo. Per non parlare della disoccupazione giovanile, e dello stato comatoso della scuola pubblica. Ma nel complesso siamo cresciuti come cittadini, siamo diventati più responsabili e pragmatici; e abbiamo finalmente capito l’importanza del merito e della competenza.
E così abbiamo ripreso a vivere, lavorare, sperare, e guardare avanti.
Quella che invece continua a brancolare è la politica dei grandi partiti. Le recenti elezioni amministrative hanno decretato la vittoria del centrosinistra, ma, come ha spiegato il prof Panebianco sul Corriere della Sera, potrebbe essere solo un’illusione ottica.
Il segretario del Pd Letta, in preda a un’euforia trionfalistica, ha subito riproposto la federazione del centrosinistra per le prossime politiche: dal M5s di Conte, a Leu, Italia Viva, Azione eccetera. Una riedizione del vecchio Ulivo, dunque, che vedrebbe il ruolo egemonico del Pd e dovrebbe richiamare all’ordine i cespuglietti di centro. Ma Carlo Calenda, il leader della lista più votata a Roma, ha detto “no, grazie”: perché lui al governo coi populisti Cinquestelle – come pure coi sovranisti della Lega e di FdI – non ci andrebbe mai.
Il mito della federazione di matrice maggioritaria, purtroppo, si perpetua anche dall’altra parte dello schieramento, nonostante la pesante batosta subita dal centrodestra a Milano, Roma, Torino e Napoli, che dovrebbe suggerire quantomeno di ripensare qualcosa. Ma Berlusconi, l’unico della triade a sostenere pienamente il governo Draghi e a collocarsi in una formazione europeista come il Ppe, vorrebbe comunque tornare allo schema dell’Italia pre-Covid; e annuncia di essersi già messo alla ricerca di un nuovo federatore (sic).
Berlusconi ha ancora una grande capacità di analisi nonostante l’età avanzata e gli acciacchi, e sa bene che né Salvini né la Meloni potrebbero guidare con successo la coalizione di centrodestra in una fase storica in cui i buoni rapporti con l’Europa sono conditio sine qua non per la nostra ripresa. Eppure non vuole o non può staccarsi dai partiti sovranisti che oggi, stando agli ultimi sondaggi, sono il primo e il terzo partito italiani.
Ma quando sarà eletto il nuovo presidente della Repubblica, che molto probabilmente si chiamerà Mario, Silvio Berlusconi (e anche Prodi che sotto sotto ancora ci spera) vedrà sfumato il suo sogno di passare alla storia come padre della Patria; e allora potrebbe iniziare a guardare al centro anziché alla destra. La Carfagna, Brunetta e la Gelimini, che sono liberal-riformisti, è proprio lì che lo vorrebbero portare.
E se infine l’attuale legge elettorale venisse modificata in senso proporzionale, davvero niente sarebbe più come prima.
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