Ammetto che ero tra coloro che prefiguravano scenari abbastanza foschi, o per lo meno di nervosismo estremo, sulla tenuta del nostro spread italico nei confronti del teutonico Bund.
Del resto, gli ingredienti per una sua rapida impennata c’erano tutti: la fine degli acquisti dei titoli italiani da parte della BCE, la fine dei prestiti agevolati “Tltro” alle banche italiane (che non potranno più abbuffarsi di btp), i ritardi sul PNRR (con le inevitabili lamentele europee), le minacce di Moody’s, il giudizio di Goldman Sachs di preferire i Bonos (titoli di stato spagnoli) ai Btp, la crisi energetica, la guerra, le cavallette…
E invece… e invece il bello degli stereotipi è che esistono per essere contraddetti. Il nostro spread, almeno ad ora, gode di ottima salute, inchiodato stabilmente sotto i 200 bps, con punte di tensione a 220-230 bps in rari momenti negli ultimi 3 anni e comunque, ben lontano dall’epocale 575 bps del novembre 2011, nel pieno della crisi del debito sovrano.
Siamo finalmente diventati un Paese affidabile a livello internazionale?
Non esageriamo. Non mi farei (ancora) travolgere da facili entusiasmi, ma cercherei le ragioni di questo successo in alcune sacrosante evidenze.
Prima di tutto, tra le tante virtù del nostro popolo, resiste quella che ci descrive come grandi risparmiatori. E così, il tormentato contesto dei mercati finanziari degli ultimi 3 anni ha spinto molte famiglie italiane ad abbassare il livello di rischio nei propri portafogli e affidarsi ai “vecchi e cari Btp”, ritornati attraenti dal rialzo repentino dei tassi e anche a costo di rimanere “intrappolati” nell’investimento per 5 o 10 anni.
Il saldo netto della compravendita di titoli di stato delle famiglie italiane, nel solo ultimo anno (aprile 2022- febbraio 2023, ultimo dato disponibile) è stato positivo per 72,5 miliardi di €, più che compensando il mancato riacquisto dei titoli scaduti da parte della BCE.
E il successo dell’ultimo BTP Valore, chiuso con una domanda record di 18,1 miliardi € conferma ancora di più il processo di trasferimento in atto del debito italiano in mani private e domestiche.
Ma le buone notizie potrebbero non finire qui: molti investitori istituzionali (soprattutto internazionali) sono tuttora scarichi di “rischio-Italia”: lo stock di debito pubblico italiano in mano loro è sceso da 658 miliardi di € di giugno 2022 a 615 miliardi di € di gennaio 2023 (fonte BankItalia). E’ abbastanza logico pensare, visti i rendimenti in essere, che tale divario vada a scomparire nel prossimo futuro, sostenendo così (e di fatto) lo spread.
Possiamo allora cantare fieri l’inno?
Calma. C’è ancora una incognita che potrebbe “confermare o ribaltare completamente la situazione” (cit.).
Si chiama PNRR e dal suo rispetto delle scadenze ci giochiamo buona parte della nostra credibilità interna, internazionale e sui mercati finanziari. Ma preferisco non sbilanciarmi con alcun commento. Del resto e come già visto… “nemo proheta in patria”…
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