Una mattina presto, senza preavviso
la terra iniziò a tremare e il sangue ci fece ribollire
missili che scendevano, carri armati senza fine
il vecchio fiume Dnepr ruggì con rabbia
(Khrystyna Soloviy, cover ucraina di Bella Ciao)
Era l’ora più buia: in uno dei paesi più potenti d’Europa un dittatore megalomane e sanguinario aveva soffocato la giovane e incerta democrazia di Weimar, nata in seguito alla dissoluzione dell’Impero Tedesco, e, facendo leva sulla mistica del Völkisch e sul conseguente nazionalismo pangermanico, perseguiva un’aggressiva politica di espansione territoriale. Aveva iniziato con l’occupazione della Renania, poi l’intervento in Spagna in appoggio alla sollevazione franchista contro il legittimo governo repubblicano, quindi l’annessione dell’Austria, l’acquisizione della regione dei Sudeti cui seguì l’invasione dell’intera Cecoslovacchia infine la Polonia e il mondo prese fuoco.
Siamo nuovamente all’ora più buia: in uno dei paesi più potenti d’Europa un dittatore megalomane e sanguinario dopo aver soffocato ogni possibilità di evoluzione democratica della Russia post Sovietica, facendo leva sulla mistica del Russkij Mir e sul conseguente nazionalismo panrusso, persegue un’aggressiva politica di espansione territoriale. Aveva iniziato con l’occupazione della Cecenia, poi la guerra alla Georgia a cui sottrasse Ossezia del Sud e Abcasia, poi l’annessione della Crimea, quindi gli interventi in Siria e in Kazakistan in soccorso dei dittatori Bashar Hafiz al-Asad e Kassym-Jomart Tokayev, infine con l’invasione dell’Ucraina siamo all’oggi.
L’ora più buia è il titolo di un bellissimo film di Joe Wright che ha la sua scena clou nel discorso tenuto il 18 giugno del 1940 da Wiston Churchill alla Camera dei Comuni dopo la ritirata di Dunquerque e l’ingresso delle truppe del Terzo Reich in Parigi, quando l’Inghilterra, rimasta sola a fronteggiare Hitler, sembrava anch’essa destinata a soccombere. In quello stesso giorno i microfoni di Radio Londra trasmisero l’appello di Charles De Gaulle che esortava i francesi alla resistenza.
Più o meno ottanta anni dopo, il legittimo presidente ucraino Zelens’kyi, collegato in videoconferenza col parlamento britannico, citando Churchill ha ribadito la volontà di resistere, sua e della sua gente, all’aggressione russa.
Certo la storia non si ripete, molto spesso le analogie sono solo apparenti e non resistono a esami più approfonditi, paragoni e parallelismi sono sempre azzardati e anche un po’ traballanti. Però… però non è lo stesso presidente bielorusso Lukašėnka a dire di ispirarsi a Hitler e a Stalin? Evidentemente vede ora nel suo burattinaio Putin una sintesi dei due.
E, soprattutto, non si ha la sensazione di essere ancora una volta in presenza di quel “sonnambulismo” che accompagnò l’umanità verso due conflitti mondiali? Non percepiamo lo stesso stupore del “non pensavamo che potesse arrivare a tanto”? Eppure sarebbe bastato ascoltarli, leggere i loro scritti, non sottovalutare le loro dichiarazioni di intenti, non voltarsi dall’altra parte, non rifiutarsi di vedere, non minimizzare le loro gesta infami, e soprattutto non credere di poterli ammansire attuando nei loro confronti forme di appeasement.
Sarebbe bastato riascoltare i reportages dal Caucaso di Antonio Russo, il cui corpo fu ritrovato senza vita nei pressi Tbilisi nell’ottobre del 2000, agli albori dell’era Putin, o leggere La Russia di Putin di Anna Politkovskaya, assassinata sulla porta di casa il 7 ottobre 2006, giorno del cinquantaquattresimo compleanno del dittatore. Forse un macabro omaggio da parte degli eredi del KGB? Magari solo una coincidenza? Prima di rispondere teniamo presente la mania del “probabilissimo mandante” per l’uso simbolico del calendario. Sarà una coincidenza che le elezioni farsa in cui fu eletto presidente della Repubblica si svolsero il 18 marzo 2018, quarto anniversario dell’annessione della Crimea? Altra coincidenza l’aggressione all’Ucraina iniziata il 24 febbraio anniversario della nascita dell’ammiraglio Fëdor Ushakov, colui che diede alla alla Russia dello Zar Paolo I il predominio sul Mar Nero, beatificato dalla Chiesa di Mosca e nominato patrono della flotta e dei bombardieri nucleari?
