Probabilmente non vi siete mai soffermati a fissare la piccola costellazione che deve il proprio nome al mito che stiamo per narrarvi, ma di sicuro avrete visto le tre stelle che la costituiscono.
Il mito ci porta in Egitto, nel III secolo a.C., durante il regno di Tolomeo III Evergete e di sua moglie Berenice II, regina cirenaica dalla lunghissima chioma: una sorta di Raperonzolo ante-litteram.
Poco dopo le nozze re Tolomeo fu costretto a partire per una campagna militare in Siria mentre la moglie Berenice, preoccupata per l’incolumità del suo amato, fece voto solenne alla dea Afrodite offrendole la propria chioma se lo avesse fatto tornare sano e salvo dal campo di battaglia.
Tolomeo tornò trionfante e Berenice, tenendo fede alla promessa, tagliò la sua preziosa treccia e la offrì al tempio dedicato alla dea Afrodite.
Ma, il giorno dopo, della preziosa offerta non vi era più traccia.
Si scatenò immediatamente il pandemonio sull’onda dello sdegno provocato da quello che si riteneva un gesto sacrilego.
I più pettegoli suggerirono che il colpevole del furto della treccia fosse il sacerdote del tempio del dio egizio Serapide, considerato una divinità concorrente rispetto agli dei dell’Olimpo.
La disperazione della regina Berenice convinse il marito, per rappresaglia, a chiudere tutte le porte della città e a minacciare di passare a fil di spada i responsabili dell’oltraggio.
La furia del sovrano si placò solo grazie all’intervento del filosofo e saggio Conone di Sarno, astronomo di corte.
Questi proclamò che gli dei avevano a tal punto apprezzato il dono con cui la regina Berenice aveva deciso di onorarli, che sollevarono la lunga treccia fino ad appuntarla in cielo, fissandola a tre stelle del firmamento.
Fu così che da quel giorno, quelle tre stelle che vediamo formare una piccola V nei pressi del centro della coda del carro dell’Orsa Maggiore, grazie alla rivelazione di Conone, presero il nome di Chioma di Berenice.
Questa costellazione non è molto luminosa e appariscente, dal momento che le sue stelle sono tutte al di sotto della quarta magnitudine, ma consta di circa 1000 galassie poste a quasi 350 milioni di anni luce da noi.
E fu proprio osservando una delle code di questa “capigliatura galattica”, o forse è più appropriato dire, osservando soltanto un ricciolo di questa capigliatura, che l’astronomo, svizzero di nascita ma naturalizzato americano, Fritz Zwicky nel 1933 fece la scoperta pionieristica che ci porta dritti all’argomento dell’articolo odierno.
Impegnato nello stimare la quantità totale di materia contenuta nell’ormai celeberrima Chioma, Zwicky notò che le galassie viaggiano a una velocità così elevata che l’ammasso si disgregherebbe rapidamente se l’unica massa in gioco fosse quella visibile.
In altre parole, la velocità con cui si muovevano le Galassie nell’ammasso non poteva essere spiegata se si considerava unicamente l’attrazione gravitazionale esercitata dalla sola materia osservabile all’interno dell’ammasso.
Ribadiamo questo concetto fondamentale: sulla scorta delle osservazioni sperimentali, le galassie che si trovavano al centro degli ammassi galattici, si muovevano con una velocità maggiore di quella prevista.
Doveva esserci una grande quantità di materia che se ne stava “rimpiattata” tra le stelle come una sorta di Mastro Adamo siderale; quindi era necessario considerare anche la presenza di una componente rilevante di materia non luminosa.
Trenta anni più tardi, nel 1960, l’astronoma americana Vera Rubin misurò la velocità orbitale della galassia di Andromeda e, studiando la rotazione delle stelle e delle nubi di gas attorno alle galassie, mostrò che la materia oscura esiste non solo nello spazio intergalattico all’interno degli ammassi, ma che anche le stesse galassie sono composte in gran parte di materia oscura.
Venne osservato infatti che la velocità rotazionale nel piano galattico in funzione della distanza dal centro della galassia, rimaneva costante anche al di fuori del disco luminoso. Questo implica l’esistenza di un alone oscuro che contribuisce alla massa della Galassia proporzionalmente al suo raggio.
