Robert Conquest (1917-2015), storico, critico letterario, poeta e scrittore ha prodotto alcune opere che nella sterminata storiografia sull’Unione Sovietica hanno più di altre contenuti innovativi. Ho avuto modo di incontrarlo a Palermo nel dicembre 1987 al Convegno Internazionale A 70 anni dalla rivoluzione sovietica, organizzato dal CES.MES. Il convegno avrebbe dovuto aprire – così lo presentava la locandina – una nuova epoca nelle relazioni fra l’Occidente e l’Unione sovietica.
La delegazione sovietica era nutritissima: storici, scrittori, poeti e filologi, erano tutti esponenti della glasnot’ e della perestrojka con l’impegno di illuminare i <<buchi neri>> della storia sovietica. Tra i più noti (e intervistati) ricordo Jurj Afanassiev, rettore dell’istituto superiore di storia dell’URSS, Otto Latzis , vice direttore della rivista Kommunist, Jasen Zasurskij, storico della letteratura americana, Vladimir Karpov, romanziere, segretario generale dell’Unione degli scrittori sovietici, Juri M. Lotman, storico della letteratura, teorizzatore della semeiotica della cultura.
La delegazione occidentale era rappresentata da politologi più che da storici, da economisti più che da scrittori. Tra le figure più in vista (e intervistate) spiccavano i politologi Eduard Nicolae Luttwach e Helmuth Sonnenfeld; l’economista Petr Knirsch, docente alla Freie Universität di Berlino; l’ex ambasciatore francese a Roma, Gilles Martinet, padre Bartolomeo Sorge e Guido Carli.
L’ampia relazione di Robert Conquest ricca di spunti sulla falsificazione della storia perpetrata dalla dirigenza sovietica non suscitò l’interesse della stampa. Eppure, l’edizione inglese del suo libro[1], il primo e per molti anni unico, completo resoconto di una delle più devastanti carestie dello storia moderna, era uscita nel 1986, un anno prima del convegno palermitano. In Italia, l’opera era stata completamente ignorata.
Ciò ha dato a Giulio Meotti il destro per sostenere, in chiave polemica, che Robert Conquest fosse in Italia uno sconosciuto. Eppure questo non era proprio vero. Ha ragione, perciò, Federico Argentieri a correggere Meotti e a ricordare che la traduzione italiana dell’altro fondamentale libro di Conquest Il Grande Terrore. Le purghe di Stalin negli Anni Trenta, era stata pubblicata da Mondadori nel 1970, due anni dopo l’edizione inglese[2].
Non solo (ma questo lo aggiungo io), un suo saggio Sulle origini del terrore era apparso qualche anno dopo, nel 1973, in una miscellanea delle edizioni de <<Borghese>> dal titolo Il costo umano del comunismo. Nel clima dell’epoca, la comparsa di Conquest su queste edizioni, non contribuì a farlo conoscere, ma rafforzò la disposizione ad ignorarlo. Essere all’epoca in fama di anticomunista pesava in Italia come una conventio ad escludendum.
Senza qui addentrarci sugli indirizzi della storiografia italiana sull’URSS[3], non è azzardato parlare dell’esistenza di una censura sotterranea che impediva fosse preso in considerazione un’opera come quella di Conquest. Ci si doveva rivolgere alla stampa internazionale per conoscerne il contenuto. Le riviste anglosassoni cominciarono ad interessarsi al volume e a recensirlo nella primavera-estate del 1987. Il libro suscitò interesse e polemiche in egual misura. E non fu unanimemente apprezzato.
John Armstrong ne riconobbe la novità. E la recensì come la trattazione più completa sulla storia della collettivizzazione sovietica e della carestia. Esprimeva riserve, però, sulla connessione fra questione nazionale e questione contadina, che, a suo giudizio, non era compiutamente dimostrata [4].
John Campbell riconosceva inoppugnabile la tesi che si era trattato della distruzione delle comunità contadine per ragioni ideologiche; esprimeva, tuttavia, il dubbio si potesse adottare la categoria di genocidio[5]. R. H. Johnston lodò il coraggio dell’A. per aver sollevato il coperchio su di una tragedia di dimensioni epocali, fino allora coperta da silenzi e menzogne degli osservatori occidentali compiacenti al regime sovietico, come il giornalista Walter Duranty. Rilevava però che l’enfasi posta nella denuncia e il fatto che l’A. si fosse servito, tra le altre fonti, delle testimonianze degli emigrati ucraini e del famoso Blak Deeds of the Kremlin, lo esponeva inevitabilmente alle critiche di parzialità da parte dei recensori [6].
