L’articolo sulla crisi in Kosovo pubblicato su Startmag dal Generale Carlo Jean ha il merito di andare al nocciolo del problema.
https://www.startmag.it/mondo/kosovo-colpe-russia-occidente/
Europa e Stati Uniti pagano a quasi 25 anni di distanza un errore iniziale di impostazione troppo ideologica che – come giustamente osserva Carlo Jean e’ stato compiuto in Kosovo e non in Bosnia-Erzegovina.
Gli accordi di Dayton per la Bosnia del 1995 – coordinati con grande energia e acume diplomatico da Richard Hoolbrook – avevano, invece, tenuto in debito conto le fratture storico-identitarie che caratterizzano le guerre civili e i conflitti interni dei Balcani e non solo.
In Kosovo il principio ispiratore della retorica euro-atlantica (anche se mai dichiarato cosi esplicitamente) era l’illusione di creare da zero una nuova e astratta entità multietnica capace di cancellare di colpo le storie e le identità culturali di comunita’ profondamente diverse per lingua, religione, tradizione e costumi.
In Kosovo la coesistenza (con rare occasioni di convivenza) della larga maggioranza albanese con la minoranza serbo-ortodossa e con gli altri gruppi minori, (bosniacchi, montenegrini, roma, gorani, ashkaly, egyptian, ecc.) è stata quasi sempre difficile e tormentata nel corso della storia.
A proposito della popolazione serba in Kosovo è utile, inoltre, ricordare un elemento recente. Il numero dei serbi residenti in Kossovo nell’estate del 1999 si e’ bruscamente dimezzato.
Le diverse fazioni dei guerriglieri albanesi dell’ UCK – appena cessati bombardamenti della NATO – con minacce e violenze hanno cacciato dalle loro case le famiglie serbe dovunque hanno potuto.
Ho lavorato per le Nazioni Unite in Kosovo dall’ ottobre 1999 al dicembre 2022. Quando sono arrivato per la prima volta (era il novembre ‘ 99) a Pec/Peja – sede del Comando italiano responsabile della KFOR/NATO per l’ area del Kosovo occidentale – la presenza serba era ridotta al lumicino.
Nel giugno del 1999 Il contingente italiano della Garibaldi – guidato dal Generale Mauro Del Vecchio – era riuscito a mettere in sicurezza soltanto una piccola parte della comunità serbo-kosovara: il Patriarcato di Pec, il Monastero di Decani, il villaggio di Gorazdevac abitato all’epoca da più di mille cittadini serbo- kosovari (oggi purtroppo ridotti a 450) e altre piccolissime realtà.
Nelle città di Pec/Peja e Djakovica/ Giakova non era rimasto praticamente nessuno, salvo 4 o 5 signore serbe iperprotette dai miltari italiani!
L’ apartheid prima e i crimini poi contro la popolazione albanese in Kosovo commessi dalle forze regolari e dalle feroci bande paramilitari di Milosevic sono state di inaudita gravità come ha verificato anche il Tribunale internazionale sui crimini della ex Jugoslavia.
Tuttavia nessuno si aspettava una violenta reazione generalizzata verso tutti serbi – anche contro quelli che avevano un rapporto di amicizia e/o di buon vicinato con i concittadini albanesi.
L’ esodo è stato davvero molto consistente se si pensa che nel censimento del 1991 a Pec/Peja serbi e montegrini risultavano 15.000 su circa 60.000 abitanti della città. Per quanto riguarda le cifre complessive si stima che almeno 200.000 persone di cultura e lingua non albanese abbiamo lasciato il Kosovo.
Questi dati confermano gli errori politico – ideologici a cui ha accennato il Generale Jean. Il dato più emblematico è la mancata previsione da parte delle intelligence miltare della rapidità e pervasivita del processo di “contropulizia” etnica messo in atto dai guerriglieri kosovaro- albanesi.
Ma le responsabilità occidentali in Kosovo non sono legate – qui dissento dal Generale Jean – al fatto che gli Stati Uniti e l’ Europa avrebbero voluto “imporre la democrazia”. Per come ho vissuto per tre anni l’ esperienza sul campo l’idea (peraltro sbagliatissima) di “esportare e imporre la democrazia” non c’ entra con le responsabilità internazionali nella crisi cronica del Kosovo negli ultimi 25 anni.
L’ esportazione della democrazia con le armi e’ peraltro una teoria successiva di matrice neocon di cui Paul Wolfowitz è stato il sostentitore più influente solo con l’ arrivo di Bush junior alla Casa Bianca, soprattutto dopo 11 dicembre 2001.
Ciò che non ha funzionato è l’ incapacità di trovare il giusto equilibrio istituzionale tra maggioranza e minoranze linguistico- culturali, un problema che affligge – sia pure in forme diverse – sia le democrazie che i regimi autocratici (basti pensare alla martoriata storia della Cecenia non certo risolta con il protagonismo di Kadyrov voluto da Putin).
Per spiegare meglio le grandi difficoltà di trovare soluzioni racconto la mia esperienza diretta nelle quattro municipalità serbe dove in questi giorni si sono svolti gli scontri.
Nell’ estate del 2002 d’ intesa con il responsabile regionale dell’ ONU David Mitchels avevo avviato una trattativa e raggiunto un buon compromesso che consentiva la partecipazione della comunità serba di Mitrovica alle elezioni comunali; il nostro interlocutore era il dott Marko Jaksic, leader intransigente e molto noto dei serbo kosovari.
La richiesta serba – all’ epoca improponibile- era dividere la citta’ in due (a sud del fiume agli albanesi, il nord ai serbo-kosovari).
Dopo una serie di incontri l’ ipotesi di mediazione fu quella di mantenere un consiglio comunale unitario per l’ intera città e istituire due consigli di circoscrizione. A queste condizioni i serbi avrebbero partecipato alle elezioni municipali.
Non avevamo inventato niente di nuovo, ci eravamo semplicemente ispirati all’ accordo De Gasperi/ Gruber per il Trentino/Alto Adige a cui accenna nel suo articolo il Generale Jean.
Tuttavia Michel Steiner – all’ epoca capo della Missione ONU in Kosovo e in precedenza Consigliere Diplomatico del Cancelliere Geralld Schroeder boccio’ seccamente la nostra proposta perche’ a suo avviso non rispettava i principi di multietnicita’ (sic), dimostrando una imperdonabile miopia.
Cosa succederebbe se si applicasse la visione ideologizzata di Steiner alla Catalogna in Spagna, alla Scozia nel Regno Unito, al Quebec in Canada, eccetera? Non si tratta forse di democrazie e tra le più avanzate?
Sono passati più di 20 anni ed è triste pensare che siamo sempre sempre a quel punto, anzi peggio.La situazione si è ulteriormente incancrenita. Continuando di questo passo il futuro del Kosovo sarà monoetnico, sara’ solo albanese: un esito paradossale, l’ esatto contrario delle promesse del 1999.
Ma non è mai troppo tardi. La speranza è gli inviati speciali per i Balcani degli Stati Uniti e dell’ Unione Europea che proprio in questi giorni sono impegnati in vertici operativi assumano un atteggiamento di grande fermezza nei confronti di Pristina.
Se non saranno riconvocate al più presto le elezioni comunali nelle 4 municipalità a maggioranza el nord e se la minoranza serba del Kosovo non avra’ gli strumenti e le istituzioni in grado di tutelare la propria identità culturale il percorso di avvicinamento del Kosovo verso la UE e la NATO dovrà essere sospeso, così come la liberalizzazione dei visti pianificata per il 1 gennaio 22024 A buon indentitore poche parole.
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