Alessandro Campi nel suo ultimo libro “Il Fantasma della Nazione. Per una critica del sovranismo” (Campi. A, Marsilio, febbraio 2023) offre ai lettori una ricostruzione puntuale – ed in parte inedita – delle idee di Nazione che emergono (e decadono) nel mondo politico dall’ Unità d’ Italia ai nostri giorni.
Per l’autore solo la Destra Storica offre una visione lungimirante, espressione autentica del pensiero conservatore di matrice liberale.
Nelle fasi successive l’idea di Nazione è piegata alle contingenze politiche del momento oppure – come accade nel secondo dopoguerra – fuoriesce (o quasi) dal dibattito pubblico e mediatico mainstream.
1) Nella prima metà del novecento
Agli inizi del novecento prevale il “nazionalismo romantico” del Corradini che si declina in chiave di potenza, espansionistica e bellicista.
Dopo la prima guerra mondiale con l’avvento del regime fascista la rilevanza del tema nazione – pur significativa – e’ subordinata, secondo Campi a due dimensioni politiche gerarchicamente superiori, lo Stato e l’ Impero.
Da un lato viene esaltato il ruolo dello Stato inteso nel suo significato più totalizzante e totalitario; dall’ altro l’ambizione di trasformare l’ Italia in una potenza imperiale si colloca in palese contraddizione con l’ idea di nazione.
2) La prima repubblica: oblio de la Nazione
Come ho gia’ accennato, Alessandro Campi nel suo libro sottolinea che durante tutto l’arco della Prima Repubblica il tema della nazione rimane sostanzialmente ai margini del dibattito politico con l’eccezione di pochi leader, Alcide De Gasperi, Giovanni Spadolini, Bettino Craxi, Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi.
Il quasi oblio o comunque una visione “minimalista” della Nazione – come quella che Alessandro Campi attribuisce allo stesso Piero Calamandrei – si presenta come reazione fisiologica all’immane tragedia provocata dal nazifascismo con la seconda guerra mondiale e con la Shoa.
3) La Nazione e il mito di Dante
Quanto Alessandro Campi sostiene circa l’ oblio del termine nazione nella prima repubblica trova piena conferma in alcuni passaggi del volume “Sommo italiano. Dante e l’ identità della Nazione” dello storico Fulvio Conti.
Mi riferisco specificamente alle pagine dedicate alle celebrazioni dantesche del 1965/66 guidate dal Ministro dell’ Istruzione dell’ epoca, Luigi Gui, importante esponente democristiano.
Per Fulvio Conti le celebrazioni di Dante Alighieri del 1965 si caratterizzarono proprio “per la conversione di Dante da icona nazionale a simbolo universale” (Conti. F., Carocci, pag.165).
La “de-nazionalizzazione” della figura di Dante Alighieri è un evidente tentativo di liberarsi della lettura retorico-nazionalistica della figura artistica del Sommo Poeta.
4) Questione cattolica e Nazione
Fulvio Conti – a proposito di Dante Alighieri – accenna anche sulla correlazione che lega la “debolezza” dell’identità nazionale italiana al cattolicesimo, un tema centrale del volume di Alessandro Campi.
La Chiesa Cattolica legittima pienamente le posizione di Dante in nome dell’ universalita’ che contraddistingue la sua “divina” arte poetica. Non certo per la sua italianità e tantomeno come ispiratore del Risorgimento.
A proposito dell’ universalita’ di Dante è interessante citare (siamo sempre nel 1965) la lettera apostolica “Altissimus Cantus Domini” in cui Paolo VI – giustifica pienamente le tante invettive che l’ Alighieri rivolge contro Pontefici, Ministri e rappresentanti della Chiesa in quanto – scrive Papa Montini – colpevoli di “vizi deplorevoli”.
5) DC e tradizione nazionale
Alessandro Campi sostiene, inoltre, che nella vasta area politico-culturale della DC o vicina alla DC (e lo stesso discorso vale per il piccolo, ma influente gruppo dei cattolici/comunisti) “la difesa della tradizione nazionale italiana aquisiva un senso solo nella misura in cui veniva fatta coincidere con la tradizione storica del cattolicesimo” (Campi A. Op.cit. pag.86).
Per riprendere le celebri quattro fratture storiche – elaborate da Stein Rokkan per spiegare la costruzione dei sistemi partitici europei- (Centro/Periferia,Agricoltura/Industria, Stato/Chiesa, Capitale/Lavoro) non vi è dubbio che l’ Italia presenti una sua specifica peculiarità nella frattura storica Stato/Chiesa e nei suoi riflessi sulla costruzione dell’ identità nazionale.