- E. Johnson dell’Università di Toronto affondò la sua penna proprio su questo punto debole. A suo dire, l’impostazione demonologica impressa al volume aveva mascherato all’A. la complessità del problema. E senza mezzi termini demolì la tesi di fondo dell’A. ossia che la carestia fosse un genocidio pianificato contro il popolo ucraino per infrangerne lo spirito d’indipendenza[7]. Altre recensioni variavano sullo stesso canone. Merita di essere riportato, però, il giudizio di Mark von Hagen, che garbato nello stile, ma critico nella sostanza, definiva l’opera di Conquest <<appassionata benché spesso tendenziosa storia>> [8]. In sostanza rimproverava all’A. il troppo zelo messo nell’incarico ricevuto dall’Istituto Ucraino di Harvard.
Questo era il metro di misura della storiografia occidentale sull’Unione Sovietica, prima della caduta del Muro di Berlino e prima del crollo dell’URSS. Ancora nel 1987 la sovietologa americana Lynne Viola aveva pubblicato il volume sulla collettivizzazione sovietica The Best Sons of the Fatherland. Workers in the Vanguard of the Collectivization, per l’Oxford University Press. I ventisettemila militanti bolscevichi inviati per dekulakizzare l’Ucraina erano trattati dall’A. con ammirazione e partecipazione per i modi e i mezzi (brutali) con cui avevano sbaragliato l’arretratezza del mondo contadino[9]. Tuttavia,
questa interpretazione, totalmente sottomessa alle fonti ufficiali del periodo staliniano, trasferiva pur sempre i canoni stalinisti e neostalinisti della storiografia sovietica in quella occidentale. Sennonché, negli anni Ottanta del secolo scorso, successe di peggio. Si ricorse ancora in Occidente al “disumano potere della menzogna” (Boris Pasternak) con il proposito di ribaltare il rapporto tra realtà e immagine a proposito della collettivizzazione in Ucraina. Stalin era riuscito negli anni Trenta, grazie alla propaganda, nell’impresa di liquidare la carestia in Ucraina come menzogna controrivoluzionaria. I casi della Francia, e dell’Italia sono emblematici e opposti. Vi accennerò in chiusura.
Nel 1987 l’operazione ebbe meno successo. Ma fu tentata ugualmente. A Toronto fu pubblicato il volume di Douglas Tottle, Fraud, Famine and Fascism. The Ukranian Genocide Myth from Hitler to Harvard. Il libro cercava di dimostrare che i fatti atroci (e quasi incredibili) raccontati da Conquest erano stati fabbricati dalla propaganda occidentale, segnatamente in America, dal magnate della stampa William Randolph Hearst. Insomma, per Douglas Tottle la carestia del 1932-1933 in Ucraina sarebbe stata un mito, creato ad arte dalla propaganda nazista, edulcorando dati reali, quali il sabotaggio dei kulaki , la lotta per l’accaparramento del grano, le condizioni climatologiche e le sanzioni straniere. Quaranta anni dopo, questo mito veniva riproposto dai nazisti e dai fascisti americani.
Nel 1988 fu istituita una Commissione internazionale d’inchiesta sulla carestia del 1932-33 in Ucraina per stabilire cause e circostanze della sua esistenza. Douglas Tottle, invitato, non rispose. Il libro fu esaminato nelle sedute della Commissione del 23 e 27 maggio 1988. Il presidente della Commissione Jacob W. F. Sundberg affermò che un tale libro non avrebbe potuto essere scritto senza l’assistenza di fonti ufficiali sovietiche[10].
L’uscita di quest’opera di Conquest aveva già incrinato il canone della storiografia occidentale sull’URSS, ispirata alla monumentale opera di Edward H. Carr, uno storico senza dubbio di grande spessore intellettuale ed erudizione, nonché brillante trockista di Cambridge. I documenti esplosivi pubblicati sulle riviste sovietiche nel corso della perestrojka misero sempre più in crisi i canoni di quella storiografia. Il 25 dicembre1991, quando l’URSS si inabissò nell’Oceano come una Nuova Atlantide trascinò con sé anche la visione trionfalistica dell’Unione Sovietica, che la storiografia ispirata da Edward H. Carr aveva esaltato come la costruzione di una nuova civiltà (costasse quel che costasse: risorse e sangue). Allora cominciarono ad essere tradotte in Italia anche le opere sulla Unione Sovietica di quella storiografia anglosassone che aveva saputo distinguere tra indagine storica e fede ideologica. Mi riferisco in particolare ai volumi di Richard Pipes.