Oggi pensiamo che ogni galassia si trovi immersa in un alone di Materia oscura di dimensioni molto maggiori rispetto alla parte visibile della galassia stessa e si ritiene, sulla base di calcoli complicatissimi, che la quantità di materia non luminosa, cioè materia oscura, possa essere addirittura quattro volte maggiore rispetto alla materia luminosa.
E’ importante notare che le stelle alla periferia delle galassie si muovono alla stessa velocità di quelle al centro.
Le prove dell’esistenza della Materia oscura si sono moltiplicate dopo la fondamentale scoperta dell’astronoma Vera Rubin, ma fino ad un recente passato, erano state tutte dedotte dall’osservazione dei raggi X emessi dai gas caldi che circondano le galassie ellittiche.
La Materia oscura è stata adesso smascherata anche attraverso lo spettacolare fenomeno delle lenti gravitazionali.
I corpi celesti, a causa della massa elevata, esercitano una forza di gravità tale da deviare la luce che passa loro vicino. Più prosaicamente, essi si comportano come noi scolari che “accecavamo” il professore facendo incidere su una lente un raggio luminoso proveniente dalla finestra.
Ad esempio, la luce di una stella, passando accanto a un’altra che si trovi più vicina all’osservatore, può essere focalizzata in un punto o formare serie di immagini distorte o attorcigliate. Tutto dipende dal nostro allineamento rispetto alle sorgenti luminose. Questo tipo di interazione fu ipotizzata già da Einstein negli anni ’20, gli “Anni d’oro della Fisica”, e indagata nei decenni successivi attraverso osservazioni accurate. Ma questi fenomeni, detti “di lente gravitazionale”, fino a trent’anni fa erano considerati poco più che curiosità teoriche.
Tutto questo straordinario accumulo di conoscenze ci conduce alle stesse conclusioni circa la presenza preponderante di Materia oscuranell’Universo che, abbiamo detto e ripetuto, per sua stessa natura è nascosta.
Oggi, invece, grazie a strumenti di altissima precisione come il telescopio spaziale Hubble e il telescopio Cfht, siamo in grado di studiare con notevole perizia la distribuzione di materia e gravità nell’universo.
La Materia oscura non può essere osservata direttamente, e neppure i fisici delle particelle hanno mai avuto la fortuna di rilevarla attraverso i numerosi e sofisticati esperimenti che vengono portati avanti nei più prestigiosi istituti di ricerca del mondo.
La nostra incapacità di vederla o di captarla, e questa è davvero una cosa interessante, ci fornisce però indizi su come si comporta: per esempio, deve avere poche interazioni tra sé e con la materia ordinaria, eccetto per la forza di gravità, altrimenti l’avremmo colta in flagrante a emettere luce e a interagire con le altre particelle.
Dal momento che la Materia oscura interagisce soprattutto per mezzo della gravità, ha alcune curiose proprietà.
Una nube di gas caldo nello spazio può perdere energia emettendo luce e quindi raffreddarsi, mentre una nube grande e fredda di gas può collassare sotto la propria stessa gravità e formare stelle.
La materia oscura invece non può perdere energia emettendo luce.
Così, mentre la materia ordinaria può collassare in oggetti densi come stelle e pianeti, la Materia oscura resta più diffusa.
Noi facciamo un po’ eccezione: la Materia oscura, che domina la massa dell’Universo, è ben poca, secondo gli scienziati, nel nostro Sistema solare.
Poiché il moto della Materia oscura è dominato esclusivamente dalla gravità, è anche relativamente facile farne un modello per l’analisi e per le simulazioni.
Dagli anni Settanta sono stati sviluppati numerosi modelli teorici per spiegare il comportamento della Materia oscura, e si è peraltro cercato di tener conto di un alto numero di galassie massicce e di ammassi di galassie.
Inoltre, le simulazioni possono fornirci modelli descrittivi di cosa sia avvenuto nel nostro Universo dal Big-Bang in poi.
La Materia oscura non solo riesce a spiegare i dati, ma ha anche un elevato potere predittivo.
Le certezze però nella scienza, da Galileo in poi, sono divenute provvisorie.
