“Nell’onorare la memoria di chi lottò per la libertà dobbiamo anche ricordare che non tutti fummo, noi italiani, brava gente, dobbiamo ricordare che non scegliere è immorale, per usare le parole di Artom, significa far morire un’altra volta chi mostrò coraggio, chi sacrificò se stesso per consentirci di vivere in un paese democratico”. E ancora: “Il linguaggio d’odio che sfocia spesso nel razzismo e nell’antisemitismo contiene spesso i germi di potenziali azioni violente. Non va tollerato”.
È necessario riportare il più ampiamente possibile il passo del discorso pronunciato in occasione della Festa della Liberazione dal Presidente del Consiglio Mario Draghi che più ha colpito la sensibilità di chiunque l’abbia ascoltato in diretta o riportato dai telegiornali o anche solo letto sui quotidiani, anche se sarebbe preferibile riascoltarlo per intero. È necessario perché ci fa capire quanto profondo sia il senso politico di queste affermazioni, fatte da un Presidente che ancora qualcuno vuol etichettare come tecnico senza rendersi conto che siamo di fronte a un vero statista. Certo, non un uomo di partito, ma sicuramente un uomo di Stato, come raramente se ne sono incontrati nella nostra storia più o meno recente.
Colpisce come – in controtendenza con la retorica in uso in queste occasioni – Draghi abbia indicato con chiarezza e usando un’espressione estremamente efficace chi non può rientrare nella categoria degli “italiani brava gente”, così usata e abusata nelle ricostruzioni autoassolutorie della storia d’Italia. Certamente non furono brava gente i fascisti che, anche dopo l’8 settembre, coltivando la retorica del tradimento, scelsero di continuare la guerra a fianco dei nazisti, rendendosi autori e complici di stragi e di orrori di ogni genere. Ma se la condanna del fascismo è senza appello, il fuoco del discorso di Draghi sta nell’additare l’immoralità di coloro (e si sente nelle sue parole l’angoscia di chi teme che siano stati la maggioranza) che hanno creduto, nel fuoco della guerra civile ma anche successivamente, di cavarsela non scegliendo, non assumendosi la responsabilità, fosse pure nell’intimo della propria coscienza, di giudicare dove era il bene e dove il male. Con diversi accenti, si sente l’eco dell’invettiva dantesca contro gli ignavi.
È un discorso severo quello di Draghi, che riceverà sì molti consensi di maniera, ma che non si può dire quanto penetrerà in profondità nell’animo degli italiani. Perché questo potesse avvenire occorrerebbe far propria l’abitudine di osservare criticamente prima se stessi e i propri comportamenti – individuali e collettivi – prima di emettere giudizi sugli altri. E un atteggiamento poco praticato da noi in Italia, che si può ritrovare solo in alcune minoranze. Ed è perciò ancor più apprezzabile che Draghi abbia voluto citare come esempio di tale capacità di assunzione di responsabilità Emanuele Artom.
(questo articolo con il consenso dell’autore è ripreso da Pagine Ebraiche del 29/04/21)
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