Nei Principi di Scienza Nuova, il filosofo, storico e giurista napoletano Giambattista Vico (1668-1774) elaborò la “teoria dei corsi e ricorsi storici”. La storia non evolve soltanto attraverso fatti nuovi. Ciò che avviene oggi ripete quanto è già avvenuto in passato, sebbene con qualche novità dovuta al mutare delle circostanze.
Anche l’economia ha i suoi corsi e ricorsi storici. A partire da Adam Smith (1723-1790) ― l’economista e filosofo scozzese considerato il padre della scienza economica ―, il governo dell’economia è avvenuto e avviene tuttora, per grandi linee, applicando o la dottrina liberistica (il liberismo formulato dallo stesso Smith ) o quella statalista, cioè lo statalismo o dirigismo. Sono le circostanze che suggeriscono a chi governa lo Stato di ricorrere all’una o all’altra dottrina
Assi portanti del liberismo sono la libera concorrenza tra gli operatori economici ed il rifiuto di ogni ingerenza dello Stato nell’economia. Per l’economia, la finanza pubblica deve essere neutrale. Di converso, lo statalismo (o dirigismo) riconosce allo Stato un ruolo preponderante nella direzione e nel controllo dell’attività economica, e ne ammette anche la presenza diretta nell’economia attraverso un apparato industriale di sua proprietà. Liberismo e statalismo si sono avvicendati nella storia a seconda delle realtà presenti in un determinato momento.
Anche nella storia del nostro Paese, corsi e ricorsi tra statalismo e liberismo sono ben evidenti. Per lo statalismo, è sufficiente richiamare il sistema delle partecipazioni statali, frutto anche della pesante crisi economica del 1929 e delle teorie economiche sviluppatesi per porvi rimedio ― fu in quegli anni che l’economista inglese John Maynard Keynes (1833-1946) avanzò la teoria della “finanza pubblica funzionale o congiunturale” per la quale è lo Stato che, nei momenti di recessione, deve intervenire per rilanciare l’economia ― sistema che vedeva lo Stato come gestore diretto di settori di elevata dimensione economica. Oltre 1.000 imprese che operavano in tutti i campi dell’economia, da quello finanziario a quello dell’energia e delle trasmissioni, della siderurgia e dei trasporti marittimi e aerei, ecc.
La costituzione dell’Unione europea imprime una forte spinta alla concorrenza. Crea un mercato comune tra gli Stati, ma il mercato deve essere competitivo. Ulteriore impulso è dato dalla globalizzazione. Gli sviluppi tecnologici consentono ormai che scambi e investimenti avvengano a livello mondiale, con superamento dei confini nazionali e integrazione internazionale delle imprese.
Si riaffacciano dunque forme di liberismo, sebbene con nuovi tratti definiti di neoliberismo. Nel neoliberismo, le privatizzazioni assumono una posizione centrale. Concentrazioni monopolistiche di attività nelle mani dei pubblici poteri generano inefficienza. Per contro, la competizione economica tra più imprese private favorisce il progresso tecnologico ed il miglioramento dei prodotti, ed elimina le imprese inefficienti. Anche i consumatori traggono profitto da questa competizione attraverso il ribasso dei prezzi. Nelle mani dello Stato, devono restare soltanto alcune funzioni: mantenere la legge e l’ordine pubblico, definire i diritti di proprietà, far rispettare i contratti. Competono però allo Stato le funzioni regolatrici dei processi economici (FRIEDMAN M., Capitalismo e libertà, cap. 2).
L’appartenenza dell’Italia all’Unione europea la obbliga a non essere insensibile a queste istanze e ad attuare cambiamenti in senso neoliberistico. Tuttavia, e nonostante l’esaltazione di questi fenomeni da parte della politica, il nostro Paese non ha mai abbandonato un serpeggiante statalismo. Lo Stato parallelo delle partecipazioni statali non è mai cessato, si chiami oggi Cassa Depositi e Prestiti, Ferrovie dello Stato, Radio Televisione Italiana, Italia Trasporto Aereo, ed altro ancora
(www.dt.mef.gov.it/it/attivita_istituzionali/partecipazioni/elenco_partecipazioni/). Estende il potere della classe politica non soltanto nella gestione delle funzioni statali ma anche nelle aree economiche dello Stato parallelo.
Per giustificare la presenza dello Stato nell’economia, la teoria keynesiana può non essere sufficiente. Allora la politica si appella alla necessità della salvaguardia degli interessi nazionali (difesa della sicurezza nazionale sugli “asset” strategici del Paese). Crea la golden power, con poteri speciali del Governo di dettare specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazioni, e la golden share in virtù della quale, nei processi di vendita di aziende statali, lo Stato conserva una partecipazione anche minoritaria ― azione d’oro ― che però gli attribuisce poteri speciali di intervento o di veto nella gestione aziendale.
Pandemia di Covid-19 e conflitto russo-ucraino rilanciano fortemente lo statalismo anche nel nostro Paese. La pandemia impone che sia lo Stato a governarne le manifestazioni sia in termini sanitari, sia garantendo le risorse occorrenti per lottare contro il contagio. Deve intervenire inoltre finanziariamente per ricreare le condizioni per una ripresa dell’economia. Analogamente, la guerra in Ucraina richiede che sia lo Stato a decidere (e finanziare) aiuti sociali e ad adottare regole sulle fonti energetiche compromesse dal conflitto.
Per il vero, lo statalismo non è soltanto manifestazione di singoli Stati. È statalismo (o dirigismo) quello espresso anche da organizzazioni sovranazionali (Unione europea) che detengono poteri di indirizzo, di controllo e anche di “censura” nei confronti delle politiche degli Stati singoli. La libera iniziativa degli operatori economici è condizionata da piani politici extra-statali. Next Generation EU, e ora l’annunciato REPowerEU, ne sono l’espressione. Assicurando le risorse occorrenti, stabiliscono quali saranno gli sviluppi dell’economia nei prossimi anni. Di riflesso, nasce lo statalismo anche nei Paesi singoli (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR). In altre parole, si riproducono forme di grande governo (big government) considerate negative perché violano la libertà dei cittadini per la loro burocrazia e le loro normative e politiche intrusive.
La competizione economica resta tra gli operatori, ma sono Stato e Super Stati che guidano la danza.
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