Al momento non possiamo non credere all’esistenza della Materia oscura, proprio perché la sua presenza è suffragata dagli studi sulla gravità e ha quindi fondamenti solidi.
Può però essere possibile che la gravità sia più elevata ad ampie distanze, ma è solo un’ipotesi.
Sono state anche elaborate teorie della gravità alternative, come la MoND, Dinamica Newtoniana Modificata, che è l’esempio più conosciuto.
Ma come distinguiamo la materia oscura dalla gravità modificata?
Diciamo che, nella maggioranza delle teorie, la gravità attira massa.
Dunque, nell’ipotesi in cui non ci fosse Materia oscura, la gravità attirerebbe la materia ordinaria, mentre se la materia oscura dominasse allora la gravità dovrebbe attirare soprattutto materia oscura.
E invece le cose non vanno proprio in questo modo, dal momento che la Materia oscura e quella “convenzionale” più o meno si inseguono a vicenda.
Ma ci sono alcune utili eccezioni.
Fate scontrare nuvole di gas e Materia oscura e vedrete che il gas collide per formare un’unica nube.
Diversamente si comportano le particelle che costituiscono la Materia oscura, sotto l’influsso della gravità.
È proprio questo che accade durante le collisioni tra le galassie.
Siamo in grado di misurare l’attrazione gravitazionale nella giostra delle galassie che si scontrano: grazie allo zio Albert sappiamo infatti che la gravità non attira soltanto la massa ma anche la luce, quindi le immagini di galassie che si contorcono come monaci tibetani sono la prova della presenza di attrazione gravitazionale.
Proprio in seguito alle collisioni fra ammassi di galassie, la gravità si concentra dove dovrebbe esserci la Materia oscura, non dove ci si aspetterebbe la presenza di materia ordinaria.
Ma non si esaurisce tutto qui.
Siamo anche in grado di tornare indietro nel tempo per valutare l’influenza della Materia oscura fino alla nascita dell’universo, dal “Fiat lux”, poiché le ultime tracce del Big Bang possono essere osservate in tutte le direzioni.
E nella palla di materia ardente generata dall’autoscontro galattico possiamo cogliere la presenza di increspature risultanti dall’onda sonora che attraversa il gas ionizzato.
Queste creste sono il risultato dell’interazione tra gravità, pressione e temperatura.
La Materia oscura interagisce con la gravità, ma non risponde a variazioni di temperatura e pressione come la materia ordinaria, di conseguenza la forza delle onde sonore dipende dalla proporzione tra materia ordinaria e Materia oscura.
Sono state le misurazioni di queste increspature, raccolte per decenni da eserciti di fisici, astronomi e cosmologi, sia grazie ai satelliti che agli osservatori a terra, a condurci alla consapevolezza che la Materia oscura batte la materia ordinaria.
E non è un successo di misura.
La maggioranza degli scienziati è pronta a scommettere che la Materia oscura sia la spiegazione più plausibile per molti fenomeni cui assistiamo nell’universo, ma i grattacapi non mancano, nonostante l’enormità delle energie intellettuali e tecnologiche dedicate a questi argomenti di frontiera.
Esistono infatti molti ostacoli teorici per i più semplici modelli di Materia oscura, come ad esempio la presenza di un numero elevato di piccole galassie satellite.
Ogni problema però, sia nella scienza che nella vita quotidiana, è soprattutto un’opportunità.
Al momento non abbiamo possiamo purtroppo affermare di conoscere direttamente la Materia oscura, un po’ come capita con quei parenti che sappiamo di avere ma non abbiamo mai incontrato, se non nei racconti dei nonni.
Stiamo però imparando molte cose sul suo conto attraverso esperimenti di varie tipologie a cui partecipano studiosi di tutto il mondo.
Speriamo di essere riusciti a darvi un’idea per quanto incompleta di cosa sia questa misteriosa Materia oscura.
Nel frattempo però, dato che adesso è finalmente finito il lock-down e possiamo uscire di nuovo “a riveder le stelle”, cerchiamo nel firmamento le tre stelle a cui è appuntata la treccia della regina Berenice, che tanta importanza hanno avuto per la comprensione profonda del nostro Universo.
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