In questa colloquio con Rowan Pelling di Perspective Magazine, (tradotto a cura di Luciano Pallini) l’autrice del libro, “Libera. Diventare grandi alla fine della storia” (edito in Italia da Feltrinelli, 2022 ), descrive l’infanzia e adolescenza nell’Albania comunista, nel crollo del regime totalitario e con le conseguenze disastrose, comprese le imponenti truffe gli schemi piramidali (schemi Ponzi) nelle quali gran parte del paese perse i propri risparmi e precipitò in una dolorosa guerra civile.
Tanti momenti di questa storia sono narrati con una intensità quasi cinematografica quando sembra di stare sulle spalle della giovane Lea mentre fugge dai manifestanti cantando “Libertà, Democrazia” nella sua città natale, Durazzo; solo per scoprire che il suo totem della salvezza – una statua di Stalin nei giardini comunali – era stato decapitato.
L’esplorazione di cosa significhi veramente la libertà, a livello personale, filosofico e civile, attraversa il libro come il filo d’oro in un arazzo.
Sorprende sapere che l’A. non aveva intenzione, in partenza, di scrivere la propria storia. Spiega che, da studiosa di filosofia diventata teorica della politica, voleva scrivere un volume più convenzionale focalizzato “sulla libertà e su come la libertà è presente nelle tradizioni liberali e socialiste e nel pensiero politico”. Voleva contrastare l’interpretazione del marxismo come un “rifiuto totale del liberalismo”, sostenendo che l’opera di Marx si poneva in realtà nella tradizione del pensiero politico illuminista e offriva “una radicalizzazione dell’impegno liberale”. Intendeva esplorare l’idea che “se tieni davvero alla libertà, allora devi preoccuparti di questo potere asimmetrico che rende molto difficile per alcune persone avere accesso alle stesse opportunità di altre, a seconda di dove si trovano nella catena di produzione”. Era anche spinta dal fatto che i millennial esprimessero un nuovo interesse per il socialismo dopo il crollo finanziario e lil sentimento di crisi nelle democrazie liberali
“Ogni volta che dicevo a mia madre che stavo lavorando sul marxismo e sul socialismo, lei diceva sempre: ‘Non posso credere che tu stia lavorando su queste cose. Cosa diavolo ti fa interessare a questo?’”Ma più Lea cercava esempi di vita reale per esplorare questa “crisi del liberalismo”, più i suoi pensieri tornavano all’Albania. Si rendeva conto che la sua visione del mondo derivava direttamente dalla sua formazione. L’altra parte della storia, secondo Lea, nasce dal fatto che “ogni volta che dicevo a mia madre che stavo lavorando sul marxismo e sul socialismo, lei diceva sempre: ‘Non posso credere che tu stia lavorando su queste cose. Cosa diavolo ti fa interessare a questo?'” La professoressa ride, “era quasi come se rappresentassi un motivo di imbarazzo per lei”.. Da qui la scelta di dimostrare, sia per sé che per sua madre, come e perché qualcuno che era sfuggito a un regime totalitario potesse successivamente impegnarsi nello studio del marxismo. Voleva capire se e come la sua formazione potesse interessare il lettore per il modo in cui alcune idee erano state male interpretate e abusate: “Ma anche mostrare che le idee sono sempre, in qualche modo, male interpretate e abusate”.I primi capitoli del libro sono particolarmente intensi, ci mostrano gli eventi attraverso gli occhi della bambina e la sua incrollabile certezza nell’onnisciente benevolenza di “Zio Enver” [Hoxha], leader dell’Albania per 40 anni. È sconcertata dal fatto che la loro casa non abbia, al centro, la foto in cornice del Primo Ministro e che molti parenti e amici di famiglia siano assenti per continui periodi di “studio”. Solo più tardi scopre che “università” è il nome in codice della prigione. Fare la fila per ore per il cibo e altri beni essenziali è una pratica normale, regolata da un galateo che consente alle persone di lasciare una borsa o una pietra per tenere il posto, mentre sono impegnate in altre file o in faccende domestiche. I beni più ordinari in Occidente sono così scarsi che i pacchetti vuoti di gomma da masticare diventano merce di contrabbando in classe, – annusati per il persistente profumo di abbondanza sintetica – mentre le lattine vuote di Coca-Cola sono apprezzate come i vasi Ming. I pochi turisti che si avventurano fuori pista in Albania (spesso alla ricerca romantica di un Eden socialista), odorano di crema solare aliena.