Il piano Briand è presentato nel 1930 dal governo francese alla Società delle Nazioni e lì termina la sua corsa, travolto dal precipitare degli eventi e dall’ascesa di Hitler che portano allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Contro i nazionalismi responsabili delle guerre che nel tempo hanno insanguinato l’Europa si rilancia, nel pieno del conflitto, l’urgenza di costruire l’Europa: tra le varie proposte spicca il Manifesto di Ventotene, redatto nel carcere di quell’isola nel 1941 da Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli.
Un progetto che ha avuto grande fortuna ed è diventato la pietra di paragone per misurare il tasso di europeismo delle diverse scelte che nel concreto debbono essere decise giorno per giorno.
Il Manifesto è divenuto un mito, a prescindere dalle proposte che gli autori avanzano e che ovviamente sono figlie del loro tempo ma anche della loro personale visione del mondo.
A questo è dedicata la seconda intervista al Professor Zeffiro Ciuffoletti.
Il Moloch che divora le nazioni è chiaramente individuato nel nazionalismo e contro il risorgere dei nazionalismi si avverte l’urgenza di costruire subito l’Europa: ma come si configura questa idea d’Europa nei rapporti tra dimensione nazionale e sovranazionale?
È vero che i nazionalismi furono la causa della grande guerra e anche della seconda, ma solo se si precisano i contesti. Furono gli errori di calcolo delle classi dirigenti degli stati europei e degli stati maggiori, in primis tedesco, a provocare l’effetto domino della Prima guerra mondiale. In più la confluenza di tre imperi multinazionali nel vulcano dei Balcani, dove permanevano eredità di violenze etniche e religiose e nello stesso tempo si manifestavano gli effetti destabilizzanti del disfacimento dell’impero ottomano. Quindi il nazionalismo è una spiegazione che va calata in un contesto specifico, così come lo scoppio della Seconda guerra mondiale va calata nel fallimento degli assetti dopo il trattato di pace e nell’emergere di ideologie che alteravano il gioco democratico e si ponevano come soggetti armati per i quali la forza e la violenza era la vera levatrice della storia.
Un attimo: ma il revanscismo non ebbe un ruolo fondamentale? C’è un revanscismo francese contro l’umiliazione patita a Versailles nel 1870, c’è un revanscismo tedesco contro l’umiliazione di Versailles 1919
Il termine “revanscismo” fu usato nella Francia dopo la sconfitta del 1870 e la forzata cessione a favore della Germania dell’Alsazia e della Lorena. Non c’è bisogno di ricordare il boulangismo (N. d. R. Movimento politico francese, a carattere nazionalista, che, nella Terza Repubblica, ebbe a capo il generale G.-E. Boulanger (1837-1891), da cui prese il nome.) e l’antisemitismo esploso con il caso Dreyfus. Questo stesso sentimento di rivincita si sviluppò come rifiuto delle condizioni di pace di Versailles del 1919 che imponevano non solo la cessione dell’Alsazia-Lorena ma anche lo spostamento dei confini fino alla riva sinistra del Reno. Si voleva l’annientamento della Germania. L’umiliazione dei tedeschi e poi la crisi economica, ed in particolare la mostruosa inflazione che colpì il popolo tedesco furono la miscela che alimentò il nazionalsocialismo hitleriano. Ecco perché le sorti dell’Europa si giocano sempre sulla tenuta dell’asse franco-tedesco.
Chiaro. Torniamo ai rapporti tra nazionalismi ed ideologie
Queste ideologie renderanno impraticabile la pur realistica visione che la grande guerra era stata una tragedia da cui bisognava partire per evitare conflitti e cioè per ridurre i conflitti alle ragioni della politica e della mediazione politica. In realtà tutta l’Europa era da due secoli pervasa dalla marcia dei popoli verso la loro autodeterminazione nazionale Tutti ritenevano che come nei famosi 14 punti di Wilson per la pace e la democrazia l’autodeterminazione delle nazionalità doveva trovare una soluzione ragionevole.
Così però non fu e, come al solito, i buoni principi americani si rivelarono difficili da realizzare nel complesso quadrante dell’Europa balcanica e della Mitteleuropa. Anzi dopo la rivoluzione bolscevica tutto era più difficile e la guerra si stava trasformando in guerra di classe o in guerra civile dentro le nazioni e poi nella “guerra civile europea”. Questa premessa per capire quanto il Manifesto di Ventotene fosse importante ma anche quanto fosse utopico.
