Non c’è che dire. La nuova uscita mediatico-politica di Matteo Salvini ha lasciato di stucco molti. Non per l’originalità della proposta quanto, piuttosto, per il pulpito da cui giunge, per la tempistica scelta dal leader lumbard e per le argomentazioni addotte, rese operative, a stretto giro di pagina -elemento da non trascurare-, nel “piano d’azione” messo in campo dal suo dirimpettaio (e forse avversario) interno; l’ex Sindaco di Cazzago Brabbia Giancarlo Giorgetti.
Nell’usato la novità!
Se infatti l’idea del “comitato di salvezza nazionale” come di altre forme di collaborazione istituzionale hanno da sempre segnato il farsi della nostra giovane Repubblica soprattutto in periodi di “bassa istituzionale”, la proposta leghista sembra avere dell’incredibile tanto da suscitare, a sinistra, l’interrogativo sull’inganno nascosto e, a destra, l’accusa di “intelligenza con il nemico”.
Si è parlato di desiderio di potere, della voglia di tornare al Governo dopo appena sei mesi dalla “grande rinuncia”, della resa all’ impossibilità di ottenere le urne anticipate, della necessità di spostarsi al centro con una proposta moderata che potesse riagguantare i fuggiaschi azzurri, dell’obbligo di recuperare un rapporto costruttivo con il Quirinale più volte bersaglio di “strali verdi”.
Argomentazioni argute che sembrano però non rispondere all’urgenza dell’uscita. Uscita che peraltro sembra intervenire a diversi livelli e puntare dritta al bersaglio grosso.
Sul versante interno l’iniziativa “buonista” di Matteo Salvini sembra un tentativo -tanto tardivo quanto goffo- di intestarsi la recente proposta di collaborazione istituzionale sulle regole della democrazia lanciata dall’ex Sottosegretario alla presenza del Consiglio dei Ministri Giorgetti e molto apprezzata sul Colle. Proposta che Giorgetti, nelle stesse ore, ha voluto rivendicare -marcando una sorta di leadership alternativa- con l’invocazione di un “Esecutivo d’emergenza” a guida Mario Draghi: fumo negli occhi del capo leghista!
Per altro conto, l’iniziativa di Salvini sembra rispondere all’urgente esigenza di strappare la centralità mediatica alle Sardine smentendo quella faccia feroce che è essenza stessa del nuovo movimento. Un’urgenza che si fa numero (i sondaggi parlano di un consenso “sardinista” al 25%) e che potrebbe significare debacle in Emilia-Romagna, in Calabria (dove i candidati presidenti del centrodestra sembrano essere addirittura due), in Campania ed in terra di Toscana dove la rinuncia al candidato presidente da parte della Lega è parsa a molti il lancio della spugna.
Ma il bersaglio grosso della sortita salviniana sembra essere ben altro. Da quando Mario Draghi ha lasciato la presidenza della Banca Centrale Europea in casa leghista ci si arrovella l’animo per trovargli un posto. Prima Salvini lo candida al Quirinale per il dopo Mattarella. Adesso Giorgetti lo propone come capo di un Esecutivo di “salvezza nazionale”. Un “bene” assai sospetto che sembra far trasparire -neppure troppo velatamente- la vera preoccupazione di Salvini. Ovvero che intorno a Mario Draghi possa costruirsi una solida e credibile maggioranza nel Paese capace di riporre per anni in soffitta le ambizioni leghiste.
Altro che “unità nazionale”; l’urgenza in casa leghista si chiama Mario Draghi
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