Ormai è tutto drammaticamente chiaro: il previsto ingresso dell’Ucraina nella Nato – uno scenario che al momento restava solo nel campo delle congetture – è stato per Putin un autentico pretesto. Non c’erano rampe missilistiche in costruzione nei sobborghi di Kiev, né dispiegamento di forze armate sul campo osservabili da aerei spie come avvenne nel 1962 a Cuba. E chi ha parlato o scritto dell’Ucraina di oggi come una crisi cubana al contrario, dove sarebbe stata la Russia a rispondere alla minaccia americana, beh, si sbagliava oppure semplicemente era in malafede.
Che in Italia ci sia un partito trasversale di filoputiniani è acclarato: dall’estrema destra all’estrema sinistra, toccando i vertici di quella che fu l’accoppiata giallo-verde i quali fino a ieri l’altro vantavano contatti diretti con il Cremlino ( un certo Matteo Salvini orgogliosamente indossava la t-shirt con la faccia del dittatore e diceva di sentirsi “a casa” a Mosca; senza dimenticare le uscite farneticanti di Alessandro Di Battista sulla non-invasione dell’Ucraina, giusto per citare un paio di nomi noti), sono stati diversi i politici italiani a subire il fascino dell’uomo forte: un fascino che ben si sposava con l’antiamericanismo che nel nostro Paese ha una lunga tradizione tanto a destra quanto a sinistra.
La questione, per Putin, non è dunque la Nato o meglio la Nato non è la questione primaria. La vera questione è la democrazia in Ucraina: è questa la spina nel fianco che il dittatore non sopportava più. Avere una democrazia con un presidente eletto a maggioranza e dove gli oppositori non vengono incarcerati o avvelenati; e soprattutto averla praticamente vicino casa, era diventato insostenibile per lui. E se i russi, vedendo che la democrazia non è solo una caratteristica dei popoli occidentali ma si può realizzare anche nell’est, si fossero messi in testa di prendere la stessa strada?
Questo pensiero Putin deve averlo maturato nel corso degli ultimi anni e, chissà, forse durante la fase acuta della pandemia e del lock-down in lui può essere diventato un pensiero ossessivo; al punto da portarlo a compiere il balzo, a osare quello che dopo l’Ungheria del ’56 e la Cecoslovacchia del ’68 nessuno dei suoi predecessori aveva più deciso: far entrare i carri armati in una capitale europea per ristabilire l’ordine e impedire la nascita della democrazia.
Eppure ci sono delle differenze con le invasioni sovietiche del passato. La prima, la più ovvia, è che l’Ucraina è ormai una democrazia consolidata da anni; tanto è vero che il popolo ucraino sta combattendo con tutte le forze perché non è disposto a rinunciare alla sua libertà. La seconda è che Putin non è un comunista; anche se nato e cresciuto nel Kgb, non ama l’URSS e non intende rifondarla. Lui è un nazionalista con il cuore nell’antico impero zarista; e infatti quando parla in televisione ha alle spalle, accanto alla bandiera della Confederazione russa, la bandiera con l’aquila bicipite dei Romanov.
Per quest’ultima ragione (il nazionalismo putiniano che si ispira a Pietro il Grande e ad Alessandro I) sta facendo benissimo l’Europa democratica a non farsi trascinare nella trappola dello scontro diretto tra nazionalismi, che nel 1914 provocò il primo conflitto mondiale della storia.
Al nazionalismo e alla violenza che esso comporta non si deve rispondere con la guerra, perché significherebbe imboccare una strada di morte e distruzione. Il presidente Biden ha evocato, in modo fin troppo esplicito, questo scenario; e si è giustamente mosso colpendo la Russia sul suo fianco debole: l’economia e la finanza. E’ questa la via che prima o poi costringerà Putin a rivedere il suo disegno imperialista e neo-zarista.
Da parte nostra – e della Germania – ci sono stati dei tentennamenti: vuoi perché i filoputiniani hanno cercato di premere il freno sulle sanzioni, vuoi perché la nostra dipendenza energetica dal gas della Russia è oggettivamente un problema. Ma poi Mario Draghi è intervenuto mettendo fine a ogni inutile dibattito, insopportabile mentre la popolazione di Kiev viene bombardata. L’Italia si muoverà all’unisono con tutti i paesi dell’Unione Europea, percorrendo la via della fermezza e delle sanzioni economiche contro la Russia; e se per questo ci sarà bisogno di riaccendere le centrali a carbone o di trivellare la Pianura Padana per rifornirci di tutto il gas che abbiamo sotto i piedi, ebbene, dev’essere fatto.
Certamente nessuno di noi è disposto a morire per Kiev come i nostri nonni e bisnonni che combatterono per Trento e Trieste; ma se quest’anno le bollette del gas ci costeranno l’ira di Dio, malediciamo Putin e paghiamo senza lamentarci troppo. E, soprattutto, guardiamoci dai filoputiniani.
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