Inevitabile pensare alle parole del teologo e pastore evangelico Martin Niemöller, internato per otto anni in un campo di concentramento: Prima vennero per gli ebrei / e io non dissi nulla perchè / non ero ebreo. / Poi vennero per i comunisti / e io non dissi nulla perchè / non ero comunista. / Poi vennero per i cattolici / e io non dissi nulla perché / ero protestante. / Poi vennero a prendere me. / E non era rimasto più nessuno / che potesse dire qualcosa. Di questo testo circolano diverse versioni e non si sa quale sia la forma originale perché è diventato la matrice della denuncia contro l’indifferenza e i silenzi al cospetto delle persecuzioni e dei massacri.
Merita oggi di essere ripreso in mano un libro di Maurizio Molinari, uno dei più acuti e attenti giornalisti italiani, oggi direttore del quotidiano “la Repubblica”, scritto nel 2019 (Assedio all’Occidente. Leader, strategie e pericoli della seconda guerra fredda). Tra le molte altre informazioni e considerazioni interessanti mi limito a segnalare le seguenti.
“L’intento di Putin è la ricostruzione dell’impero russo, e il disegno di portare scompiglio in Occidente ha l’Europa come campo di battaglia. (…) La volontà di ricostruzione dell’impero è nel linguaggio del corpo e nelle azioni di Putin. Chi lo ha incontrato a tu per tu viene colpito dal suo sguardo fisso verso l’orizzonte, da un misticismo laico che somma nazionalismo e fede ortodossa”
“Putin punta dunque a ritagliarsi il ruolo di paladino della Chiesa tradizionalista contro la “filosofia occidentale”, adoperando ogni strumento per avvalorare tale messaggio (…) Ciò che colpisce è come tale mosaico includa anche le convergenze di Putin con la Chiesa ortodossa russa (…) La sovrapposizione fra presidente, forze armate e Chiesa ripropone nella Federazione Russa di oggi la formula “ortodossia, autocrazia e nazionalismo” che distingueva il conservatorismo imperiale del XIX secolo in contrapposizione ai valori dell’Occidente, dall’Illuminismo ai diritti individuali.”
“Nel Dombass (…) Mosca usa volontari etnici locali e mercenari che quando cadono vengono inceneriti da crematori mobili al fine di evitare funerali e scongiurare proteste”
Molinari non è un mago e neppure un preveggente, era tutto alla luce del sole, fatti e misfatti, intenzioni, tattiche e strategie di un ex tenente colonnello del Kgb…
Perché per spiegare la variabile Putin non ci si può fermare solo ai suoi metodi totalitari e considerarlo l’ultimo prodotto delle infamie del Novecento. Certo, è anche questo ed è pur vero che i metodi sono sostanza e qualificano i fini. Ricordo con commozione due signore durante la prima manifestazione della comunità ucraina a Sanremo il 27 marzo, raccontava una di essere ucraina ma nata in Siberia perché là era stata deportata la sua famiglia, mentre l’altra affermava “Non ci ha piegato Stalin, non ci ha piegato Hitler, non ci piegherà Putin!”, affermazione che ci ricorda che stiamo parlando della tragedia di un popolo che in meno di un secolo ha subito negli anni Trenta l’Hlodomor, la carestia indotta da Stalin, l’invasione della Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale e ora l’aggressione russa.
