Sono oggi qui con voi, per onorare le finalità della Legge che, con decisione pressoché unanime del Parlamento, ha istituito il “Giorno del Ricordo”. Le cito:
“conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
E’ giusto che agli anni del silenzio faccia seguito la solenne affermazione del ricordo.
La celebrazione di quest’anno si arricchisce di un momento di grande significato: la prima consegna a congiunti delle vittime di una medaglia dedicata a quanti perirono in modo atroce, nelle foibe, al termine della seconda guerra mondiale.
Il riconoscimento del supplizio patito è un atto di giustizia nei confronti di ognuna di quelle vittime, restituisce le loro esistenze alla realtà presente perché le custodisca nella pienezza del loro valore, come individui e come cittadini italiani.
L’evocazione delle loro sofferenze, e del dolore di quanti si videro costretti ad allontanarsi per sempre dalle loro case in Istria, nel Quarnaro e nella Dalmazia, ci unisce oggi nel rispetto e nella meditazione.
Questo nostro incontro non ha valore puramente simbolico; testimonia la presa di coscienza dell’ intera comunità nazionale.
L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro.
La responsabilità che avvertiamo nei confronti delle giovani generazioni ci impone di tramandare loro la consapevolezza di avvenimenti che costituiscono parte integrante della storia della nostra patria.
La memoria ci aiuta a guardare al passato con interezza di sentimenti, a riconoscerci nella nostra identità, a radicarci nei suoi valori fondanti per costruire un futuro nuovo e migliore.
L’odio e la pulizia etnica sono stati l’abominevole corollario dell’Europa tragica del Novecento, squassata da una lotta senza quartiere fra nazionalismi esasperati.
La Seconda guerra mondiale, scatenata da regimi dittatoriali portatori di perverse ideologie razziste, ha distrutto la vita di milioni di persone nel nostro continente, ha dilaniato intere nazioni, ha rischiato di inghiottire la stessa civiltà europea.
Questa civiltà – alla quale noi italiani abbiamo dato, nel corso dei secoli, uno straordinario contributo intellettuale e spirituale – è fatta di umanità, rispetto per “l’altro”, fede nella ragione e nel diritto, solidarietà. Le prevaricazioni dei totalitarismi non sono riuscite a distruggere questi principi: essi sono risorti, più forti che mai, sulle devastazioni della guerra; hanno cementato la volontà degli europei di perseguire, uniti, obiettivi di pace e di progresso.
L’Italia, riconciliata nel nome della democrazia, ricostruita dopo i disastri della Seconda Guerra Mondiale anche con il contributo di intelligenza e di lavoro degli esuli istriani, fiumani e dalmati, ha compiuto una scelta fondamentale. Ha identificato il proprio destino con quello di un’Europa che si è lasciata alle spalle odi e rancori, che ha deciso di costruire il proprio futuro sulla collaborazione fra i suoi popoli basata sulla fiducia, sulla libertà, sulla comprensione.
In questa Europa di fratellanza e di pace, le minoranze non sono più vittime di divisioni e di esclusione, ma sono fonte e simbolo di rispetto e di arricchimento reciproco, di dialogo e di costruttiva collaborazione. Animata da questo spirito, l’Italia ha rafforzato il proprio impegno per favorire il processo di rinascita e di riaffermazione dei diritti delle minoranze italiane in Slovenia e Croazia, in base ai principi cui debbono attenersi tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.
Il nostro europeismo non nega, anzi rafforza l’amore per la patria, radicato negli ideali del Risorgimento. Essi ci hanno trasmesso, insieme alla ritrovata coscienza dell’unità nazionale, il sentimento profondo di fraternità fra tutte le nazioni, libere e indipendenti.
A oltre cinquant’anni di distanza dall’inizio del progetto politico europeo, la consapevolezza delle ragioni che lo determinarono, la memoria dei rischi fatali corsi dai popoli europei sono necessarie per mantenere vigile la difesa delle fondamenta del vivere civile, del rispetto per la dignità della persona umana.
Nel ricordare il cammino percorso da allora, possiamo rivendicare con orgoglio, dopo gli immani travagli del secolo scorso, gli straordinari avanzamenti compiuti.
Il ricordo di quei travagli e dell’indicibile fardello di dolore che essi hanno addossato ai popoli europei rafforza la coscienza dei valori di civiltà in cui si sostanzia l’identità europea. Il presente e il futuro dell’Europa si fondano sul sentimento di comune appartenenza di tutti gli europei e sul consolidamento di un unico spazio in cui i principi e le libertà dell’Unione Europea siano da tutti pienamente condivisi. La volontà di popoli un tempo fieramente avversi di vivere insieme, nell’Unione Europea, assicura un futuro di comune progresso, nella democrazia e nella libertà.
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