“Sapevo che l’Albania era uno stato isolato”, dice Lea, “e credevo alle categorie ideologiche che mi erano state insegnate… che questo fosse uno stato isolato perché era uno stato con un alto standing: profondamente impegnato per la libertà e per la liberazione dei lavoratori dall’oppressione. Ma poiché era una piccola nazione, nel corso della sua storia aveva dovuto fare i conti con imperi che ne minacciavano la sopravvivenza”.Lea e i suoi compagni di classe credevano che il socialismo albanese dovesse “essere difeso a tutti i costi da tutti i nemici” e che offrisse “un modello per altri paesi antimperialisti in tutto il mondo”. Pur consapevole che si trattava di una società povera, priva di accesso a prodotti facilmente disponibili in Occidente, questa convinzione alimentava l’idealismo: “In qualche modo ero convinto che avessimo ragione. Non importava davvero che non avessimo questi beni materiali perché credevamo in qualcosa di molto più importante e profondo”.Dico a Lea che avrei trovato strana la sua fiducia nello zio Enver se, all’incirca alla stessa età, non avessi nutrito una altrettanto sincera convinzione che un uomo geniale, con la barba su una nuvola, si prendesse cura dei miei interessi. Ride e dice che quando ha intravisto per la prima volta il Papa in TV – grazie ad “un segnale dall’Italia che era un po’ incostante” – è rimasta sorpresa: “Sai, il Papa è davvero strano se tu non l’ho mai visto”. Gli antenati di Lea erano tutti musulmani, ma come spiega in Libera, l’Albania di Hoxha era uno stato ateo che insegnava ai suoi figli che la nozione di Dio era mantenuta in vita dai capitalisti “perché rendeva più facile sfruttare i lavoratori e poi, incolpare un essere magico piuttosto che se stessi per la miseria che hanno causato”.L’idea di andare in prigione per le proprie convinzioni politiche piuttosto che per furto o omicidio era difficile da comprendere, soprattutto per un’undicenne che non pensa che la libertà di opinione o di parola sia un problemaÈ abbastanza chiaro, come dice Ypi, che quando “sei circondato da un’ideologia, non la metti davvero in dubbio”. Ciò che conta è essere storicamente consapevoli di come i sistemi politici possono cambiare: che “le circostanze modellano le idee e modellano le motivazioni e modellano i singoli leader”. Quindi non puoi mai incolpare “i difetti di particolari individui o particolari politici se le cose prendono una brutta piega, perché in qualche modo è una responsabilità collettiva”. Quello che l’A. percepisce come autocompiacimento dell’Occidente è stato un motivo trainante per scrivere il libro: “Sento che quando sei in una crisi così profonda – ambientale o altro – devi davvero cambiare il modo in cui pensi all’ideologia”.Discutiamo dei modi in cui il Regno Unito non ha subito le invasioni continue e sottrazioni di territori che hanno segnato l’Europa continentale per secoli. Lea dice in modo chiaro: “Trovo sempre che la storia del mondo sia fatta da nazioni che la modellano e nazioni che semplicemente la assorbono – la risucchiano”. Dal momento che questi diversi destini storici sono intimamente collegati, desidera che i lettori siano consapevoli di “cosa succede al di fuori del tuo centro di comfort e sicurezza – perché, in qualche modo, sei responsabile di questi altri piccoli paesi se plasmi il loro destino”.La perdita dell’innocenza è al centro di Libera. Dalle prime pagine del libro è chiaro che la giovane Lea sta precipitando verso rivelazioni insopportabilmente dolorose, scatenate dalla caduta del regime comunista nel 1991. Innanzitutto, si rende conto che i suoi genitori e l’amata nonna non provano alcun amore per il leader e l’ideologia, nonostante l’abbiano attivamente incoraggiata ad abbracciarla. Più sconvolgente è la rivelazione che il perfido