Con la presentazione in Consiglio comunale del progetto definitivo il centro per la selezione di rifiuti tessili fa un altro decisivo passo avanti anche se non sono del tutto assopite le polemiche. Che a Prato, come in tutta Italia, si debba mettere a terra un ecosistema per la raccolta e la selezione dei rifiuti tessili, al pari di RAEE, vetro, imballaggi, ecc.., è nell’ordine delle cose indipendentemente dalla direttiva della Commissione Europea (2018/851). Nel 2020 (dati Ispra) in Italia sono state raccolte 180.000 ton rifiuti tessili “post consumo” che, dopo una prima selezione, per circa due terzi vengono indirizzati al riuso (seconda mano); il resto si divide tra riciclo, valorizzazione energetica e discariche. L’istituto REF, tuttavia, ha stimato in più di 650.000 le tonnellate di rifiuti tessili che finiscono nelle discariche, pessima abitudine a cui, in nome dell’economia circolare e grazie anche ai fondi PNRR, dobbiamo assolutamente porre fine.
L’hub di Prato è progettato per trattare 20.000 ton di abiti dismessi e 14.000 di rifiuti “pre consumo”; a spanne, in Italia ne servirebbero almeno una decina. Un progetto analogo è stato varato da poco a Turku, città di 190.000 abitanti che si affaccia sul mar Baltico, nella Finlandia Sud Occidentale. I suoi promotori, nel presentarlo, hanno sottolineato che la Finlandia sarà il primo paese al mondo a dotarsi di un sistema nazionale in grado di evitare che finiscano in discarica tutti i rifiuti tessili. Inoltre, l’istituto nazionale di ricerca VTT ha stimato che l’offerta a prezzi e vantaggiosi delle fibre riciclate farà nascere un ventaglio di nuove attività in grado di occupare 17.000 lavoratori (filati, tessuti non tessuti, isolanti, barriere acustiche, filtri, geotessili, …).
Il confronto tra i due hub di Prato e Turku è istruttivo sotto numerosi profili. Gli investimenti sono dello stesso ordine di grandezza: 18,5 m.ni nel primo caso contro 20,5 del centro finlandese. I contributi pubblici ammontano rispettivamente a 2,1 e 5,2 m.ni. In entrambi i casi la selezione dei rifiuti in ingresso sarà prevalentemente manuale per separare la frazione riservata al riuso che, come sottolinea la Commissione Europea, deve rappresentare l’opzione preferita, mentre per i trattamenti di riciclo si utilizzeranno sistemi meccanici con selezione ottica e frantumazione. In particolare il progetto pratese ricorre ad una tecnologia basata su sensori ottici a infrarossi (Nir) capaci di riconoscere e differenziare i fazzoletti di tessuto per tipologia di fibra e colore, cosa che, sulla base della proprie esperienze in materia, non ha affatto convinto decine e decine di imprenditori attivi nella filiera del riciclo pratese. A Turku l’investimento sarà realizzato da LSJH, una società privata attiva nelle attività di riciclo dal 2012che già da alcuni mesi gestisce un impianto pilota per selezionare gli abiti dismessi provenienti da una decina di amministrazioni locali. L’impianto, che inizierà a operare nel 2025 con 100 dipendenti, è stato impostato in base agli incoraggianti risultati della preziosa sperimentazione in corso. La parte dei rifiuti che non troverà impieghi nel riuso o nel riciclo sarà inviata ad un impianto di valorizzazione energetica che fa parte dell’”ecosistema tessile” nazionale. L’hub di Prato, che sarà operativo l’anno successivo e con solo 50 persone, è gestito dalla società municipalizzata di servizi ambientali ALIA. Sulla sua strada, come spesso succede per questo tipo di interventi, non sono mancati ostacoli. C’è da chiedersi, semmai, se questi si potevano prevenire o attutire con strumenti come il dibattitto pubblico e lo stakeholder engagement. Confronto e ascolto durante la gestione del progetto, di fatto, hanno coinvolto associazioni di categoria e organizzazioni sindacali che ne hanno condiviso con convinzione impostazione e finalità. Poca attenzione è stata riservata agli altri stakeholder, e in particolare a quelli più esposti all’impatto del progetto per prossimità o per affinità con l’attività di selezione degli abiti dismessi. Come insegna un’ampia casistica di progetti analoghi, sempre più amministrazioni locali attivano strumenti mirati di ascolto e di interazione. Si inizia aprendo un sito internet che illustra il senso dell’intervento e fornisce le informazioni base, dalla normativa sull’economia circolare alla direttiva che obbliga a effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti tessili per favorirne il riuso e il riciclo alle informazioni preliminari sull’attività che si intende svolgere e all’analisi costi benefici dei possibili siti eletti per l’insediamento. Soprattutto, si chiarisce il perimetro esatto delle attività, quelle svolte e quelle che non saranno mai ospitate nel sito, e si elencano in tutta trasparenza le obbligazioni in fatto di audit periodici e report di sostenibilità. Si aprono forum dedicati nei quali associazioni e cittadini sono sollecitati a inviare pareri e note scritte e si organizzano workshop on line dove gli interessati possono esprimere i propri punti di vista. Se necessario si svolgono sondaggi, ad esempio sulle diverse opzioni degli interventi di compensazione a favore dei residenti nelle aree limitrofe, ecc. Questo non c’è stato o è stato fatto solo in parte; l’impressione è che Alia e Comune di Prato si siano preoccupati della complessa rete di normative europee, nazionali e regionali, con relativi vincoli temporali, e non abbiano prestato la dovuta attenzione alle prevedibili reazioni di alcuni primari stakeholder, fermo restando che un percorso più partecipativo con tanto di dibattito pubblico forse non avrebbe fatto lievitare più di tanto la simpatia verso il progetto.