L’ Italia come entità politica nasce in aperta contrapposizione con la Chiesa Cattolica. Tuttavia dal 1929 in poi con I Patti Lateranensi si assiste ad una trasformazione rilevante. In primo luogo una spartizione del potere fondata sulla reciproca non interferenza nelle rispettive aree di influenza.
Un compromesso che consentiva ad un giovane balilla con il moschetto di essere anche un bravo chierichetto quando il parroco diceva messa.
Mentre l’approccio teorico di Rokkan spiega la configurazione dei sistemi partitici sino agli settanta e ottanta del secolo scorso – in Italia – nonostante il tramonto della DC – il richiamo al cattolicesimo conserva ancora oggi un significato di indubbio rilievo e ciò sembra avvalorare la posizione di Campi.
Con il duplice ruolo di Roma capitale d’ Italia e nel contempo capitale della Chiesa cattolica universale l’ Italia presenta caratteristiche inedite nel variegato panorama delle democrazie europee. Nell’ Italia concordataria il rapporto tra potere politico e potere religioso è indubbiamente sbilanciato a favore del secondo.
Nelle nazioni di tradizione ortodossa cpsi come in quelle protestanti l’ identità e il potere statuale/nazionale ha viceversa prevalso rispetto alle confessioni religiose.
In Italia l’influenza dei Pontefici su larghi strati della pubblica opinione è indubbiamente diminuita con il passare degli anni, ma essa resta significativa. Lo dimostra, per fare un esempio di attualità, l’attenzione che circonda il discorso pubblico di Papa Francesco che piace agli elettori di centrosinistra, ma che viene subdolamente contrastato dalla Lega con i suoi rosari.
6) Seconda Repubblica: gli interessi nazionali spariscono dall’ agenda politica
Dopo la fine dell’ URSS in Italia la fine della minaccia sovietica e i processi di globalizzazione aprono le porte a (quasi) ogni genere di investimento straniero in una sorte di liberismo a senso unico.
Questo processo e’ favorito dal fatto che nella prima metà degli anni novanta la politica italiana e’ in grande affanno. Mentre si scoperchia la pentola di un sistema partitico afflitto da una corruzione endemica (diffusdal datto a al centro e in periferia) oltre ogni livello di guardia, nel contempo prende il sopravvento una visione giustizialista-populista trasversale agli schieramenti politici a destra come a sinistra.
Il discorso ci porterebbe lontano (per esempio qui e’ l’ origine del successo del sovranismo populista del M5s su cui Campi si sofferma in modo assai convincente). Ma in questa recensione mi preme sottolineare un solo aspetto petaltro centrale nel volume di Campi: l’oblio degli interessi nazionali.
Mentre nella prima repubblica si registrava una significativa attenzione della classe politica alle debolezze strategiche dell’ Italia in campo economico (penso al deficit energetico al deficit agro alimentare) questi temi strettamente ancorati alla sicurezza nazionale (in particolare a quella energetica) escono dall’ agenda.
Non dobbiamo pertanto sorprenderci se nel corso degli ultimi quindici anni la dipendenza energetica dalla Federazione Russa e quella nel comparto digitale dalla Cina siano aumentate in Italia in modo esponenziale, peraltro senza neppure negoziare contropartite.
8) Le destre e il futuro della Nazione
Nel suo libro Alessandro Campi affronta il complesso tema dell’ approccio del centro destra alla questione nazionale. Per quanto riguarda Silvio Berlusconi riconosce che ” “Forza Italia” è un’ invenzione politica di grande successo oltre ad essere un marchio fortunato che evoca il tifo per la nazionale di calcio. Aggiunge tuttavia che il partito non si e’ posto il problema di elaborare una visione strategica per il futuro della nazione nel medio e lungo periodo.
Neppure la Lega e Alleanza Nazionale (poi Fratelli d’ Italia) hanno saputo secondo Campi esprimere una visione politicamente incisiva della Nazione.
“Nella seconda repubblica abbiamo avuto a destra” – cito testualmente – “L’ Italia senza storia e senza memoria di Berlusconi; L’ anti-nazione è l’ anti-stato dei nazionalisti pagani; L’Italia matrigna degli esuli in patria rimasti sentimentalmente segnati da una sorta di mistica della sconfitta…” e così prosegue: “a queste diverse destre è mancata un’idea positiva e progettuale della patria e della Nazione come quella che nel Risorgimento aveva fatto nascere l’ Italia unita e che durante la Prima Repubblica e’ stata difesa soltanto dai partiti di ispirazione risorgimentale” (Campi. A. op.cit pp.124-125).