Primo Ministro Xhaferr Ypi, che descriveva a scuola come il traditore che aveva trasferito la sovranità dell’Albania all’Italia nel 1939, era davvero il suo bisnonno, anche se aveva sempre furiosamente negato la parentela con lui. E che suo nonno paterno, assente per quindici anni di “università”, aveva scontato una pena detentiva come dissidente politico.L’idea di andare in prigione per convinzioni politiche piuttosto che per furto o omicidio era difficile, “soprattutto per un’undicenne che non pensa che la libertà di opinione, o la libertà di parola, sia un problema”. Aggiunge che, da bambina, se hai una famiglia solidale e reciprocamente rispettosa, “semplicemente non ti viene in mente che c’è una sorta di coscienza che viene repressa”. Ha avuto difficoltà ad accettare: “Continuavo a dire: ‘Non è possibile. Deve aver fatto qualcosa. Devi solo dirmi cos’è che ha fatto?’ E loro erano tipo, ‘No, aveva solo queste convinzioni’. E io ero tipo, ‘Ma nessuno va in prigione per quello'”.Anche così, nel giro di pochi mesi dall’autunno del 1991, si era adattata alla nuova narrativa, che “questo era uno stato oppressivo e io ero stata oppressa e [la mia famiglia] aveva dovuto mentire”. In effetti, l’intero paese si è adattato, compresi i suoi amici a scuola. È stato solo quando la segretaria del partito è andata in televisione ad annunciare che il pluralismo politico ci avrebbe “reso liberi” che ha capito davvero che non erano liberi. Ma questo adattamento ha lasciato persistenti “domande sull’identità” che, secondo lei, si riverbereranno per il resto della sua vita. In quel momento, Lea arrivò a capire perché “Babi”, il suo adorato padre, non aveva il permesso di studiare la sua amata matematica all’università (era invece iscritto a un corso di silvicoltura), che non aveva nulla a che fare con la sua attitudine ma tutto a che vedere con la “biografia” della sua famiglia – nel suo caso, una storia di dissidenza. Nello stesso tempo “Mami”, la sua brillante madre campionessa di scacchi, amante di Goethe e Mozart, era stata spinta a diventare un’insegnante di matematica, anche se detestava la materia: il crimine della sua famiglia era quello di essere stati ricchi mercanti musulmani. Lea ricorda come durante una escursione, quando lei ed i suoi genitori passarono in bicicletta davanti ad un palazzo di città, sua madre indicò una finestra, ricordando a suo padre: “Ha detto ‘Allah Akbar'”. Solo in seguito ha scoperto che il suo bisnonno materno nel 1947 si era lanciato dalla finestra, dicendo quelle parole, per sfuggire alla tortura.Forse la libertà di movimento non era mai stata davvero importante. Era facile sostenerlo quando qualcun altro stava facendo il lavoro sporco della reclusione. I confini e i muri sono riprovevoli solo quando tengono le persone dentro piuttosto che fuori?Forse la storia di famiglia più drammatica riguarda la raffinata nonna paterna di lingua francese, Nini, che si è rivelata essere un funzionario pubblico rivoluzionario. La sua giovinezza è stata materia di romanzi: “A quindici anni ha assaggiato il suo primo whisky e fumato il suo primo sigaro… A vent’anni è stata consigliera del primo ministro e la prima donna a lavorare nell’amministrazione statale. A ventun anni ha incontrato mio nonno al matrimonio di re Zog.Ma sotto la nuova, epocale “società civile” (un termine che Lea pronuncia con gusto) la famiglia esplora nuove strade. Il segretario di Stato americano James Baker diventa il primo politico americano a toccare le coste albanesi da decenni e dichiara davanti ad una folla di oltre 300.000 persone che “la libertà funziona”. Annuncia che il governo degli Stati Uniti e le organizzazioni private americane saranno coinvolte per aiutarli a costruire “democrazia, mercati e un ordine costituzionale”. Il generoso padre di Lea è incaricato della supervisione del porto di Durazzo, che – gli è stato detto – deve essere in linea con i dettami di un’economia di libero mercato, ma scopre di non essere abbastanza duro per licenziare in tronco la forza lavoro rom. Sua madre si unisce al partito di opposizione