Il Meccanismo europeo di stabilità (MES) è stato creato nell’ottobre del 2012 per centralizzare gli interventi, in gran parte bilaterali, a favore della Grecia, e per rafforzare un’istituzione di intervento (l’EFSF) resa necessaria dalla crisi dei debiti. Il MES è regolato da un Trattato ad hoc, richiamato nel Trattato del Fiscal Compact. È quindi esterno alla Commissione europea e al Parlamento europeo, una specie di FMI europeo.
Il MES svolge la funzione di “prestatore di ultima istanza” nell’Unione Monetaria, per cui, tranquillizzando i mercati, rende meno probabile il ripetersi di situazioni di crisi. Segue una logica di assicurazione, ma rappresenta un importante fattore di solidarietà e di divisione del rischio sovrano. La solidarietà dei paesi più solidi dell’Eurozona, a cominciare dalla Germania che è il suo principale contribuente, nei confronti dei paesi più fragili, tra cui il nostro, deriva dal fatto che, a differenza di una normale assicurazione, i contributi al capitale del MES (80 miliardi di euro versati, su 704 autorizzati e attivabili con breve preavviso in caso di necessità) non sono commisurati alla rischiosità di ogni assicurato, ma dipendono esclusivamente dalle dimensioni del paese in termini di Pil e popolazione. Per questo motivo, la Germania contribuisce con la quota più elevata (26,9%), anche se la sua rischiosità, misurata dagli spread o dai CDS è la più bassa dell’eurozona. L’Italia contribuisce con una quota del 17,8% che corrisponde a 14 miliardi di capitale versato e 125 miliardi di capitale autorizzato.
Le possibilità di intervento del MES sono notevoli dato che l’ammontare impiegabile è un multiplo del suo capitale perché può emettere obbligazioni sui mercati internazionali a tassi molto convenienti e con scadenze molto lunghe. Ciò è reso possibile dalla dotazione di capitale e anche dallo status di creditore privilegiato di cui gode l’istituzione, secondo solo al Fondo Monetario Internazionale. Finora ha erogato prestiti per 254,5 miliardi, utilizzati per cinque paesi, oltre alla Grecia che ha avuto tre diversi pacchetti di aiuti, l’Irlanda (febbraio 2011), il Portogallo (giugno 2011), la Spagna per la ricapitalizzazione delle banche (dicembre 2012) e Cipro (maggio 2013). Va inoltre considerato che i prestiti del MES danno accesso de plano alle OMT (Outright Monetary Transactions) della Banca Centrale Europea, quelle operazioni che, lanciate nell’agosto del 2012, hanno avuto un effetto calmieratore sui mercati, pur se mai messe in opera. In linea di principio, le operazioni OMT sono di ammontare illimitato, e questo basta come deterrente della speculazione.
Il processo di riforma del MES è stato avviato nelle riunioni dell’Eurogruppo e dell’Eurosummit di dicembre 2018; specifiche proposte hanno ottenuta un via libera di massima nelle riunioni di questi stessi organismi nel giugno del 2019. L’approvazione definitiva dovrebbe avvenire a dicembre. Far finta di apprendere ora questo di importante passo avanti della governance dell’Eurozona è poco credibile.
Per quanto riguarda l’Italia i vantaggi del meccanismo e della riforma sono numerosi ed evidenti. Il più importante è che, pur gravata da un elevato debito su PIL, gode di una potenziale linea di credito che potrà venire in aiuto se ne presenteranno le circostanze. L’elemento problematico della riforma, secondo alcuni osservatori, è che nella sua versione originaria sembra che un paese che chiede assistenza al MES debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso MES. L’intenzione di questa posizione dura sarebbe quella di evitare, come è avvenuto nel caso della Grecia, che un Paese il cui debito non è sostenibile utilizzi i fondi del MES per rimborsare i creditori privati senza che questi abbiano contribuito. Si vuole anche evitare che un debito troppo elevato determini un aggiustamento fiscale eccessivo, con effetti fortemente recessivi. Ma l’elemento dirompente sarebbe non nella possibilità che un debito sovrano venga ristrutturato ma nell’idea che la ristrutturazione diventi una precondizione automatica, per ottenere i finanziamenti. Ciò indurrebbe i possessori dei titoli sovrani in oggetto a venderli sul mercato prima che abbia inizio la ristrutturazione con un caos nei mercati.
