Mi piace spesso vedere la storia attraverso un dettaglio che può apparire insignificante, una figura in ombra, un aneddoto…
Leonardo Sciascia
“L’ordine regna a Varsavia”. Così rispose, nel 1831, il ministro degli Esteri francese interpellato alla Camera sulle repressioni russe in Polonia.
Chissà, forse Putin nei giorni immediatamente successivi quel 24 febbraio si aspettava di ricevere un dispaccio simile riferito alla capitale Ucraina, magari solo come primo di una lunga serie visto che in quei giorni proclamò che le sue truppe sarebbero state in grado di raggiungere in quarantotto ore Bucarest o Cracovia. D’altra parte era ormai abituato a comunicazioni siffatte: 1999 l’ordine regna a Grozny; 2008 l’ordine regna in Abkhazia e nell’Ossezia del Sud; 2014 l’ordine regna in Crimea; 2016 l’ordine regna a Aleppo… Invece no, questa volta l’ordine non regna a Kyïv.
Eppure c’erano tutte le premesse per un altro successo: il disimpegno Usa dall’Afghanistan e l’Indo-Pacifico che sta diventando il nuovo baricentro del mondo, i paesi dell’Ue che litigano su tutto e si ritrovano al loro interno partiti e gruppi economici che guardano a Mosca con simpatia, a volte ricambiata con moneta sonante. Non erano poi cosi campate per aria le previsioni di una rapida avanzata delle armate russe, la conseguente capitolazione dell’Ucraina, l’insediamento di un governo fantoccio guidato da un Lukašėnka qualsiasi, qualche tiepida rimostranza dei governi occidentali unita a un pacchetto di sanzioni pressoché innocue e infine una parata militare per celebrare l’aiuto fraterno portato al popolo ucraino finalmente tornato libero. Il tutto declamato con toni e espressioni della falsa lingua degli oppressori che Orwell, nel secolo scorso, e Tacito, quasi duemila anni fa, hanno insegnato a riconoscere e smascherare: “dove fanno un deserto lo chiamano pace”.
Non è andata così: Zelens’kyi non è scappato, l’Ue ha tenuto (è vero avrebbe potuto fare di più, ha fatto però quello che fino a pochi giorni prima sarebbe stato impensabile), la Nato ha ricevuto importanti e inaspettate richieste di adesione e, soprattutto, gli ucraini stanno dimostrando volontà e capacità di resistenza inaspettate e certo non previste da chi pensava che la parte russofona si sarebbe schierata con l’invasore.
Si sa che i dittatori più dura nel tempo il loro potere più sono portati a negare l’esistenza dei cigni neri e quindi credono di poter programmare il futuro così meticolosamente da non trascurare alcun particolare, tanto che al Cremlino, prima che la guerra (sì, chiamiamola così, con il suo nome, non adattiamoci alla loro neolingua) fosse ufficialmente dichiarata avevano non solo preparato ma anche distribuito le veline celebrative della vittoria. Poi, però, se il cigno nero arriva, e come in questo caso non da solo, si trovano un po’ spiazzati e fu così che qualcuno all’agenzia di stampa Ria Novosti, dopo solo due giorni di guerra, decise che, malgrado le notizie provenienti dal fronte, l’annuncio dell’”inizio di una nuova era” andava comunque pubblicato. Più in alto, qualcun altro, resosi conto della gaffe, o imbeccato da qualcuno ancora più in alto di lui, decise che quel lancio “non s’aveva da fare” e dispose l’immediata rimozione del testo. Ormai però il danno si dimostrò irreparabile dato che il file fu presto recuperare dalla cache del sito dell’agenzia e immediatamente rilanciato in rete (https://www.bbc.com/news/technology-60562240).
Emerge qui un’altra caratteristica dei dittatori: l’essere circondati da servi sciocchi e da aspiranti successori, tra cui alcuni attendono sulla sponda del fiume, altri invece più impazienti aspettano il momento buono per favorire il passaggio dei poteri. Sarebbe interessante capire se l’infelice scelta dei tempi per quella comunicazione sia dovuta ad un esponente della prima categoria convinto che gli ordini non si discutono mai o timoroso di irritare un suo superiore facendo presenti le sue perplessità o, ancora, alla manovra di un aspirante successore impaziente che non ha perso l’occasione di esporre ad una figuraccia le attuali alte sfere.
Ma non si esaurisce in questo il valore di testimonianza della sequenza “testo – pubblicazione inopportuna – immediato ritiro” perché considerati nel loro insieme non costituiscono solo un aneddoto per certi versi umoristico e del tutto marginale in un contesto drammatico. Dobbiamo piuttosto considerarli come la nota stonata scappata ad un bravo pianista, il particolare periferico di un dipinto che permette all’occhio esperto del critico di riconoscerlo come un falso oppure il dato incoerente sulla scena del crimine che porterà il detective alla soluzione del caso.
