La crisi conseguente alla pandemia è come l’Idra, ha sette teste di cui una immortale: anche per Ercole fu una faticaccia averne ragione, figurarsi l’Europa unita con i suoi travagli riuscire a ripartire.
L’attenzione per la ripartenza dell’economia si è focalizzata sul PNRR con gli investimenti e le riforme collegate : visti i suoi precedenti il timore è che per l’Italia si materializzi la legge di Murphy: se qualcosa può andare male, sicuramente andrà male.
Il problema è che per una ripartenza dell’economia si addensano, pesanti ombre, occorre andare oltre le pur fondamentali questioni macroeconomiche e di finanza pubblica.
Dopo il professor Petretto, su questi temi ascoltiamo l’opinione di chi quotidianamente , per la sua attività professionale, si interfaccia con la realtà delle imprese: il commercialista, figure cardine sulla quale si appoggiano piccole imprese, per una molteplicità di aspetti della vita aziendale.
Andrea Bonechi….
- Come giudichi la situazione del sistema delle imprese in Italia, soprattutto quelle piccole? Da quel che si legge si approfondisce la divaricazione tra chi ha superato la crisi prodotta dalla pandemia e chi non riesce ancora a venirne fuori. Se esiste, cosa ha provocato questa divaricazione? E’ il settore dove si opera? Sono le scelte previdenti di chi si era attrezzato per le sfide del futuro sia in termini di innovazione che di solidità della struttura finanziaria? Oppure è solo questione di fortuna?
Certamente chi nel tempo antecedente ha avuto la lungimiranza e, aggiungo, le risorse, per investire in termini di innovazione tecnologica ha potuto trovare soluzioni migliori per resistere al periodo di emergenza sanitaria. Certamente ha potuto resistere chi opera in settori meno aggrediti dagli effetti dei lockdown e questo altrettanto certamente è questione di fortuna. Piuttosto, si è potuto verificare che la capacità di resistenza è stata inversamente proporzionale all’indebitamento esistente nell’azienda; entità del medesimo settore escono dalla fase emergenziale con una divaricazione senz’altro maggiore tra posizioni indebitate e posizioni capitalizzate. Proprio qui si annida una delle principali cause di debolezza di tanta parte dell’imprenditoria italiana, ovvero il forte sbilanciamento tra capitale investito ed indebitamento bancario, quest’ultimo preponderante in linea generale.
- Quale è la situazione sul fronte della liquidità per le imprese? I ristori dello stato sono arrivati e nel caso hanno avuto una qualche rilevanza per la ripartenza? Come sono attualmente i rapporti con le banche per ottenere i crediti necessari? I prestiti garantiti dallo stato e le moratorie in quale misura si pensa si trasformeranno in sofferenze e NPL?
La liquidità di una attività non può certo essere sostituita da qualsivoglia misura di ristoro, a meno che non vi siano risorse tanto ingenti da rimborsare il mancato fatturato e non solo parte delle riduzioni di questo. I rapporti con il sistema bancario sono a mio avviso da anni deteriorati, con le banche che stentano in modo eccessivo nel concedere credito, a fronte di insistenze nel volerlo concedere a quelle imprese che non ne hanno obiettivamente bisogno. Proprio recentemente ho pubblicato un articolo sul Sole24Ore in cui ho affermato che non è l’elevato stock di crediti “non performanti” (NPL) a frenare l’erogazione del credito bensì le perdite generate dalla cessione massiva degli NPL a percentuali di soddisfazione irrisorie ad aver generato perdite tali da ridurre la capacità di impiego del singolo istituto di credito. Tale tesi è stata a suo tempo avvalorata anche dal direttore della Vigilanza di Bankitalia, oggi Vice DG della stessa. In buona sostanza, nella prospettiva attendibile che i crediti non performanti possano solo crescere a seguito dell’emergenza sanitaria, credo che il rapporto banca-impresa possa riprendere vigore in senso costruttivo solo se la banca impiegherà le proprie migliori risorse proprio nella gestione dei crediti non performanti. Così facendo sapranno accompagnare tali aziende a recuperare la capacità di rimborso, valorizzando così quelle che hanno conservato effettivi valori, forti e consapevoli delle statistiche di Bankitalia che storicamente mostrano una capacità significativa di ritorno in bonis dei crediti non performanti, certamente ben aldilà delle percentuali a cui gli NPL sono stati finora ceduti in modo massivo ed affatto rispettoso delle capacità delle singole aziende.
- Non è solo un problema delle banche ma anche più in generale del sistema economico e del suo asset fondamentale, la fiducia. Quante delle imprese operative sono effettivamente vitali e quante sono zombie tenute in vita artificialmente dalla sospensione dell’apertura obbligatoria della procedura di insolvenza? C’è un sistema perché un’azienda possa percepire quando sta trattando con una impresa ormai irrimediabilmente compromessa dalla quale guardarsi?
