Al di là dei desiderata più o meno autorevoli, più o meno professorali o sentimentalistici, c’è la realtà. E le elezioni amministrative di domenica 3 e lunedì 4 ottobre come, soprattutto, i ballottaggi di domenica e lunedì scorsi, hanno sentenziato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, l’inutilità oltre che l’illogicità, per i partiti del cosiddetto centrodestra, di procedere verso una federazione.
Il motivo è presto detto: gli elettorati di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sono troppo diversi. E non è solo un problema di sensibilità o di ceto, bensì di cultura e prospettiva politica.
In questa ottica il voto è stato chiaro come non mai: nell’evidente e generale momento di difficoltà del centrodestra, la Lega (per usare un eufemismo) non ha brillato, Fratelli d’Italia pur raggiungendo il suo massimo storico, non è riuscita ad eleggere il suo candidato a Sindaco di Roma, mentre Forza Italia, molti descrivevano come il passato, è riuscita persino ad eleggere il suo candidato presidente alla regione Calabria.
Risultati che rispecchiano, pressoché integralmente, i profili culturali delle tre tifoserie: con l’elettorato leghista, assai focoso, impetuoso, arcigno e poco incline ai compromessi (in ciò non esiste differenza tra l’ala salviniana e l’ala giorgettiana) che soffre enormemente la permanenza in un governo che Salvini non può dominare. L’elettorato di Fratelli d’Italia (rafforzato dalle nuove adesioni azzurre e, soprattutto, lumbard), per tradizione elitario e storicamente vocato all’autoghettizzazione, che invece ha condiviso e premiato la coerente decisione di una naturale collocazione all’opposizione. E l’elettorato forzista da sempre governativo, pragmatico, utilitarista decisamente rassicurato sia dalla ampia ed attiva presenza del partito azzurro nel Governo sia dalla volontà, ribadita (non a caso) anche in campagna elettorale da Silvio Berlusconi, di voler continuare a mantenere Mister BCE al governo ancora per anni.
Orizzonti ed interessi diversi tenuti per decenni insieme dal carisma di Silvio Berlusconi ma anche dalla sua estenuante campagna anticomunista: volano di compattezza ed unità (alla strega dell’antiberlusconismo a sinistra).
Un collante che pur mietendo consenso a destra, non ha mai -di fatto- appassionato l’elettorato centrista dell’UDC che, alla nascita del Popolo della Libertà, si fece da parte.
La storia parla, come il recente voto!
Certo, a destra c’è sicuramente spazio per una federazione che possa raccogliere l’elettorato crescente di Fratelli d’Italia e la stragrande maggioranza dello storico elettorato leghista. Senza ambire, però, a ricomprendere e rappresentare l’intero centrodestra.
L’elettorato moderato, quello che è stato la colonna portante del berlusconismo, oggi disperso (tra Forza Italia, Lega, Italia Viva, Calenda, Toti, Brugnaro ecc) è tutta un’altra storia. Quel ceto produttivo, imprenditoriale, professionistico, una volta definito “ceto medio” guarda altrove.
Forse neppure ad un partito o ad un movimento del centro quanto, piuttosto, ad una nuova possibilità di rinascita del Paese incarnata -nell’attualità- dall’uomo Mario Draghi prima ancora e forse al di là del suo esecutivo come fu, al tempo, per Silvio Berlusconi e Matteo Renzi.
L’area è la stessa seppur dispersa, non più organizzata, riunita, governata. Un’area che non c’entra nulla con la destra e la sua vocazione federativa. Quell’area che si sentì umiliata dal governo del senatore a vita Mario Monti e che oggi, all’opposto, si sente fortemente rappresentata e garantita dall’attuale inquilino di Palazzo Chigi.
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