La carenza di informazioni ha innescato preoccupazioni anche sulla sostenibilità economica finanziaria. Una più dettagliata presentazione del progetto, con relative simulazioni economiche, forse avrebbe arginato queste reazioni che, sulla carta, non sembrano prive di fondamenta. I costi di esercizio per logistica, selezione, processo, avvio riuso, riciclo e discarica dei rifiuti, che nel caso Francia sono pari a 600/650 €/ton (700 €/ton in Svezia), verosimilmente oscilleranno tra i 15 e i 20 m.ni di €. Sul lato ricavi le entrate per conferimenti da aziende di rifiuti “pre consumo” (14.000 ton) non dovrebbero superare i 3 m.ni €, cifra analoga a quella generata dalla vendita di fibre per riciclo (8.000 ton). Non sappiamo cosa Alia prevede di ricavare dalla vendita di abiti selezionati per l’avvio riuso (12.000 ton). Molto dipende da cosa si raccoglie e come lo si seleziona: 300 € a ton sarebbero già un risultato brillante; insomma, salvo apporti per il momento da definire derivanti dall’EPR (compensazioni da responsabilità estesa del produttore) il centro viaggerebbe con consistenti disavanzi, fino a 5 m.ni di € anno. Tutto fa pensare che il piano industriale di Alia si basi su numeri più robusti ma anche in questo caso una narrazione più precisa e partecipativa avrebbe contribuito a fugare un po’ di nebbia intorno al progetto.
L’ultimo rilievo riguarda quella parte della comunicazione usato come leva emotiva richiamando le virtù circolari della saga industriale degli stracci. La strada tracciata dalla Commissione Europea con laSustainable Product Iniziative (marzo 2022) come sappiamo riserva particolare attenzione alle dichiarazioni sull’impronta ambientale dei prodotti. Quello del cardato pratese è uno dei pochi casi di riciclo di rifiuti tessili; ricorre a sistemi meccanici che la Commissione preferisce rispetto a quelli chimici e, grazie alla straordinaria abilità dei selezionatori, divide la lana in base al colore, cosa che consente di by-passare la tintoria, la lavorazione tessile a maggiore impatto in termini di consumi energetici e di gas clima alternanti. Negli ultimi anni è cresciuto il numero di lanifici pratesi che certificano le proprie valenze ecologiche in fatto di approvvigionamenti, uso di materie prime riciclate, cicli di lavorazione e reti di subfornitura qualificate. Questo, tuttavia, non è stato fatto dal distretto tessile nel suo insieme. Un progetto come quello dell’hub probabilmente avrebbe suscitato più empatia se sostenuto da una batteria di dati capace di andare oltre la semplice sottolineatura di una tradizione lunga, è vero, 150 anni ma notevolmente ridimensionata rispetto agli anni del boom economico. Attualmente la lana riciclata reimmessa nel ciclo della filatura cardata viene stimata in circa 25.000 ton. In assenza di dati puntuali e provando a fare due conti sul retro di una busta, il “tasso di riciclo” (quota di materie prime seconde impiegate) su una produzione materiale complessiva dell’industria tessile compresa in un range tra 90.000/100.000 ton (30/35.000 filati, 55/65.000 tessuti), è pari al 15%. Non molto rispetto a quanto si fa nel cartario di Lucca (da 50 a 80% secondo i prodotti) e nel vetro (77%) ma va tenuto presente che l’attività di riciclo dei prodotti tessili è molto più complicata e che in ogni caso quello pratese è uno dei pochi esempi di economia circolare tessile nel mondo. Il virtuosismo di Prato si presenta ancora più consistente, inoltre, aggiungendo sia i flussi degli abiti selezionati per il riuso dai 50 e più cernitori locali che quelli delle fibre per impieghi diversi dalla lana cardata (feltri, ovatte, non tessuti, ecc..). Proprio per questo, il progetto hub offriva al distretto tessile una occasione per darsi apertamente obbiettivi più sfidanti nella circolarità e nella costruzione di uno dei principali pilastri dell’ecosistema tessile nazionale. E per comunicarlo con informazioni puntuali e relativo corredo certificato di carati “ESG” (Environmental, Social, Governance), i tre fattori chiave per misurare sostenibilità e impatto etico di una attività.
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