La Toscana era arrivata alla fine degli anni ’90 a conclusione di un lungo ciclo di sviluppo centrato sul binomio industria e piccola impresa, fortemente accentrato nella media e bassa valle dell’Arno.
Si doveva partire da lì per esplorare nuove strade fondate di più sull’innovazione tecnologica, imprenditoriale e culturale e per allargare e diffondere sull’intero territorio regionale la qualità e l’intensità del sistema produttivo. C’erano alcune strade promettenti da battere.
La prima era data da quei nuclei di “industria intermedia”, per lo più legati al settore meccanico, che avrebbero potuto rafforzare l’industria toscana in un comparto fortemente legato all’innovazione e al sapere tecnologico e caratterizzato, in altre realtà produttive, dalla presenza di quella “media impresa” fortemente deficitaria nella regione. Poi si stavano affermando, nella cosiddetta “Arno Valley” fra Firenze e Pisa, piccole realtà imprenditoriali legate all’informatica che lasciavano presagire se non tanto una presenza nel campo delle nuove tecnologie almeno in quello dei servizi e dei contenuti digitali. E infine c’era il sogno di una Toscana terra del “vivere bene” che sapesse trovare nella qualità dei paesaggi, dei cibi e della cultura un sistema di offerta in grado di incanalare i flussi più qualificati del turismo internazionale mettendo così assieme sostenibilità e creazione di opportunità di reddito e di lavoro per i toscani. A 20 anni di distanza cosa possiamo dire di queste “opportunità” di nuovo sviluppo della Toscana?
Il primo dato è che l’industria ha retto l’urto della globalizzazione, con un sistema di export ancora significativo, con punte avanzate nel settore meccanico e farmaceutico e con molte conferme produttive in quello della moda, ma con una non adeguata capacità di rafforzamento imprenditoriale e quindi di qualità occupazionale. Cioè con una difficoltà di passaggio dalla “piccola impresa” tipica della regione alla “media impresa” più diffusa nel Nord Italia.
E non è un caso che nella classifica della domanda di lavoro di professionalità in possesso di maggiori “skill tecnologici”, l’incidenza percentuale più alta sul totale delle assunzioni registrate, si osserva in tre regioni come Lombardia (4,4%), Lazio (4,0%) e Piemonte (2,5%). E solo dopo si collocano Marche (1,5%), Friuli Venezia Giulia, Veneto e Toscana (1,4%). Il secondo dato importante è che lo sviluppo ha avuto difficoltà ad allargarsi dall’area più centrale, quella fiorentina, all’intera regione. A qualunque dato si faccia riferimento (occupazione, disoccupazione, brevetti, esportazioni, numero d’imprese) emerge una situazione di Firenze in linea o appena sotto i più alti livelli nazionali e invece un “gap strutturale” nelle altre realtà territoriali della regine.
Il rafforzamento infrastrutturale nazionale di tipo verticale, che individua un percorso privilegiato Mi-Bo-Fi-Roma, rafforza ulteriormente questa tendenza in atto. Il sistema digitale in nuce dell’Arno Valley non ha avuto un grande sviluppo né a livello settoriale (informatica) né a livello di costituzione di un asse privilegiato Firenze-Pisa di supporto all’innovazione. E così mentre fra le due città si è acuito lo scontro, sempre più provinciale, sulla preminenza aeroportuale non si sono invece rafforzati , come avrebbero divuto, i rappporti di cooperazione scientifica e tecnologica.
E infine che dire della Toscana del vivere bene? Su questo settore lo sviluppo c’è stato: intenso, diffuso e con tassi di crescita significativi. Ci sarebbe semmai da considerare con più attenzione la capacità di attrazione del turismo di maggiore qualità rispetto alla massa dei turisti “dello struscio”.
Che spesso fanno volume ma rendono meno in termini di reddito, di buona occupazione e anche di sostenibilità ambientale.
Insomma la Toscana c’è. Non è rimasta ferma. Magari molto accentrata su Firenze ma c’è. Rimangono semmai dei limiti nella crescita della dimensione aziendale, rimane una ancora troppo bassa propensione allo sviluppo nell’alta tecnologia, ed infine rimane un modello di sviluppo del turismo avviato, spesso con scarsa fantasia imprenditoriale, ad una crescita di massa non sempre sostenibile.
Questo articolo di Mauro Grassi è stato pubblicato, sotto forma di lettera al Direttore, nel Corriere Fiorentino di Giovedì 25 aprile.
Lascia un commento