Parliamo dagli estensori del Manifesto: chi sono, quale visione del mondo condividono?
Il Manifesto sortì dal cuore dell’antifascismo e fu scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni tutti e tre confinati a Ventotene. Proprio mentre la spinta nazista e fascista sembrava inarrestabile e si spingeva dall’Europa all’Africa all’Asia.
Condannato a 16 anni di carcere per il suo antifascismo militante, Spinelli, proprio nel carcere, maturò una critica radicale al comunismo proprio da un punto di vista federalista altrettanto radicale nei confronti non solo del nazionalismo ma dello stato-nazione a sovranità assoluta. Il fascismo, mettendo insieme dei cervelli pensanti, provocò l’incontro di Spinelli con un antifascista di matrice liberale come Ernesto Rossi ed uno di matrice socialista e rosselliana come Eugenio Colorni, condannato al confino di Ventotene proprio nel 1939.
Spinelli, influenzato dalla critica di Einaudi alla Società delle Nazioni e dalle idee federaliste inglesi, nel 1930 fu condannato a vent’anni di carcere, di cui nove trascorsi in galera e quattro al confino di Ventotene.
Spinelli nel 1943 fu uno degli animatori del Movimento federalista europeo a Milano, come Rossi lo fu a Firenze mentre fu Colorni a pubblicare a Roma il Manifesto di Ventotene con una importante prefazione sulle matrici del federalismo. Fermato a Roma dalle milizie fasciste, Colorni fu ferito mortalmente e si spense il 30 maggio 1944, pochi giorni prima che la capitale fosse liberata dalle truppe alleate.
Nel resto dell’Italia centro-settentrionale il movimento partigiano, al di là della retorica successiva, salvò la dignità del nostro Paese. Anzi agli iniziali pochi partigiani combattenti, comunisti, azionisti, cattolici e socialisti antifascisti bisognerebbe aggiungere le formazioni dei soldati che combatterono con gli alleati e i tanti che si rifiutarono di combattere accanto ai nazisti e finirono nei campi tedeschi.
Il Manifesto di Ventotene in qualche modo diede una dimensione europeista alla Resistenza italiana e un solido ancoraggio politico all’azione politica di Einaudi e di Alcide De Gasperi al momento della ricostruzione.
Ma come si configura questa idea d’Europa nei rapporti tra dimensione nazionale e sovranazionale? Non si può dimenticare che si lottava per riconquistare l’indipendenza nazionale dagli invasori nazifascisti e sovietici.. e subito veniva ceduta ad un’altra entità sovranazionale.
Non bisogna mai dimenticare che il Manifesto di Ventotene fu pensato nel 1941 quando gli stati nazionali, squassati dall’occupazione nazista prima e poi da quella comunista, si pensi alla Polonia, sembravano ormai destinati alla fine. Inoltre Spinelli non era più comunista, ma era “leninista” che è pure peggio. Aveva la forma mentis del bolscevico. Pensava alla lotta armata, con l’obiettivo di battere il nazifascismo, ma anche per impedire la ricostruzione degli stati nazionali. Spinelli, quando fu liberato, tentò d’influenzare i vari movimenti della Resistenza in Europa, ma dovette prendere atto che questi volevano prima di tutto cacciare gli occupanti e ristabilire la democrazia “a casa propria”. Una delusione dietro un’altra e Spinelli si trovò a fare diverse parti nel passaggio dalla guerra alla ricostruzione.
Sarà, come si è detto, agitatore ma poi anche consigliere degli uomini di governo e dei capi di partito.
Si vantò, nelle sue memorie, di aver convertito al federalismo prima De Gasperi, Poi Nenni ed infine Berlinguer. Alla fine approdò al Parlamento europeo insieme con Giorgio Amendola. La realtà, purtroppo, non si piega tanto facilmente alle utopie, nemmeno le più nobili. Quanto agli impulsi leninisti, questi erano addirittura pericolosi per la libertà.
