Il ‘caso’ Eugenio Corti si riassume in poche parole: un grande scrittore, secondo alcuni studiosi internazionali il più grande scrittore italiano dagli anni Cinquanta, con una platea di lettori in crescita costante, ma quasi ignorato dalla critica nostrana. Uno scrittore controcorrente, dalla scrittura nitida, classica, ancorata alla realtà, alla terra (in particolare la sua Brianza) e con lo sguardo rivolto verso l’Alto. Cosa c’è di più inattuale e fuori moda? Così poco adattabile, diffondibile, riducibile, eppure sempre capace di attrarre, di dare risposte a quel desiderio inesauribile di senso. Quest’anno ricorrono i 40 anni dalla prima edizione del “Cavallo rosso”, il capolavoro di Corti, pubblicato nel 1983.
Nella sede della casa editrice Ares, che ne cura e pubblica le opere da sempre, ha voluto ricordare l’anniversario e per l’occasione Elena Rondena, docente dell’Università Cattolica di Milano, ha illustrato la mostra con cui il Meeting di Rimini (20-25 Agosto) omaggerà lo scrittore e il suo capolavoro letterario. Corti è nato a Besana in Brianza nel 1921 e qui è morto nel 2014; la Brianza, dicevamo come luogo di vita, di formazione, di ispirazione, la terra da cui è scaturita l’epopea del Cavallo rosso, romanzo che ha dimostrato, tra le altre cose, che la letteratura italiana può arrivare al “passo lungo” di un Tolstoj o di un Dostoevskij. Le sue opere di narrativa sono, oltre a “Il cavallo rosso”, “I più non ritornano”, “Gli ultimi soldati del re”, “Il Medioevo e altri racconti” e i “Racconti per immagini”, “Catone l’antico”, “La terra dell’indio e L’isola del paradiso”. Ha scritto il dramma ben poco apprezzato, all’epoca, “Processo e morte di Stalin”. Nel 2015 il volume “Io ritornerò” ha raccolto la sua corrispondenza dalla campagna di Russia; nel 2019 “Voglio il tuo amore” ha radunato l’epistolario con la futura moglie Vanda, che è anche curatrice del volume; nel 2021 “Ciascuno è incalzato dalla sua Provvidenza” ha raccolto i suoi diari dal 1940 al 1949.
Pregiudizi ideologici per lungo tempo, non appartenenza ai circoli giusti, poi disattenzione, così Corti sembrava, e sembra ancora, in ombra. Eppure…Per esempio, come ricordava Alessandro Zaccuri in un articolo su Avvenire, ‘il suo funerale, celebrato nella basilica a ridosso della quale sorge il monumento ispirato al Cavallo rosso, era stato un evento di popolo molto più che di folla: la chiamata a raccolta di una comunità di lettori che nelle pagine di Eugenio Corti aveva riconosciuto la propria visione del mondo e la propria esperienza di vita. In una parola, la propria fede, che era poi la fede salda e caparbia dei “paolotti”, come lo scrittore continuava a chiamarli con orgoglio, facendo giustizia del pregiudizio che confinava ai margini della storia il cristianesimo dei semplici’.
Sì, la fede, al centro di tutto, il riconoscimento di una comunità e poi di un popolo, nel modo di vivere e quindi di scrivere di questo brianzolo sobrio e acuto, riservato ma pieno di slanci e di lampi, primo di dieci figli di una famiglia che aveva avviato una solida attività industriale.
Rigorosa formazione religiosa e culturale, l’Università Cattolica, la partecipazione alla tragica campagna di Russia… L’esordio di scrittore con I più non ritornano, memoriale della ritirata del Don, risale al 1947. Corti si fa conoscere ed apprezzare nell’effervescente clima letterario, e non solo, del dopoguerra, ma poi si scontra con le ideologie predominanti, soprattutto quando scrive e pubblica nel 1962 il quasi profetico “Processo e morte di Stalin”. L’emarginazione è decretata e messa in atto. Ma Corti non si preoccupa, lui stesso si fa da parte per preparare il suo capolavoro, quel Cavallo rosso che esce appunto nel 1983, meticolosamente sedimentato, distillato tra ricordi personali e “lettura” degli avvenimenti storici nella casa di Besana, con sempre al suo fianco della moglie Vanda.
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Una epopea, un’opera epica, rara nel nostro panorama letterario, di grande respiro e soprattutto spalancata ad una dimensione spirituale, della Storia e delle storie di ciascun personaggio, lungo un ciclo storico così impegnativo che va dal 1940 al 1974. La fede, la coerenza, la guerra, la violenza, la morte, l’amore, la disillusione, la disperazione: i grandi temi eterni che non sono banalizzati, elusi, ridotti a formule, ma giocati fino in fondo, nella tensione di una scrittura elaborata ma diretta, come una creta lavorata e modellata a lungo. Non a caso sono stati citati autori come Tolstoj e Dostoevskij, con i capisaldi della letteratura mondiale quali Guerra e pace, I fratelli Karamazov. Ma anche , com’è ovvio, i manzoniani Promessi sposi, pur con le tante differenze, anche sul piano teologico, per così dire, tra i due autori. Più di mille pagine da affrontare per immergersi in una visione-mondo, una lettura che penetra, interroga. Più che una lettura, una esperienza.
Quasi ignorato dai canali ufficiali in Italia, in Francia invece diventa rapidamente un romanzo cult tradotto, diffuso, studiato, amato. Ma anche qui succede qualcosa di imprevisto, forse: grazie ad un attivo passaparola, nel tempo la sua fama si è consolidata, i suoi lettori si sono moltiplicati e tenacemente avvinti allo scrittore, come se fosse una presenza concreta, reale nella vita di ognuno di loro. Lo testimoniano le centinaia di lettere ricevute nel tempo. Dalle pagine del Cavallo Rosso si emerge come da un lungo viaggio, anche dentro se stessi, illuminato dalla certezza di un senso autentico di quello che accade e ci circonda.
(articolo ripreso da acistampa@acistampa.it con il consenso del blog)
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