Il superbonus, ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, “ha effetti negativi sui conti pubblici, ingessa la politica economica, non lasciando margine ad altri interventi”. Eppure, persino questo potrebbe essere utile, se almeno i politici italiani imparassero la lezione.
La lezione è semplice e non particolarmente originale: nessun pasto è gratis. La scommessa del superbonus era sostanzialmente questa: consentendo alle persone di rifarsi la casa a spese del contribuente, si sarebbe messo in moto un mercato talmente vasto che, grazie al magico moltiplicatore, alla fine i lavori si sarebbero pagati da sé. Il risultato è esattamente l’opposto: le spese per la riqualificazione edilizia degli edifici si sono, da un lato, scaricate sull’erario e, dall’altro, hanno gettato benzina sul fuoco dell’inflazione che proprio in quel momento si stava risvegliando.
Il superbonus non è neppure qualificabile come tradizionale politica keynesiana. L’autore della “Teoria generale” sosteneva l’utilizzo della spesa pubblica durante le recessioni, ma era più cauto sulla condotta da tenere durante i periodi di crescita. E’ vero che il 110 per cento nasce nel contesto della recessione dovuta ai lockdown, ma è stato poi prorogato anche nel 2021 e 2022, anni segnati da una espansione economica record. Il risultato è che il debito pubblico è esploso, mentre il bilancio pubblico italiano – già reso rigido da spese incomprimibili come il servizio al debito e la previdenza – ne esce ulteriormente vincolato, togliendo lo spazio o comunque rendendo più complesso qualunque aggiustamento (incluse le riduzioni delle imposte).
Ma la vicenda del superbonus è un caveat anche rispetto alle strutture tecniche in teoria poste a presidio dei diritti dei contribuenti e dei cittadini: la Ragioneria generale dello Stato, spesso rappresentata come un occhiuto guardiano dei conti, ha ammesso di aver sottovalutato l’impatto del superbonus e degli altri bonus edilizi di oltre 40 miliardi di euro. E il delta sarebbe stato ancora maggiore se il governo non fosse intervenuto in via emergenziale per mettere uno stop alla politica del “gratuitamente”. Naturalmente, il compito della Ragioneria è complesso e sarebbe sbagliato fare di tutta un’erba un fascio. Non c’è dubbio che spesso la pratica della “bollinatura” abbia sventato manovre azzardate. Ma, di fronte a un fallimento del genere, è necessario interrogarsi su come migliorare la capacità di stima del ministero dell’Economia e impedire che, nel futuro, si verifichino altre ubriacature del genere.
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