Facciamo un passo indietro, il 12 luglio del 2021 Putin pubblica un breve saggio intitolato Sull’unità storica di Russi e Ucraini. In realtà si tratta di una singolare interpretazione, esposta in una decina di cartelle, di poco più di un millennio di storia russa tesa a negare all’Ucraina il diritto di esistere dato che l’idea di nazione ucraina non avrebbe basi storiche, sarebbe solo un’invenzione di Polacchi e Austroungarici ripresa dall’Occidente, oggi come allora in funzione antirussa. E per quanto riguarda il territorio in questione sottolinea che le regioni a est del Dnepr che lo zar avrebbe incorporato per proteggerle dalle mire polacche e lituane erano chiamate Malorossiya (Piccola Russia) mentre con il termine Novorossiya (Nuova Russia) venivano indicate le terre del Mar Nero incorporate nella seconda metà del XVIII secolo. Anche questo, secondo lui, costituirebbe un fondamento storico–culturale per le pretese russe.
Cosa dovremmo pensare dopo aver letto, poche righe sopra, che lo storico Granducato di Lituania sarebbe più corretto chiamarlo Granducato di Lituania e Russia, sulla base di documenti storici non meglio specificati?
Colpisce infine e sfiora il grottesco, in questo pamphlet ideologico e/o falso storico, l’accusa agli ucraini di riscrivere e mitizzare la storia in quanto si permettono di “fare riferimento al periodo in cui l’Ucraina faceva parte dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica come occupazione” e addirittura osano descrivere l’Holodomor come un genocidio…
Comunque tutto questo costituisce la base culturale dei discorsi tenuti il 21 e il 24 febbraio con cui lo stesso autore motiva l’aggressione all’Ucraina.
Nel primo riprende la questione della nazione inesistente, creatura dell’Unione Sovietica, frutto di un cedimento di Lenin alle retoriche nazionaliste in allora tanto in voga. Dimentica però che tra il 1917 e il 1921, per l’indipendenza del paese, sia contro i Bianchi zaristi sia contro i Rossi, oltre ai nazionalisti combattevano, magari anche in lotta tra di loro, Socialisti Rivoluzionari e Anarchici che certo nazionalisti non erano ma non accettavano di passare da una dominazione a un’altra. In relazione a quel tumultuoso periodo è utile riportare un passo da un lavoro di Andrea Graziosi (L’Unione Sovietica 1914 – 1991, Il Mulino, 2011), uno dei più autorevoli studiosi dell’Urss, che illumina anche sui fatti di oggi:
“Questa aggressività si diresse a dicembre contro la Repubblica socialista ucraina. Lenin e Stalin, il commissario alle Nazionalità, ne decisero l’invasione, facendo in modo di ricevere una richiesta di aiuto da parte di un governo fantoccio, un meccanismo, applicato allora per la prima volta, che permetteva di salvaguardare il rispetto formale dell’autodeterminazione. L’invasione, che conobbe un veloce successo, fu la prima scelta di tipo imperiale di un governo che, sia pure ancora inconsciamente, prendeva su di sé l’eredità zarista.”
Proprio quell’eredità che oggi Putin rivendica apertamente…
Nel secondo discorso ricorda che nel ’41 l’Urss non provocava il potenziale aggressore ma fu lo stesso invasa per dire che questo errore non sarà ripetuto una seconda volta. Anche qui, però, manca qualcosa: Stalin fu sorpreso dall’Operazione Barbarossa perché considerava Hitler un leale alleato dato che il Patto Ribbentrop – Molotov non era solo un trattato di non aggressione ma era corredato da un protocollo segreto che prevedeva la spartizione della Polonia e gli garantiva mano libera verso i paesi baltici, Finlandia compresa.
Non manca l’accusa all’Ucraina di aver dissipato “la dote ricevuta non solo dall’era sovietica ma anche dall’impero russo” e di essersi trasformata in uno strumento passivo in mano ai nemici della Russia, ormai succube di un governo infettato dal virus del nazionalismo e della corruzione, in un paese dove i magistrati non sono indipendenti, la chiesa è serva dello stato, gli oppositori sono perseguitati, la memoria storica è manipolata e distorta e che si serve anche di organizzazioni dell’Islam radicale. Il paese aggredito viene raccontato da Putin con un’esercitazione di letteratura distopica che assomiglia molto ad una descrizione realistica della “sua” Russia, mancano solo gli attentati col veleno ai dissidenti più autorevoli.