Le cosiddette “imprese-zombie” sono un fenomeno già sperimentato dopo la crisi del 2008 ed il fenomeno si ripeterà certamente. Proprio l’individuazione di queste imprese, cioè quelle che non hanno valori sottostanti l’indebitamento cui devono fare fronte, è ciò che auspico saprà fare il sistema bancario, distinguendole così da quelle meritevoli! Ma per farlo deve profondamente riformulare i propri uffici dando particolare vigore a quelli deputati a gestire i crediti non performanti per i quali l’analisi dei valori effettivi dell’impresa è l’elemento qualificante. Discorso diverso è il rapporto tra aziende. Quelle ben gestite sanno riconoscere quelle di cui fidarsi. E’ sempre stato così e così sarà fin quando il nostro sistema saprà valorizzare gli imprenditori-uomini, piuttosto che gli imprenditori-corporate che fanno delle dimensioni la propria forza.
- Ma come si può pensare di salvare le aziende senza profondi processi di ristrutturazione che prevedano anche licenziamenti? E se si pensa ai tavoli della concertazione, fa sgomento l’idea di tanti, dai partiti ai sindacati, che un’azienda – ad esempio, portata al gioco delle parti dei tavoli del MISE, possa dopo anni ripartire premendo un interruttore, quando è cambiato il suo mondo di riferimento, i prodotti, la concorrenza, le tecnologie, quando il personale migliore ha trovato ricollocazione.. Insomma per politici e sindacati il modello di azienda che hanno in mente sono le Poste, monopolista senza concorrenti. Condividi?
Non del tutto. C’è una consistente parte della politica, non necessariamente collocata in uno schieramento, che ha una visione dell’impresa statica e che pretende di discutere di impresa senza averne mai vissuta veramente una. Troppo spesso non si ascoltano i Professionisti (quelli abilitati, iscritti in Ordini che ne vigilano l’operato) coloro che sono sul campo con gli imprenditori, prima ancora che con le imprese, che condividono con loro visioni e passioni e che nelle fasi di crisi sono gli unici cui gli imprenditori mostrano di aggrapparsi per trovare una soluzione e salvare la propria “creatura”. In quei momenti e circostanze, spesso fanno sorridere (amaramente) i tempi di reazione di chi vorrebbe occuparsi della soluzione politica del problema, ma in molti casi anche dei tempi di reazione del sistema bancario di fronte a decisioni cruciali.
- La concorrenza nel mercato viene anche alterato dal ritorno in grande stile dello Stato nelle imprese, da Autostrade ad imprese del made in Italy. Ma Draghi 1 della privatizzazione delle aziende pubbliche come si concilia con il Draghi 2 della ripubblicizzazione delle aziende private ? Questa invasione del sistema delle imprese avviene anche con l’esercizio assolutamente discrezionale del golden power per dettare ad imprese straniere specifiche condizioni all’acquisito di partecipazioni, come di opporsi all’acquisto di partecipazioni. Questo addirittura limita gravemente la libera circolazione dei capitali garantita dai Trattati europei…
Apparentemente sì, ma la verità è che i capitali non hanno nazionalità, non hanno colore e, soprattutto, superano ogni ostacolo spazio-temporale! Se un Paese limita l’impiego di capitali, questi si spostano altrove. Certo, in una fase emergenziale come l’attuale, è comprensibile che lo Stato disponga in senso protezionistico di propri asset rilevanti, ma ciò può essere solo in via temporanea perché se ciò non fosse assisteremmo appunto alla fuga dei capitali. Piuttosto, ciò che evochi contrasta fortemente con vicende come quelle di Finmeccanica di pochi anni fa che ha dismesso il settore della tecnologia ferroviaria…..
- 6. I progetti e le risorse del Recovery Plan sono ingenti per transizione digitale ed ecologica e per l’innovazione: non c’è il rischio che sia un modello astratto che non è in grado di corrispondere alle necessità delle imprese’ e queste, nel caso, sono attrezzate per cogliere queste opportunità? Perché anche il più bel piano del mondo cammina sulle gambe delle persone, imprenditori in primo luogo.
Su questo non vi è alcun dubbio, ogni idea si attua in misura direttamente proporzionale alle gambe su cui cammina. Ma è pur vero che un indirizzo forte andava dato, non fosse altro che per accelerare quei processi di evoluzione industriale che magari si realizzerebbero comunque, ma solo dopo aver generato disuguaglianze economiche come ambientali. L’evoluzione va accompagnata e sostenuta, non credo nella capacità dell’uomo e tanto meno dell’imprenditore di autoregolarsi per il meglio, perché molto spesso il meglio che viene privilegiato è quello della elezione seguente, non della generazione seguente.
- C’è, secondo te, una misura, al di là del denaro, che secondo te sarebbe in grado si rimettere in moto le aziende?
Certamente la cultura d’impresa, le conoscenze amministrative e ancor più quelle più prettamente commerciali del contesto in cui opera e sopratutto di quelli in cui potrebbe operare. Come in ogni settore della vita, la conoscenza accelera l’evoluzione e rende tutti in condizioni di dare il meglio, superando quanto più possibile le asimmetrie informative.
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