“Non ho mai visto una borghesia così cretina – disse una volta Indro Montanelli – Nel ’68, quando c’erano l’Unione sovietica, il Muro di Berlino e i gulag, i nostri rivoluzionari da salotto si esaltavano per i gruppi di estrema sinistra. Ora invece il comunismo è caduto, e Berlusconi vince le elezioni dicendo di voler salvare l’Italia dai comunisti”. Così il Direttore nel lontano ’94, all’indomani della celebre “discesa in campo” del Cavaliere, che lo aveva licenziato.
Chissà come Montanelli commenterebbe oggi, se fosse vivo, il generale clima di simpatia, amicizia e ammirazione, e l’aperto sostegno politico, di cui gode in Italia il presidente russo Vladimir Putin.
Il “caso Putin” non è solo politico. E’ anche un fenomeno sociale, culturale, di costume. Putin piace, è rispettato e stimato ben al di là delle sue idee o del suo operato. Le caratteristiche del suo governo non sono inquadrabili in categorie ideologiche precise, il partito che lo sostiene si chiama semplicemente “Russia unita”. Non per niente, il termine “populismo” nacque, nell’800, proprio da quelle parti.
Per restare a Berlusconi, è curioso notare che, dopo aver legato i suoi successi all’ossessione per i comunisti, quando finalmente ne ha incontrato uno vero – un ex colonnello del Kgb! – se lo sia fatto subito amico. Non lo chiama mai Putin, sempre “l’amico Putin”, e lo invita a condividere lussuose vacanze private nelle sue residenze in Sardegna.
Anche Salvini, impegnato ieri contro “Roma ladrona”, oggi contro Bruxelles, guarda con grande simpatia a Mosca, storica capitale di un impero che da secoli costituisce una minaccia per la libertà europea.
Perché amiamo, stimiamo, ammiriamo Vladimir Putin?
Alle sue spalle operano potenti organizzazioni: la burocrazia, l’esercito, le grandi imprese, i controllori delle immense risorse naturali di un paese sconfinato. E naturalmente i servizi di sicurezza, di cui Putin mostra di essere, di volta in volta, burattinaio o burattino, in un rapporto di mutua complicità. Si pensi ai clamorosi omicidi di ex-spie russe in Gran Bretagna, commessi con l’utilizzo di sostanze pericolose e assai difficili da maneggiare.
Nella Russia di Putin sono stati uccisi decine e decine di giornalisti, assassinati o incarcerati i principali leader dell’opposizione, vietate e represse con violenza le manifestazioni contro il governo. Un patto scellerato vige fra potere politico e organizzazioni criminali. I primi chiedono solo di rispettare alcuni limiti; i secondi, in cambio, fanno ciò che vogliono, spadroneggiano a raffiche di mitra e si arricchiscono a livelli incalcolabili.
Li vediamo, i nuovi russi, nelle nostre città. Si muovono con grandi quantità di banconote in tasca, arrotolate in un elastico; si accompagnano a giovani donne vistose e procaci, alle quali regalano gioielli e vestiti griffati; sono scortati da bodyguard dall’aspetto inquietante, con vestito nero e auricolare; comprano le più belle ville lungo le coste del Mediterraneo, dove organizzano grandi feste da Mille e una notte.
Eppure, nulla di tutto questo ci dà da pensare. Semmai, suscita invidia. Allo stesso modo, Putin agisce senza scrupoli e questo lo rende ammirevole ai nostri occhi, alla stregua un grande statista.
Sul piano internazionale, la Russia sta conducendo guerre aggressive nel Caucaso, in Ucraina, in Siria. In quest’ultimo paese, ha fatto il “dirty job” nei confronti dell’Isis. Non sta bene dirlo, ma gli siamo riconoscenti per questo.
Eppure, basta sfogliare un libro di storia per sapere che Mosca rappresenta, da secoli, una minaccia per gli Stati europei, al di là della contingenza politica e ideologica del momento. Che si trattasse degli Zar, di Stalin, di Breznev o di Putin, vi è un’assoluta continuità in questo pericolo, incombente sul confine orientale dell’Europa. Perché ieri ci faceva paura, e oggi no?
Quando c’era il comunismo, ci sentivamo direttamente minacciati nel nostro diritto alla proprietà, eravamo giustamente preoccupati per il nostro denaro. L’idea di un’egemonia russa sull’Italia, oggi, non ci appare altrettanto grave. Insomma, siamo tutti “liberali” ma a ben vedere, di questa libertà, non ci importa poi un granché.
Alessandro Litta Modigliani
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