Ma in Putin, ammiratore di Pietro il Grande e Alessandro III, coesistono modernità totalitaria e autocrazia zarista tenute insieme nel rivestimento culturale dell’ideologia panrussa. Da un po’ di tempo si sente parlare, quale ideologo del dittatore, del filosofo e politologo Aleksandr Dugin, già fondatore di un Partito Nazional Bolscevico e ora propugnatore dell’avvento di un impero eurasiatico visto come destino della nazione russa per il quale la riunione di tutti i territori che avevano fatto parte prima dell’impero zarista e poi dell’Unione Sovietica sarebbe solo la prima fase del percorso. Questo filosofo si considera un continuatore del pensiero di Heidegger e nella prefazione dell’edizione italiana del suo La quarta teoria politica, riconosce un debito culturale con Julius Evola. Sì, proprio lui, il teorico della Tradizione e della “rivolta contro il mondo moderno” che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso divenne l’idolo dell’estrema destra extraparlamentare italiana. A completamento di ciò il 21 marzo in un’intervista al quotidiano “La Verità” (in russo Pravda) ha dichiarato che quella che si sta svolgendo in Ucraina è la guerra contro l’Occidente, mondo dell’Anticristo, portata avanti dalla Russia depositaria dell’eredità della Vergine Maria. Giustamente lo storico Marcello Flores ha sintetizzato così la visione di Putin: “dopo l’impero zarista, dopo l’impero sovietico, una nuova grande idea di “mondo russo” che riesca addirittura a sommare e racchiudere la grandezza di tutte le “Russie” passate” (“Stalin più lo Zar, ecco il sogno che Putin offre ai russi”, intervista a Marcello Flores, Il Riformista, 19/03/1922)
Direi che sull’argomento possa bastare, desidero comunque tranquillizzare il lettore confermando che il capoverso precedente non è stato scritto sotto l’effetto dell’alcool o della cannabis, né quanto riportato è frutto di un disinvolto “taglia e incolla” da facebook o da qualche sito complottista. Si tratta di informazioni che chiunque può verificare, tratte dal sito della Fondazione Luigi Einaudi e da quello della Treccani.
Sarà pure comprensibile che l’aspirante Zar di tutte le Russie nonché salvatore del mondo, autoinvestitosi di una così impegnativa missione, si indigni e minacci gravi conseguenze per quei paesi che spostano in zone periferiche il monumento al soldato russo o che addirittura lo abbattono senza troppi rimpianti. A noi però ricorda un po’ le immagini del film Il grande dittatore, Charlie Chaplin nei panni di Hitler che gioca col mappamondo sulle note del Lohengrin. La tragedia che abbiamo di fronte impedisce di sorridere e porta alla mente un altro monumento. Quello che Kesserling, comandante delle forze di occupazione tedesche nel nostro paese e poi condannato a Norimberga, disse che avrebbe meritato da parte degli italiani. Alla provocazione rispose Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione: sì, il monumento lo avrebbe avuto, ma costruito col silenzio del torturati / più duro d’ogni macigno, con la roccia di un patto giurato fra uomini liberi / che volontari si adunarono / per dignità e non per odio / decisi a riscattare / la vergogna e il terrore del mondo.
La stessa risposta che gli uomini e le donne ucraine hanno riservato a Putin scegliendo di combattere, di rischiare di morire e di morire per poter continuare a vivere liberi in un paese democratico. E con pieno diritto lo comunicano al mondo anche con le note di Bella ciao, la canzone dei partigiani italiani diventato un canto di libertà universale, riadattata dalla cantante folk Khrystyna Soloviy.
Scelta appropriata, perché la posta in gioco non è la Crimea, non è il Dombass o l’adesione dell’Ucraina, alla Nato o alla Ue. Come ha scritto Veltroni l’aggressione di Putin “è proprio ai valori dell’Occidente. (…) Il valore metafisico di una guerra che significa sangue e dolore, diaspora e distruzione, sta, per chi la sostiene, proprio nell’obbiettivo reale: contestare all’Occidente non i suoi difetti ma la sua principale virtù, la pratica della democrazia e della libertà” (Valori e libertà in pericolo, “Corriere della Sera” 14/03/2022).
Otto anni fa, in piazza Maidan gli ucraini hanno scelto di voler essere europei come lo siamo noi, con le nostre democrazie, imperfette, piene di limiti e contraddizioni, costantemente a rischio di involuzioni, ma pur sempre società aperte dove vigono libertà di espressione, separazione dei poteri, dove il leader dell’opposizione siede in parlamento e, per dirla con le parole di Karl Popper, dove le teste non si tagliano ma si contano. Lo hanno fatto rifiutando l’asservimento ad un regime dove prima delle elezioni si arrestano i principali esponenti dell’opposizione, i dissidenti si avvelenano col polonio e ai giornalisti non allineati si spara in faccia.
Scelta ribadita nell’ora più buia, davanti ad un esercito invasore che non esita a bombardare scuole e ospedali pediatrici, a sparare sui civili in coda per il pane e ad usare sistematicamente nei loro confronti stupri e torture come strumenti di terrore e umiliazione.
Adesso sta a noi dimostrare di essere europei come lo sono loro oggi, popolo serrato intorno al monumento /che si chiama / ora e sempre / Resistenza.
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