In Ucraina, intanto, il ribollente sentimento nazionale che aveva portato all’indipendenza incentivò a riprendere gli studi sulla collettivizzazione e sul Holodomor (morte o sterminio per fame). Un problema che fino ad allora non aveva meritato l’attenzione degli storici portò a guardare con altri occhi la tesi di Conquest sul genocidio ucraino.
In Italia, la spinta alla traduzione del volume di Robert Conquest Harvest of Sorrow, i cui diritti erano stati acquisiti dall’Editore Garzanti senza pubblicarlo, venne dal convegno internazionale La morte della terra . La grande “carestia” in Ucraina nel 1932-33, organizzato nell’ottobre 2003 a Vicenza dall’Istituto di storia sociale e religiosa di Gabriele de Rosa e Sante Graciotti. Fu il primo convegno storico in Europa dedicato al settantesimo anniversario di uno dei più grandi genocidi del Novecento, commesso nell’ambito della politica di collettivizzazione forzata delle terre, ordinata e gestita da Stalin e dalla dirigenza bolscevica. Parteciparono al convegno insigni studiosi ucraini, Orest Subtelny, James Mace, Stanislav Kul’chyts’kyj (massima autorità sul problema dello sterminio del 1933), Jiurij Shapoval, Oxana Pachlovska. Tra gli italiani Andrea Graziosi, Ettore Cinnella, il compianto Mauro Martini. Anche Federico Argentieri e il sottoscritto, presenti qui stasera, furono tra i relatori.
Il volume con il titolo Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica fu pubblicato l’anno successivo dalle Edizioni Liberal e le sue tesi furono oggetto di un’ampia discussione nel N. 24 (giugno-luglio 2004) della rivista trimestrale <<liberal>>. Le vicende intercorse dopo il 24 febbraio 2022 tra l’Ucraina e la Russia hanno indotto Marco Clementi e Federico Argentieri a proporre la nuova edizione del volume per i tipi dell’Editore Rizzoli.
Ma è giunto il momento di esporre le novità storiche introdotte dalla ricerca di Conquest. La prima attiene al metodo. Conquest contesta l’approccio economicistico alla collettivizzazione adottato dalla storiografia sovietica e occidentale. Una tale prospettiva, secondo Conquest è sostanzialmente giustificatoria, poiché presenta i presunti vantaggi e i benefici futuri introdotti con la modernizzazione; traveste con categorie economiche il costo umano, addebitando le vittime e i macroscopici disastri alla politica economica governativa, non alla volontà punitiva e sterminatrice del governo. Rovesciando la prospettiva, Conquest dimostra che la collettivizzazione fu un’operazione fondamentalmente ideologica: una pulizia di classe per piegare il contadino ucraino ad entrare nei kolkozy e una pulizia etnica, per annientare lo spirito nazionale dell’Ucraina. La carestia artificiale sarebbe stata organizzata con questo fine. Nel 1933. infatti, l’Urss esportò1 milione e ottocentomila tn. di grano, quando nelle campagne ucraine milioni di contadini morivano di fame. Si può non chiamare ciò genocidio? Contestualmente, ricorda Conquest, Stalin e la dirigenza bolscevica eliminarono l’intelligencja ucraina, attaccarono e sciolsero anche la locale Chiesa ortodossa autocefala (cioè autonoma da quella russa). Dopo di che anche tutta la storia dell’Ucraina fu riscritta.
Raccolto di dolore alzò anche il velo sul disastro demografico avvenuto nelle steppe asiatiche, segnatamente nel Kazachistan, dove perirono per fame oltre 1 milione di pastori nomadi.
Per Conquest, l’entità della tragedia ucraina giustifica l’uso del termine <<genocidio>>. La Commissione internazionale che concluse i lavori nel 1990 non arrivò ad esprimere un parere unanime in merito. Successive ricerche hanno ridimensionato le cifre delle vittime della carestia[11], ma largamente confermato i materiali del libro di Conquest e le sue conclusioni riguardo alla distruzione quasi irreversibile di una cultura contadina nel suo complesso[12].