e si dedica alla politica spontaneamente, tenendo discorsi improvvisati davanti ad un pubblico di migliaia di persone. La famiglia gode di un breve periodo di avanzamento prima che la guerra civile distrugga l’Albania e loro, come la maggior parte dei loro amici e vicini, perdano tutta la ritrovata sicurezza nei truffaldini schemi piramidali. Migliaia di persone cercano di fuggire in Italia, saltando su traghetti e barche stracolme, solo per scoprire che, sebbene gli albanesi fuggiti una volta fossero accolti come rifugiati politici, ora sono dei paria, da internare e deportare. Una nave affonda lasciando decine di corpi sparpagliati come relitti nel Mar Ionio; scene che evocano dolorosamente i pericoli attuali affrontati dai profughi disperati che cercano di attraversare il Mediterraneo e la Manica.Come scrive Lea nel libro: “Forse la libertà di movimento non è mai stata davvero importante. Era facile difenderla quando qualcun altro stava facendo il lavoro sporco della reclusione. Ma che valore ha il diritto di esistere se non c’è il diritto di entrare? I confini e i muri erano riprovevoli solo quando servivano a tenere dentro le persone, invece di tenerle fuori? Le guardie di frontiera, le motovedette, la detenzione e la repressione degli immigrati sperimentate per la prima volta nell’Europa meridionale in quegli anni sarebbero diventate prassi standard nei successivi decenni”. Il potere di questa narrazione risiede nel ricordo di Lea di quanto rapidamente le strutture di potere possano capovolgersi e la libertà possa rivelarsi illusoria, mentre i governi autoritari e la sfiducia dei diseredati incombono da vicino.Non sorprende che le esperienze formative di Lea le abbiano fatto trovare “difficile credere in qualcosa”, sebbene abbia adottato una posizione filosofica che descrive come “marxismo kantiano”. Il lato kantiano viene da sua nonna, anche se Nini non si sarebbe mai descritta sotto quella categoria, dice Lea “Ma aveva questo fortissimo senso di coscienza morale e dovere morale”. Il modo in cui sua nonna si è liberata dalla spinta e dall’attrazione delle forze esterne è stata fonte di ispirazione. La terribile “biografia” (il giudizio dei funzionari statali sulla tua storia familiare) era “cruciale per conoscere i limiti del tuo mondo ma, una volta che hai conosciuto quei limiti, eri libero di scegliere e sei diventato responsabile delle tue decisioni… per evitare di essere trasformato dalle vittorie e per imparare ad accettare la sconfitta. Come le mosse degli scacchi che descriveva mia madre, il gioco è tuo se padroneggi le regole.In definitiva, mi dice YLea, c’è il libero arbitrio “e la capacità di fare delle scelte”. Il marxismo segue questa idea e offre “un’analisi delle società capitaliste e della globalizzazione, che è molto più ricca e sofisticata della semplice [dicotomia] del bene e del male”. Si appassiona al suo tema: “Hai sviluppo industriale e hai un processo storico e hai colonialismo e strutture che creano motivazioni e producono ricchezza in questo modo. E non dipende mai completamente dagli individui. Ma quello che fa la moralità individuale è mostrarti come potrebbero essere le cose se non avessi questi vincoli”. Ma il marxismo è di utilità limitata a meno che non sia aggiogato alla “storia di Kant”, dichiara Lea, perché “ti aiuta solo a vedere cosa sta succedendo”, senza indirizzarti verso una predefinita direzione migliore.E’ difficile trasmettere la velocità con cui Lea esplora le idee (nella sua quarta lingua, dopo il francese, l’albanese e l’italiano): una delle più importanti conclusioni del suo libro è il potere trasformativo e liberatorio dell’istruzione. Quando Enver Hoxha prese il potere, l’Albania aveva un tasso di alfabetizzazione degli adulti pari a circa il cinque per cento e quando morì era del 90 per cento. Lea mi racconta una storia relativa alla squadra nazionale di basket del paese che era andata in tournée in Occidente: gli atleti saltavano fuori dalle finestre dei loro hotel di notte e andavano alla ricerca di musei, gallerie d’arte e librerie. Questa brama di