E’ cominciata (finalmente) la demolizione del famigerato “ovetto” che deturpa da anni il Ponte di Calatrava a Venezia. A beneficio dei lettori non veneziani (perché costoro conoscono benissimo la situazione) giova ricapitolare la vicenda. Come molti sapranno il Canal Grande a Venezia è stato a lungo, dal XIX° secolo, attraversato da tre ponti: il ponte di Rialto, quello storico e più famoso, e quelli degli Scalzi e dell’Accademia, oggi visibili nella forma con cui furono eretti negli anni 30. Nel 1997 (Sindaco regnante Massimo Cacciari) il celebre Santiago Calatrava donò alla città di Venezia il progetto esecutivo di un quarto ponte. Dalla linea essenziale ed elegante tipica delle opere di Calatrava avrebbe collegato i due principali terminal di accesso alla città storica: il terminal automobilistico (Piazzale Roma) e quello ferroviario, ovvero la stazione di Santa Lucia.
Si trattava di una proposta, per Venezia, a dir poco temeraria. Già in passato progetti di archistar come Le Corbusier e Frank Lloyd Wright si erano tristemente arenati di fronte a una … parmenidea idea di “perfezione imperfettibile” e intoccabile di Venezia. Un’opera di foggia modernissima incastonata nel cuore della città antica e per di più non nascosta in un’area periferica ma in bella vista a sorvolare il Canal Grande e proprio a cavallo dei terminal di arrivo, quasi a costituirne il biglietto da visita. Roba da far venire l’orticaria alla vasta schiera delle inesauste sentinelle della conservazione convinti che Venezia deve negare il divenire e rimanere ingessata in una perenne (e artificiale) autenticità.
Invece, sorpresa, il progetto piacque all’Amministrazione Comunale, l’idea di avvicinare i terminal venne considerata (giustamente strategica) e passò indenne tutte le forche caudine dei mille Enti proposti, delle Commissioni e dell’occhiuta Sovrintendenza ai Beni Artistici di Venezia. Il miracolo dunque si compiva, Venezia avrebbe avuto il suo IV Ponte modernissimo (e bellissimo, va detto). I lavori cominciarono nel 2003. Dovevano durare un anno e mezzo e ne durarono quasi 6. Si moltiplicarono anche i costi, ça va sans dire; in effetti il ponte è specialissimo, costituito da pezzi unici, assemblati a parte e poi trasportati (in tre “conci” separati). Epico in particolare il trasporto notturno del concio centrale, di notte, partendo da Porto Marghera, entrando dalla Punta della Dogana e passando millimetricamente sotto il Ponte di Rialto. Ma alla fine il ponte vide la luce. Con le alzate dei gradini dicono poco ergonomiche, con un percorso centrale in vetro scivolosissimo quando piove e di manutenzione costosissima. Ma di una linea spettacolare e effettivamente immediatamente attraversato da molti utenti (segno che dal punto di vista urbanistico e trasportistico la scelta era stata corretta).
Ma, colpo di scena: si scopre (dopo!) che il ponte, poiché costituisce una barriera architettonica per i disabili costretti in carrozzina, confligge con la “Legge Quadro 104/1992 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”che prevede, inter alia, la possibilità di approvare e finanziare esclusivamente di progetti privi di barriere architettoniche. Imbarazzante dimenticanza indubbiamente ma sarebbe bastato il buon senso di prevedere l’esenzione per gli handicappati del pagamento del traghetto del vaporetto nella singola tratta P.le Roma – Ferrovia). Troppo semplice: si è invece installata posticcia la cosiddetta “ovovia”, una struttura (vedasi foto) che non ha mai funzionato. Per oggettivi problemi di progettazione innanzitutto ma anche fosse mai potuto entrare in esercizio non avrebbe mai davvero avuto un’utenza: 7 minuti per attraversare il manufatto, chiusi in un ridicolo ovetto vetrato (che d’estate immagino si trasformava in una sauna..) quando era molto più comodo e logico prendere il vaporetto. 2 milioni di euro buttati nel cesso e un grave vulnus estetico, andando a confligge con essenziale nitore dell’architettura originale. Dopo anni di manifesta inutilità, finalmente la Corte dei Conti ha dato il via libera alla demolizione di questo monumento allo spreco. La tragicommedia ha dunque una fine. Non ha padri, come sovente accade per gli sprechi di denaro pubblico. In effetti, nella faticosa ricostruzione dei vari passaggi burocratici è difficile trovare un colpevole. Una fila di funzionari ed Assessori che si sono trovati a gestire un mostro partorito dall’ottusa impossibilità di risolvere la questione a monte garantendo il traghetto gratuito.
A Venezia, dove spesso si pecca di autoreferenzialità, si tende a leggere l’accaduto come paradigma di un andazzo tutto veneziano. Credo invece, e lo dico molto a malincuore, che di vicende come questa vi siano molti esempi in tutto il Paese. L’ovovia è a tutti gli effetti una storia italiana..
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