Chi ha meno di 50 anni non può ricordarselo, ma c’è stato un tempo in cui molto si discuteva, in Italia e non solo, di “illusione monetaria”.
Di che cosa si tratta?
L’illusione monetaria è la credenza che il nostro reddito cresca, mentre in realtà sta diminuendo a causa dell’inflazione, che si mangia gli aumenti e ci lascia con meno potere di acquisto di prima. Succedeva negli anni ’70 e nei primi anni ’80, sotto la spinta delle dissennatezze politiche e sindacali, che facevano lievitare i salari nominali e i rendimenti dei titoli di Stato ma non abbastanza da pareggiare un’inflazione galoppante e fuori controllo.
Oggi qualcosa di simile si sta ripetendo, ma in ambito sanitario. Da mesi scrutiamo con ansia la curva della percentuale di vaccinati, dandoci obiettivi ogni volta più ambiziosi, nella più o meno segreta speranza che, raggiunta una data copertura vaccinale (80%? 90%?), si arrivi a una situazione di equilibrio, in cui l’epidemia, pur non spegnendosi, rimanga sotto controllo e ci permetta un ritorno alla normalità, o a una quasi-normalità. Ma questo approccio è fuorviante, come lo era, negli anni ’70, guardare ai nostri redditi nominali anziché a quelli reali, depurati dall’inflazione. Per capire come stano andando le cose sul piano sanitario, non dobbiamo guardare alla copertura vaccinale nominale, ma a quella effettiva, che tiene conto dell’anzianità di vaccinazione, ossia del grado di protezione che ogni vaccinato conserva in funzione del tempo trascorso dall’ultima vaccinazione.
In termini un po’ tecnici: come il reddito nominale va corretto con il livello dei prezzi, così la copertura vaccinale effettiva andrebbe corretta con la durata della protezione.
Se si prova a farlo, si scopre che la curva della copertura vaccinale effettiva non sta più crescendo e anzi, verosimilmente, da un mese a questa parte sta diminuendo (vedi grafico). Noi ci illudiamo di star percorrendo l’ultimo miglio, ma in realtà stiamo retrocedendo, come il gambero. E questo per una ragione molto semplice: i nuovi vaccinati aumentano molto lentamente, perché stiamo raschiando il fondo del barile, mentre i vecchi vaccinati che stanno perdendo la protezione sono sempre di più, perché la campagna per la terza dose è partita in ritardo, e sta procedendo a passo di lumaca.
E’ questa la ragione per cui, in Europa, l’epidemia sta rialzando la testa?
Sì e no. Una copertura vaccinale effettiva elevata, con terza dose a chi si è vaccinato all’inizio dell’anno, è sicuramente – in questo momento – una condizione necessaria di stabilizzazione dell’epidemia. Non a caso l’epidemia è completamente fuori controllo, con tassi di mortalità quotidiana altissimi, nella maggior parte dei paesi dell’est, che sono indietrissimo nelle vaccinazioni.
Ma è anche sufficiente?
Non è detto. L’attuale aumento dei casi in tutta Europa non è solo dovuto all’attenuazione della copertura vaccinale effettiva, ma anche, molto più banalmente, all’arrivo della stagione fredda e all’incremento del tempo passato al chiuso. Era un effetto prevedibile, anche nella sua entità: grazie all’analisi statistica dell’andamento dell’epidemia in tutti i paesi del mondo, oggi sappiamo che il mero passaggio dalle condizioni di vita di settembre a quelle di gennaio-febbraio può moltiplicare i casi di un fattore compreso fra 2 e 4. Dunque, nessuno stupore che, con il ritorno a scuola e al lavoro, il numero di focolai abbia preso ad aumentare.
Ecco perché puntare tutte le carte sul rilancio in grande stile della campagna di vaccinazione e rivaccinazione potrebbe essere imprudente. Molto più saggio sarebbe stato, e ancora sarebbe, affrontare di petto il problema – fin qui sostanzialmente rimosso – di frenare la circolazione del virus almeno in alcuni degli ambienti chiusi più pericolosi: scuole, mezzi di trasporto, uffici.
Gli scienziati che si occupano di trasmissione aerea del virus (mediante aerosol, e non solo mediante goccioline), hanno impiegato circa un anno a convincere l’OMS che quel tipo di trasmissione è non solo possibile, ma è la modalità fondamentale negli ambienti chiusi. Ma nessuno è ancora riuscito a convincere le autorità politiche a varare un piano serio di messa in sicurezza degli ambienti chiusi, a partire dalle scuole.
Eppure si può fare, e in alcune realtà locali (nelle Marche, ad esempio) si sta cominciando a fare su piccola scala. Gli ingegneri e gli scienziati hanno indicato con precisione alcune soluzioni tecnologiche (filtri Hepa; Vmc, ossia ventilazione meccanica controllata). Dotare tutte le scuole di dispositivi di controllo e ricambio della qualità dell’aria abbatterebbe i rischi di trasmissione del virus. E renderebbe pure meno drammatica la scelta, che presto si porrà, se vaccinare o non vaccinare pure i bambini.
Sotto questo profilo, non si può non osservare con preoccupazione la decisione, annunciata in questi giorni dalle autorità politico-sanitarie, di rendere molto più blande le regole che fanno scattare l’obbligo di quarantena per tutta la classe. Evidentemente l’obiettivo politico di limitare il ricorso alla Dad (didattica a distanza) sta prevalendo sull’obiettivo di contenere la diffusione del virus nelle scuole. Ma è una scelta miope, e assai pericolosa: perché aspettare che si arrivi a 3 casi per classe prima di correre ai ripari con la quarantena significa lasciar campo libero all’epidemia, per di più nella stagione più favorevole al virus.
Purtroppo è un film già visto: si sa perfettamente che si dovrà chiudere, si ritarda per salvare momentaneamente qualche attività, poi – quando la situazione precipita – si finisce per pagare un conto molto più salato di prima. Non solo in termini di morti, ma anche in termini di nuove chiusure.
(questo articolo è ripreso, su autorizzazione del blog, dal sito www.fondazionehume.it)
Pubblicato su Repubblica del 6 novembre 2021
Lascia un commento