In realtà, non si prevede alcun nesso automatico tra richiesta di assistenza finanziaria al MES e ristrutturazione del debito pubblico. Ma vi sarà un’analisi di sostenibilità del debito paese che fa richiesta di assistenza, ovvero si valuterà se, grazie agli aiuti europei e alle misure concordate, un paese sarà in grado di riportare il rapporto tra debito pubblico e PIL su una traiettoria discendente, tale da scongiurare una futura insolvenza. Se questa valutazione desse un esito negativo, prima di accordare il prestito si dovrebbe procedere a ristrutturazione del debito, imponendo dunque dei costi ai detentori dei titoli come il taglio del valore delle obbligazioni e/o degli interessi, allungamento delle scadenze di rimborso. La novità rispetto alla situazione attuale è un maggiore coinvolgimento del MES nella analisi di sostenibilità, attualmente affidata alla Commissione europea e alla BCE. Qui potrebbe inserirsi un aspetto critico, dovuto al fatto che la riforma in itinere sposta decisamente l’asse del potere economico nell’Eurozona dalla Commissione Europea al MES, che è un’istituzione tecnica intergovernativa. In realtà nelle ultime dichiarazioni del Commissario Dombrovskis si ribadisce che la Commissione, con il suo ruolo politico, avrà comunque l’ultima parola. Su questo bisognerebbe però avere qualche riassicurazione in più.
La riforma del MES ha anche una rilevanza ai fini dell’Unione bancaria, infatti il MES può erogare prestiti al Fondo europeo destinato a gestire le crisi bancarie: il Single Resolution Fund (SRF). Questa è una novità positiva e da tempo richiesta nel dibattito europeo da paesi come il nostro. Essa consente al SRF di disporre di una linea di sicurezza (common backstop) in caso esaurisca le sue risorse. Il fatto che questa sia fornita dal MES implica una prima forma, seppure limitata, di condivisione dei rischi paesi dell’Eurozona. Finora, le risorse fiscali usate nelle crisi bancarie erano solo quelle nazionali. Comunque, il completamento dell’Unione bancaria richiede anche altre riforme, a cominciare dall’introduzione di una assicurazione europea dei depositi.
Al riguardo, la recente proposta avanzata dal ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz è ancora deludente. Non si tratterebbe di una vera assicurazione, ma solo di un sistema di prestiti che interverrebbe in seconda battuta, una volta esaurite le risorse dei fondi di assicurazione nazionali. Ed anche su questo fronte che il governo italiano dovrebbe pretendere più chiarezza e più coraggio.
Ad ogni modo, il punto importante, che si stenta a capire nel dibattito italiano, è però che queste difficoltà e questi timori relativi al funzionamento del MES non derivano dal nuovo trattato ma dalla pervicace insistenza dei governi italiani a non prendere in considerazione solennemente ed esplicitamente una politica di rientro dal debito. L’idea maligna che il costo di aggiustamento lo si voglia spostare sui contribuenti tedeschi e olandesi è piuttosto dura da scalfire. Non bisogna dimenticare che questi paesi, con un stock di debito intorno al 60% del PIL, non faranno mai ricorso al MES, e invece noi siamo dei concreti potenziali utilizzatori. Se facciamo saltare tutto non firmando il Trattato saremo i primi a pagarne le conseguenze: i mercati avranno un motivo in più per non fidarsi di noi e vendere i nostri titoli.
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