SoloRiformisti ha dedicato diversi articoli ai mutamenti che, causa Covid, stanno subendo le città, in Italia come nel mondo. Al tema intendiamo prestare la nostra attenzione anche nei prossimi mesi. Intanto sul tema delle città e dei cambiamenti che hanno subito e stanno subendo pubblichiamo l’intervista a Luca Davico, sociologo del Politecnico e dell’Università di Torino, nella sua veste di coordinatore del Rapporto Giorgio Rota che da oltre 20 anni monitora le trasformazioni di Torino, evidenziandone posizionamento nazionale e scenari futuri.
Il Rapporto Rota è arrivato al ventunesimo anno. Un risultato eccezionale sia nei contenuti che della continuità temporale di una esperienza, nel panorama delle città metropolitane italiane. Subito alcune domande: come nasce? Come si sostiene finanziariamente nel tempo? E come garantisce la sua autonomia scientifica?
Il Rapporto Giorgio Rota su Torino nasce nel 2000 con lo scopo di analizzare e comprendere la trasformazione della città, della quale ne legge successi e fallimenti, traguardi raggiunti e nuovi obiettivi.
Il Rapporto è nato per ricordare l’economista Giorgio Rota su iniziativa dell’associazione L’Eau Vive e del Comitato Giorgio Rota, poi trasformata in Fondazione Rota: nel 2012 la Fondazione è confluita nel Centro Einaudi, dando l’avvio a un nuovo ciclo, per dare continuità e maggior forza al progetto del Rapporto.
Sin dall’inizio abbiamo avuto il sostegno della Compagnia di San Paolo, cui si è aggiunto a partire dal 2016 il contributo di Banca del Piemonte: questo sostegno costante e protratto nel tempo ha assicurato la continuità del nostro lavoro garantendo una piena autonomia scientifica.
Il secondo tema riguarda l’impatto del rapporto: vive nel dibattito della comunità scientifica torinese? Gli attori sociali intervengono nel farlo vivere commentandone ed arricchendone contenuti e le proposte? E le istituzioni locali ne raccolgono le indicazioni per trasformarle in azione di governo della comunità e del suo territorio?
Intanto occorre dire che il Rapporto nel corso degli anni è riuscito a creare una rete scientifica che è rafforzata nel tempo: dal 2010 collabora continuativamente con il Dist – Dipartimento interateneo di scienze progetto e politiche del territorio del Politecnico e dell’Università di Torino; sono frequenti inoltre le collaborazioni con altri centri, come l’Ires Piemonte, Urban Lab, la Fondazione Agnelli e molti altri.
Nel corso dell’anno, il Rapporto Rota viene spesso ripreso da diversi media, , ci sono state di frequente collaborazioni con le redazioni di diversi quotidiani (La Stampa, Corriere della Sera, La Repubblica), comunicando comunicare, dati alla mano, le più recenti dinamiche del territorio torinese, a confronto con le altre metropoli, su varie tematiche.
Il rapporto poi vive nella società torinese e piemontese essendo spesso assunto a punto di riferimento con le sue analisi per dibattiti e proposte che arrivano da realtà istituzionali e associative. Ogni anno, aspetti specifici del Rapporto vengono presentati e discussi all’interno di seminari e incontri degli enti locali, di partiti politici, di organismi del terzo settore.
Ovviamente non sono mancati momenti di conflitto con la politica e le istituzioni: per tutti cito la reazione piccata della Regione alle nostre valutazioni sull’impatto sul turismo delle Olimpiadi invernali del 2006, tutto sommato (dati alla mano) e invece magnificato da parte delle istituzioni.
Le spiego perché queste domande. A Firenze, ma non solo, si elaborano progetti di piani strategici, accompagnati spesso da analisi della realtà metropolitana, ma una volta elaborato il piano strategico viene messo da una parte, l’analisi viene lasciata lì e non c’è mai questa continuità di analisi indipendente per cui l’esperienza del Rapporto Rota è molto interessante. Per Torino, da quello che viene fuori dal rapporto, da quello che mi diceva dei risultati nell’anno delle Olimpiadi, un rilancio effettivamente c’è stato anche in virtù di un potenziato e rinnovato sistema museale… Ma tutto questo è in grado di sostituirsi a quello che era in fondo un sistema economico, e non solo, fondato sull’automobile?