Silvio Berlusconi, Gianni Letta, Umberto Bossi, Matteo Salvini, Giancarlo Giorgetti, Gianfranco Fini, Adolfo Urso – e last but non least – Giorgia Meloni giudicheranno sicuramente le conclusioni a cui giunge Alessandro Campi una valutazione troppo severa.
Il centrodestra può del resto rivendicare – dal 1994 ad oggi – un forte radicamento nella società italiana. Ma è proprio il consenso ricevuto che suggerisce una domanda: il centro destra non ha forse assecondato troppo l’ Italia del quieto vivere più attenta a mediare gli interessi e a gestire l’ esistente che capace di interpretare gli interessi nazionali nel medio e lungo periodo?
9) 2022: la leadership politica passa da Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni
Alessandro Campi conclude il suo libro accennando brevemente alle aspettative che circondano il nuovo governo di centro destra.
È presto per trarre conclusioni, il centro destra ha cambiato leadership da solo 6 mesi. In questa prima fase del suo governo Giorgia Meloni e’ stata soprattutto costretta a “tenere a bada” Matteo Salvini e a mettere toppe a comportamenti e dichiarazioni improrie di alcuni esponenti del suo partito.
Giorgia Meloni, però, rischia perché alcune parole ed alcuni comportamenti nella sua maggioranza rischiano di ripetere i limiti, gli errori e la superficialità del centro destra berlusconiano che Campi ha analizzato ampiamente nel suo libro, la cui lettura consiglio vivamente ai lettori di Startmag.
Concludo con alcune note personali che il libro di Campi mi ha ispirato. Mi aspettavo che Giorgia Meloni parlasse senza peli sulla lingua.
Di fronte alla tragedia di Cutro ha sbagliato a non spiegare agli italiani che non basta colpire la manovalanza degli scafisti, ma che la cosa più importante da fare è o meglio sarebbe “follow the money” – come ci ha insegnato Giovanni Falcone.
Non e’ il caso di entrare in dettagli, ma gli italiani dovrebbero sapere dal Governo e dall UE quanto e’ difficile recidere i legami finanziari che intercorrono (non solo in Libia) tra vertici delle organizzazioni criminali dedicare al traffico di esseri umani, capi delle milizie, esponenti di governo e loro alleati stranieri.
Il secondo punto è che a mio avviso Giorgia Meloni dovrebbe chiarire bene il significato che Giorgia Meloni attribuisce al termine e al concetto di nazione. Esistono, infatti, concezioni, profondamente diverse.
C’ è chi intende per nazione il paese delle propria famiglia piu o meno allargata come avviene ad esempio nella tradizione locale dei Balcani. La nazione serba o albanese non coincide con i confini di stato della Serbia o dell’ Albania.
C’ è invece chi non guarda ai legami di sangue, ma intende per nazione e per identità nazionale un profondo legame di cittadinanza e di appartenenza ad un preciso territorio caratterizzato da una lingua e talora più lingue.
Un esempio positivo e drammatico al tempo stesso di questa accezione di nazione è proprio l’ Ucraina. Papa Francesco ha recentemente elogiato l’ “amore di patria del popolo ucraino”, ovvero la difesa della nazione che unisce senza problemi i cittadini che parlano ucraino con i cittadini russofoni.
Un’ ultima postilla. In occasione del prossimo 25 Aprile il Presidente del Consiglio dovrebbe rivolgersi a coloro che per indicare la drammatica fase 1943/45 usano esclusivamente l’ espressione “guerra civile”.
A costoro Giorgia Meloni dovrebbe chiedere di far ricorso almeno qualche volta l’espressione “guerra di.liberazione nazionale” .
Parlare soltanto di guerra civile elude un dato oggettivo : occorreva liberare la Nazione.
Le truppe alleate, i militari italiani e i partigiani hanno scelto di cacciare i tedeschi occupanti per assicurare proprio alla nazione un futuro di libertà.
RC
Caro Marco, parlare di guerra civile è più che legittimo. Alla sinistra non è mai piaciuto, perchè preferisce spacciare la storia del popolo unito che jamas sera vencido, pronto a sollevarsi in armi contro l’invasore. Peccato che sia andata diversamente, con una guerra civile all’interno di una guerra di liberazione.condotta dagli alleati con un minimo contributo di reparti italiani, esercito e partigiani. De Gaulle nel suo famoso discorso ebbe il coraggio di dire “Paris, brisée, martirisée, mais Paris liberée par son peuple…”. Liberata dal suo popolo sì, ma dopo lo sbarco in Normandia e grazie agli alleati. Ecco, a noi piace fare come De Gaulle. Politica. Ma la verità storica è un’altra.