Inoltre l’Ucraina sarebbe un covo di neonazisti e tali sarebbero anche i suoi governanti. Non è neppure il caso di confutare simili affermazioni tanto più che sono accompagnate da affermazioni antisemite relative al presidente Zelens’kyi e dalla favola delle origine ebraiche di Hitler ribadita da Lavrov in un cosiddetto “programma di approfondimento” andato in onda su una rete italiana. In proposito rimando chi volesse approfondire davvero i rapporti tra estrema destra e nazionalismo e tra nazionalismo etnico e nazionalismo civico in Ucraina agli interessanti articoli di Matteo Zola pubblicati in rete (eastjournal.net e balcanicaucaso.org). Vanno però ricordati i buoni rapporti di Putin con i vari leader e movimenti dell’estrema destra europea, dal Rassemblement National in Francia all’FPÖ austriaco passando per Salvini e Orban, e l’attività di intimidazione e aggressioni violente nei confronti delle opposizioni praticate dal movimento giovanile filoputiniano Nasci, fondato nel 2004, in russo significa “I nostri” ma, già nel 2005 erano chiamati ironicamente nascisti per l’assonanza col termine fascisti presente anche nella lingua russa.
Vale la pena di riflettere anche sul discorso in diretta a reti unificate nel dicembre del 2014, dopo la presa della Crimea, in cui Putin disse che i russi sono “geneticamente straordinari” e su quanto riporta la scrittrice, nota anche per essere la traduttrice in russo dei romanzi di Umberto Eco, Elena Kostioukovitch (Nella mente di Vladimir Putin, La nave di Teseo, 2022):
“E il Presidente del Comitato parlamentare dell’Istruzione pubblica della Federazione russa, l’onorevole Vjacheslav Nikonov, nello stesso mese di quel discorso del Presidente ha proposto il nuovo progetto per un manuale unico per tutte le scuole. “Un ramo della grande tribù di sangue ariana scese dai Carpazi e popolò tutta la Pianura Russa, e la Siberia, e le coste dell’Oceano Pacifico, e fondò il Forte Ross…”
Ma torniamo ai discorsi immediatamente precedenti l’invasione che nelle intenzioni del Cremlino dimostrerebbero che l’Ucraina non ha diritto di esistere, purtroppo però esiste e per giunta essendo uno stato nazista tenuto in piedi dalla Nato e dall’Occidente con la sua russofobia aggressiva è un pericolo per l’esistenza stessa della Russia che malgrado le sue aspirazioni di pace si vede costretta ad agire per sventare un attacco a sorpresa. Infine mentre il primo termina con la decisione di “riconoscere immediatamente l’indipendenza e la sovranità della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Luhans’k” il secondo annuncia l’inizio di una ”operazione militare speciale per la smilitarizzazione e alla denazificazione dell’Ucraina” e minaccia “conseguenze mai viste nella storia” per chi tenterà di mettersi di traverso.
Quindi le decisioni prese sarebbero motivate dalla difesa di una minoranza oppressa, dalla nedessità di ristabilire confini naturali e dall’esigenza di tutelare la propria sicurezza nazionale. Ma questa narrazione è clamorosamente smentita da quel bollettino della vittoria pubblicato con troppo zelo, troppo in anticipo e presto ritirato, ma pur sempre troppo tardi per i tempi del web. L’articolo in questione (Un nuovo mondo sta nascendo sotto i nostri occhi, firmato da Pëtr Akopov, in italiano al sito lindiceonline.com), avrebbe dovuto essere pubblicato a cose fatte perché porta in chiaro il vero movente di chi ha scatenato la guerra, che, per ovvie ragioni, in questo caso era da rivelarsi solo a obiettivi raggiunti. Questo perché oltre alla prevedibile esaltazione del genio e della generosità di Putin vi si legge che “l’Ucraina è tornata alla Russia”, e non corre più il rischio di occidentalizzazione, e che “questo è un conflitto tra Russia e Occidente”, un Occidente umiliato perché non è riuscito ad impedire il ritorno dell’Ucraina al mondo russo e conclude con l’annuncio della “costruzione del nuovo ordine mondiale”.
Quale sia quest’ordine lo avremmo capito anche senza la gaffe della Ria Novosti, è un ordine che sarà pure nuovo ma per noi ricorda molto le atmosfere opprimenti e cupe evocate nel bel film di Florian Henckel von Donnersmarck Le vite degli altri e la città grigia e malinconica cantata da Milva in Alexander Platz, su cui vegliava un giovane tenente colonnello del Kgb, che magari già allora pensava a come un potersi conquistare un posto tra i grandi della Storia. Ci sarebbe riuscito, accanto a Hitler, Stalin, Pinochet, Pol Pot e molti altri ancora…
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