conoscenza “ti ha dato la libertà di pensare”, nonostante la censura statale. Il sistema educativo statale metteva i ragazzi e le ragazze su un piano di parità e incoraggiava la competitività accademica: “Non gareggiavamo per soldi, o chi era più ricco, o chi aveva vestiti di marca [ma su] chi sapeva più cose e chi leggeva più libri. ” Sottolinea che può esserci una maggiore disuguaglianza nella società occidentale, dove i genitori benestanti pagano tutor e lezioni di musica. “In Albania avevamo tutti questi club ed erano tutti gratuiti e accessibili a tutti” Si trovavano, secondo un modello standard, in ogni villaggio e in ogni minima comunità.C’è una scena comica in Libera in cui Lea descrive una delegazione di femministe occidentali vestite in modo sobrio, che viene a intervistare sua madre (allora in politica) nella loro casa di famiglia. Mati indossa una sottoveste di seta rossa esotica – una camicia da notte riadattata, acquistata da un mercato di strada – in onore dell’occasione ed è perplessa dalle domande delle sue ospiti, dal momento che i sessi hanno a lungo goduto di pari opportunità di carriera in Albania. Quando le chiedono della libertà delle donne, lei dichiara: “Penso che tutti dovrebbero essere liberi, non solo le donne”.I suoi diari adolescenziali, citati in “Libera “, hanno un’immediatezza fresca e cordiale, resa ancora più potente quando il rat-tat dei Kalashnikov scandisce un resoconto di una cotta in classe o da espressioni tipiche di noia adolescenzialeLa tenacità mentale di Lea deve molto alla sopravvivenza in un terribile periodo di disordini civili in Albania negli anni ’90. I suoi diari adolescenziali, citati in Libera, hanno una un sapore di cordite, reso ancora più potente quando il rat-tat dei Kalashnikov è punteggiato dal racconto di una cotta in classe, o da espressioni tipiche di noia adolescenziale. Il 10 marzo 1997 registra: “Così noioso. Non vedo K da dieci giorni.” Il 14 marzo scrive: “Non lo sopporto. Preferirei uscire e prendere un proiettile piuttosto che sedermi qui. Non c’è nessuno con cui parlare”. Il giorno dopo inizia il suo diario così “Pensavo di uccidermi ma mi dispiaceva per Nini. Durò solo quindici minuti. Devo trovare un nuovo libro da leggere”. Guerra e Pace di Tolstoj fornisce la soluzioneQuesta esperienza quasi schizofrenica di noia e pericolo era tipica dei tempi, dice Lea. “Un giorno è stato, ‘Oh, va bene, non è così male come la gente dice che sia’. Il giorno dopo: ‘Sto per morire.'” Questa è la realtà banale di tutte le guerre, riflette.Senza dubbio, Libera è il libro più accattivante, umano e stimolante che abbia letto quest’anno, e raggiunge lo scopo dell’autore di far riconsiderare ai lettori cosa intendono per libertà. Ogni capitolo è come una porta spalancata sull’Albania della giovinezza di Lea, con il suo riassunto della guerra ideologica combattuta dalla d sua famiglia: “La mia famiglia ha equiparato il socialismo alla negazione: la negazione di quello che volevano essere, del diritto a commettere errori e imparare da essi, per esplorare il mondo alle proprie condizioni. Ho identificato il liberalismo con le promesse non mantenute, la distruzione della solidarietà, il diritto di ereditare i privilegi, chiudendo un occhio sull’ingiustizia”. Ma, come conclude Lea, il giudizio più equo è che entrambi i sistemi non sono all’altezza dell’ideale. Forse la libertà può essere sempre e solo uno stato di grazia mentale.
Lea Ypi è professore di teoria politica presso la London School of Economics & political Science e professore a contratto di filosofia presso l’Australian National University. Il suo lavoro ha ricevuto numerosi premi come il British Academy Prize for Excellence in Political Science e il Leverhulme Prize for Outstanding Research Achievement. “Free” è il suo primo libro non accademicoSi ringraziano l’autrice, Lea Ypi, e la rivista, Perspective Magazine, per l’autorizzazione a tradurre e pubblicare il colloquio, che può essere, in originale, letto qui https://perspectivemag.co.uk/the-interview-3/
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