Ha preso il via, in molte regioni, il nuovo anno scolastico.
L’istruzione rappresenta, nel nostro Paese, un tema essenziale, che investe prioritariamente il nostro presente ma che stende la sua ombra imponente sul futuro.
L’Italia versa tuttavia in un profondo stato di emergenza culturale.
La confusione di valori nella quale annaspa il Paese, l’incapacità di ipotizzare scenari di sviluppo credibili e che non si nutrano di mere parole d’ordine imbibite di banalità ha infatti radici culturali prima ancora che economiche.
Un saggio edito un paio di anni fa ha evidenziato il malessere che affligge la nostra scuola. Gli scolari disobbediscono alle loro maestre. Gli adolescenti aggrediscono i loro insegnanti. I genitori di quegli adolescenti si precipitano a scuola per picchiare gli insegnanti già aggrediti dai propri figli. E’ cronaca quotidiana. Una fattualità che pare indicare il tramonto, se non la liquidazione, della pedagogia. Ma non già, si badi bene, di una sua forma, magari perché ritenuta non più adeguata, ma l’abbandono stesso dell’idea che il bambino debba essere in qualche modo – e da qualcuno – accompagnato, guidato, condotto per mano a una destinazione a lui ignota. Con l’inevitabile e conseguente presupposto di una subordinazione dell’educando all’educatore, di una disciplina che mobiliti un sapere da trasmettere e apprendere, preludio indispensabile a una formazione che prosegua per tutta la vita dell’uomo. La liquidazione della scuola si pone come soluzione finale di uno scenario nel quale l’educazione stessa scompare dall’orizzonte della nostra esperienza umana.
Un quadro davvero preoccupante, che delinea orizzonti ancor peggiori, rappresentati da una società sempre più individualista e dedita all’improvvisazione.
La scuola soffre, vittima innanzitutto di un profondo disinteresse da parte della classe politica.
Una spesa per l’istruzione al terz’ultimo posto in Europa e una sottovalutazione, anche economica, del ruolo dei docenti, senz’altro aggravati dalla crisi pandemica e dalla scuola “a distanza”, hanno drammaticamente contribuito al peggioramento del quadro generale.
Uno studio di queste settimane ha affrontato il tema della dispersione scolastica. Si tratta, in sostanza, della incompleta o irregolare fruizione dei servizi dell’istruzione da parte dei giovani in età scolare. In quest’ambito, con una percentuale del 12,7%, l’Italia ha ottenuto il peggior risultato in Europa.
Vi è poi – altrettanto grave – il fenomeno della cosiddetta dispersione “implicita”, rappresentato dai giovani che terminano il ciclo di studi senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università, Qui la percentuale è del 9,7%, ancora una volta tra le peggiori d’Europa. Con punte in Campania, Sicilia e Calabria che sfiorano il 20%. In queste regioni il 60% degli studenti non raggiunge il livello base delle competenze in italiano, mentre quelle in matematica sono disattese dal 70%.
Molto deve essere fatto, ma occorre una forte spinta da parte dell’esecutivo.
Spiace notare che, ancora una volta, tra i temi più ripetuti nella campagna elettorale in corso ben poco appaia l’istruzione, se non in termini generici e piuttosto banali.
Non occorrerebbero manovre faraoniche.
Portare la spesa per l’istruzione al 5% del PIL, che è la media investita nei paesi europei, significherebbe stanziare 93 miliardi contro i 71 stanziati per il 2020. Ventidue miliardi in più, molti di meno di quanto è costato allo stato finanziare il cosiddetto bonus 110%.
Nell’auspicare un felice anno scolastico non possiamo prescindere dalle riflessioni che vi ho esposto, perché la scuola torni ad essere, come deve, un momento essenziale di formazione e di sviluppo. Un veicolo di crescita civile e sociale. Una speranza per il domani.
Per gli alunni, perché sappiano cogliere nel loro percorso didattico non già uno scaffale di nozioni, ma un germinatoio di idee. Perché, come disse Sidney Harris, lo scopo della scuola è quello di trasformare gli specchi in finestre.
Per gli insegnanti, cuore della formazione culturale e civile delle future generazioni. Strumento vivo per un’educazione che sia fondamento non solo di progresso ma anche di umanità. Diceva Henry Brooks Adams che “un insegnante colpisce per l’eternità; non si può mai dire dove la sua influenza si ferma”. Grazie al loro impegno, al quotidiano mettersi in gioco, alla capacità di cogliere le emozioni dell’alunno per farle proprie e appassionarlo: portandolo ad amare quanto deve apprendere. Con il dovere da parte dello stato di un equo riconoscimento.
Per la scuola, perché – come ebbe a dire Piero Calamandrei in un suo celebre discorso – trasformare i sudditi in cittadini è il miracolo che solo la scuola può compiere.
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