Già prima del 25 luglio, ad esempio Colorni, si domandava se la vittoria degli alleati e la liquidazione dell’impero nazista, non avrebbe potuto portare ad un compromesso tra i vincitori come avvenne in effetti a Yalta. Compromesso che avrebbe impedito lo sviluppo di una rivoluzione europea come premessa di un’Europa federata.
In più i vari movimenti di resistenza miravano a riconquistare l’indipendenza nazionale e la libertà.
Si capì subito però, però, che l’Europa era stata liberata dagli eserciti alleati e i movimenti di resistenza nazionali, presto, molto presto, avrebbero dovuto fare i conti con le forze degli eserciti occupanti. Se ne resero conto nelle nazioni occupate dall’Armata rossa, ma ne presero atto anche i paesi liberati dalle forze anglo-americane, che peraltro erano molto più rispettose degli equilibri politici e del pluralismo.
Tant’è vero che fin da subito, al momento della divisione della Germania e della stessa Berlino, milioni di tedeschi e di polacchi si misero in movimento verso ovest per sfuggire alla “tutela” sovietica.
L’Europa era divisa e con la guerra fredda il bisogno di libertà coincideva con il perimetro nazionale, così come la democrazia.
Il Manifesto di Ventotene prefigura un pervasivo intervento dello stato nell’economia, nella società, nell’istruzione per la cui realizzazione, ti cito Corrado Ocone, serve una rivoluzione nel senso preciso del termine, un processo cioè che, in vista dell’obiettivo, sospenda l’ordine democratico, non rifiuti l’uso della violenza, sia guidato da una élite di rivoluzionari molto determinati e con gli occhi fissi verso l’obiettivo dell’Europa socialista. È il tratto “giacobino-leninista” del Manifesto, che lo stesso Spinelli avrebbe ammesso molti anni dopo. “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”. Concordi con queste valutazioni?
No, ma la risposta l’ha già data la storia. Potrei dire di più, che il gauchismo spesso si sposa col massimalismo. Due facce della stessa medaglia, che producono quella doppiezza come vizio ideologico che va ben oltre al machiavellismo della politica ed al gioco democratico
Ma allora quale ruolo ha esercitato il Manifesto di Ventotene? .
In questo contesto di guerra fredda incipiente fu proprio il progetto d’integrazione portato avanti nell’Europa Occidentale dagli statisti europei che ne avevano compreso l’importanza e di cui abbiamo già fatto menzione (Schuman, Adenauer, De Gasperi, Spaak, e l’ideatore della CECA Jean Monnet) a rilanciare il ruolo degli stati a “sovranità” limitata. Lo stesso effetto ebbero gli aiuti americani del Piano Marshall così come assai importante per la crescita democratica ed economica delle nazioni che aderirono alla Comunità europea fu lo sviluppo del Welfare state, in contrasto con il modello americano che si affermò, invece, sul piano della cultura.
Tutto ciò naturalmente non era scritto nel Manifesto di Ventotene che per molti decenni, infatti, fu dimenticato.
Se io ti dicessi che (leggendo Anne Applebaum) il Manifesto di Ventotene ha trovato compiuta realizzazione in una parte d’Europa, quella al di là della cortina di ferro con assunzione del potere contro i risultati elettorali, sistema politico a partito egemone se non unico, stretto controllo sulle organizzazioni nazionalizzazioni generalizzate, assieme a mercato comune (COMECON) tu cosa mi risponderesti?
Domanda che contiene una risposta. Una risposta paradossale ma vera. Su cui la storiografia non ha mostrato sufficiente capacità di comprensione. Un mercato unico, senza libertà e un minimo di autonomia nazionale, portò più volte i popoli di oltrecortina, Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia a rivolte represse dai carri armati sovietici.
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D’altronde, se rifiuti il gioco democratico, è naturale che tu voglia imporre la tua visione eliminando gli oppositori al governo uno ad uno,. “tagliandoli via come fette di salame”, come ebbe a dichiarare il leader comunista ungherese Rakosi,
Stefania
Da leggere. Il romanzo “ la macchina del vento “ ed. Einaudi ambientato fra i confinati di Ventotene che tratta delle prime reazioni al Manifesto di Spinelli. La discussione che ne deriva non troverà una sintesi ma porterà ad una divisione fra chi lo aveva scritto ed il resto dei confinati nell’isola.