Ma sarebbe fuori luogo fare di quella immane tragedia una questione nominalistica: nulla cambierebbe, conclude Ettore Cinnella, anche chiamando il holodomor con un altro nome[13]. Sono completamente d’accordo con lui. La riflessione, infatti, va portata ad un altro livello. Se il holodomor è stato lo strumento per piegare lo spirito nazionale ucraino, la tragedia ucraina è stata la parte più acuta della tragedia sovietica e la tragedia sovietica è stata il nucleo centrale della tragedia comunista[14]. La carestia imputabile all’ideologia comunista si è ripetuta in Cina negli anni 1958-1962. Quella carestia fece 30 milioni di vittime. La racconta Jasper Beker nel volume La rivoluzione della fame. Cina 1958.1962; la carestia segreta, Il Saggiatore Milano, 1998.
Quindi i conti da fare non sono con lo stalinismo (categoria ambigua, secondo la definizione di Vittorio Strada), eliminato il quale il comunismo risulterebbe vivo e vegeto. Dal punto di vista storico, i conti vanno fatti con il comunismo realizzato. E dal punto di vista teorico vanno fatti con il marxismo. Come ha scritto il filosofo americano Richard Rorty, il marxismo è stato un disastro in tutti i paesi in cui i marxisti sono andati al potere. E nei paesi in cui i marxisti non vi sono andati, il marxismo è stato un disastro per tutti i movimenti riformisti.
Due casi emblematici di concorso al silenzio
Nel caso della Francia tanto poté la propaganda sovietica, che il Cremlino dispiegò nelle sue molteplici variazioni: si avvalse dei servigi del partito comunista e dei compagni di strada nel senso più largo. Nel lessico corrente, invece di famine veniva usato spesso il termine disette (penuria), una costante nel ciclo secolare della miseria russa; invece di repressioni, esecuzioni, deportazioni si parlava di procedure, un po’ rudi, impiegate in tutti i tempi dai dirigenti russi per contrastare il sabotaggio dei contadini. Il sistema della propaganda fu così in grado di mascherare la carestia e di far passare come un successo totale il bilancio del primo piano quinquennale sovietico. A questo risultato concorsero assai la dabbenaggine di Eduard Herriot, leader radicale, che, di ritorno dal suo viaggio in Russia nel 1933, dichiarò non esistere in Ucraina nessuna carestia. E l’acquiescenza degli uomini politici francesi che trattavano con i sovietici il Patto franco-sovietico di reciproca assistenza, firmato poi a Parigi il 2 maggio 1935[15].
Il caso dell’Italia è completamente diverso.
L’emigrazione ucraina in Italia aveva preso sul serio l’irredentismo di Mussolini a favore dell’indipendenza dell’Ucraina. Un articolo pubblicato sul <<Popolo d’Italia>> del 6 settembre 1919 recitava: Gli Ucraini non solo difendono se stessi, ma l’Europa” . Una volta che il fascismo assunse il potere, l’emigrazione ucraina a Roma confidava che Mussolini avrebbe continuato a sostenere la causa ucraina. Nel 1932-33, i comitati ucraini in Italia, come anche quelli in Canada e negli Stati Uniti, inviarono al <<duce>> una serie di memoriali per informarlo su ciò che succedeva in Ucraina. Confidavano che un suo intervento <<internazionalizzasse>> la carestia organizzata da Mosca per snazionalizzare l’Ucraina.
Mussolini già sapeva. Era ampiamente informato dai rapporti inviati con valigia diplomatica dalla rete consolare italiana nella Russia meridionale, e nel Caucaso. Li leggeva avidamente. E li tormentava con sottolineature e punti esclamativi. Dunque Mussolini sapeva. E tacque. Omise di denunciare al mondo la carestia in cambio di un buon trattato commerciale e con la stipula del Patto di Amicizia, non Aggressione e Neutralità con l’Unione Sovietica, firmato il 2 settembre 1933[16]. La grande stampa italiana mise la sordina. Ne parlò di più la stampa cattolica. Anche la Santa Sede sapeva. Veniva informata attraverso la corrispondenza del sacerdote Pio Neveu, padre assunzionista, dal 1907 curato della comunità franco-belga a Makeevka nel Donec, poi consacrato vescovo con la carica di amministratore apostolico di Mosca. Pio XI aveva anche cercato di portare all’attenzione del mondo la persecuzione religiosa nell’URSS, indicendo il 19 marzo 1930, nel giorno di San Giuseppe, una <<crociata di preghiere>>. Ma questa è un’altra storia[17].
Giorgio Petracchi è Professore ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali all’ Università di Udine. Questo articolo è la sintesi della relazione tenuta lo scorso 7 giugno a Villa Vittoria a Firenze in occasione della presentazione del libro di Robert Conquest “Raccolto di dolore”
[1] The Harvest of Sorrow. Soviet Collectivization and the Terror-Famine, New York, Oxford University Press (UK),1986, pp. 412.
[2] Si veda la Postfazione alla nuova edizione italiana, Raccolto di dolore. Collettivizzazione sovietica e carestia terroristica, Prefazione di Marco Clementi, Postfazione di Federico Argentieri, Rizzoli, Milano, 2023. p. 468.
[3] A chi volesse informarsi, consiglio di leggere il saggio di E. CINNELLA, Il compromesso storiografico. Il PCI e il giudizio storico sull’URSS, in <<Nuova Rivista Storica>>, a. XCVIII, fasc. I, gennaio-aprile 2014, pp. 1-56.
[4] <<The American Historical Review>>, vol. 92, N. 5 (Dec. 1987), pp. 1240-1241.
[5] <<Foreign Affairs>>, vol. 45, N.4, (Spring 1987), p.908
[6] <<Canadian Slavonic Papers>>, vol. 29, N. 2/3 (June-September 1987), pp.348-349.
[7] <<Labour>>, vol. 23, Spring 1989.
[8] <<Slavic Review>, Winter 1989, pp. 637-640.
[9] Una volta crollata l’URSS e cambiato in Russia il regime, la signora in questione fu lesta a cambiar casacca. E “gettato via il giubbotto di pelle del comunismo”, vestì i panni della ricercatrice liberale e si dedicò a studiare la resistenza dei contadini a Stalin. Cfr. E. CINNELLA, 1932-1933, Ucraina. Il genocidio dimenticato, Della Porta, Pisa, 2016, pp. 49-52.
[10] A. J. HOBBINS and D. BOYER, Seeking Historical Truth: The international Commission of Inquiry into the 1932-1933 Famine in Ukraine, in <<Dalhouse Law Journal>>, vol. 24, Fall 2001, pp. 166. .
[11] Le vittime per fame secondo Stanislav Kul’schyts’kyj, che ha esaminato tutti i dati degli uffici anagrafici regionali delle zone colpite, oscillerebbero da tre milioni e mezzo a quattro milioni e mezzo. Non sempre dipenderebbero dalla nazionalità delle vittime, ma anche dal luogo di residenza.
[12] Tra le novità più salienti e accessibili al lettore italiano si segnalano i volumi di E. CINNELLA, 1932-33. Ucraina. Il genocidio dimenticato, Della Porta, Pisa, 2015.; A. APPLEBAUM, La grande carestia. La guerra di Stalin all’Ucraina, Mondadori, Milano, 2019.
[13] 1932-33. Ucraina. Il genocidio dimenticato, cit. p. 297.
[14] Cfr. V. STRADA, L’emigrato, la vedova, la studentessa, in <<liberal>>, N. 24 (giugno-luglio 2004), p. 27 segg.
[15] S. COEURÉ, La grande lueur a l’Est. Les Français et l’Union Soviétique, 1917-1939. Seuil, Paris, 1999.
[16] Ho raccontato tutto ciò nel mio Il fascismo, la diplomazia e la questione ucraina, 1933-1941, in <<La morte della terra. La grande “carestia” in Ucraina nel 1932-33>>, a c. di Gabriele De Rosa e Francesca Lomastro, Viella, Roma, 2004, pp. 263-310.
[17] Per saperne di più si veda ancora il mio, L’impossibile coesistenza. La Santa Sede e la questione religiosa in Russia tra prove di concordato e spirito di crociata, in <<Nuova storia contemporanea>> a. XX, NN. 2-3-4 (marzo-agosto 2016), pp.137-164.
Enrico Martelloni
tutto ciò è molto interessante. le caresto indotte furono tre.
Oltre a quella del 1932/33 , ci furono quella del 1921/22 e, post guerra, del 1946/47.