Le rispondo subito. Mi è venuto in mente con il suo riferimento a Firenze che una delle operazioni che da anni abbiamo in parte fatto, ma che risultano molto faticose, nonostante riscontri abbastanza positivi, è di trasferire la nostra esperienza anche verso altre città metropolitane: in particolare sono usciti Rapporti Rota su Roma e su Napoli; più in generale, se si sfogliano i rapporti, si vede bene che in ogni edizione si lavora sì su dati di analisi di progetti torinesi ma anche sulla dimensione comparativa delle 15 metropoli italiane. In passato abbiamo avuto interlocuzioni con Genova e Bologna dove c’era stato chiesto di rileggere gli stessi dati focalizzando l’attenzione su quelle città piuttosto che non su Torino. Quindi in questo senso il nostro è un lavoro che può interessare anche altre città, anche se formalmente si chiama Rapporto su Torino perché poi focalizza l’attenzione in particolare su questa città.
Quanto alla questione delle Olimpiadi del 2006,. diciamo che c’è stato questo doppio orizzonte del 2006 e, subito dopo finita l’onda delle Olimpiadi, del 2011 perché a Torino le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia sono state piuttosto rilevanti, per visitatori un anno anche più importante del 2006, con alcune caratteristiche diverse: le Olimpiadi sono state un evento contemporaneamente locale – nel senso che sono venuti quelli del Piemonte occidentale essenzialmente – e internazionale, la città era piena di americani, canadesi, cechi, svedesi ecc., mentre il 2011 è stato un grande evento nazionale, in cui Torino è stata scoperta e riscoperta da molti italiani, che l’hanno inserita nella propria mappa mentale per le proprie vacanze brevi, questo dal punto di vista turismo-immagine della città. Tuttavia, in generale, circa la reale portata della partita eventi, turismo ecc. spesso si esagera. Noi quest’anno abbiamo fatto un lungo capitolo di analisi sul tema del turismo dal quale risulta che Torino è, come citava lei, piuttosto importante soprattutto, se non quasi soltanto, per il turismo museale-culturale. Da altri punti di vista – perché il turismo è un fenomeno piuttosto sfaccettato – ha invece situazioni di debolezza più o meno rilevante; e anche molti “eventi” risultano attirare pochi turisti e quasi solo un pubblico locale.
Ma allora quali i cambiamenti in corso?
Alcuni anni fa abbiamo fatto una ricognizione ad ampio spettro sul terziario nel suo complesso –un calderone come è oggi il terziario – e per Torino ci sono luci e ombre, ci sono alcune cose che vanno bene altre che vanno male ma nel complesso Torino non è riuscita a posizionarsi in modo competitivo con altre maggiori città italiane. Questo perché, in realtà, un po’ è durata e dura tuttora più a lungo la sua matrice industriale – nel senso che, a seconda poi dei settori, delle statistiche che si considerano Torino è, per certi aspetti come Bologna, la metropoli italiana dove l’industria conta di più, in termini di addetti, di PIL etc. Un po’ perché, rifacendosi a una considerazione molto intelligente di Arnaldo Bagnasco di qualche anno fa, a Torino non si è mai verificato un evento davvero traumatizzante, uno shock. Cioè, per dire, se nel 1982, anziché dire “Chiudiamo il Lingotto”, che è stato il primo grande fatto abbastanza scioccante per l’epoca, il primo passo di ritirata, anche solo simbolica, della FIAT da Torino, la FIAT avesse detto piuttosto “Chiudiamo tutto, ci trasferiamo chissà dove”, un po’ come era successo oltre 100 anni prima con il trasferimento della Capitale – da un giorno all’altro fu detto “Adesso non è più Capitale” – probabilmente questo shock avrebbe obbligato a tirarsi su le maniche e a inventarsi altre vocazioni.
Quindi il settore dell’automotive è più narrazione che realtà? Cosa succede oggi che Fiat, dopo FCA, ora si è alleata con PSA (fusione? Incorporazione?) per dare vita a Stellantis, quarto gruppo mondiale del settore?
In realtà, siccome è stato molto graduale, a tutt’oggi , anche se ridotta al minimo, la presenza non solo di FIAT ma dell’intero settore dell’automotive resta importante, ma non è più paragonabile a quella del passato: è stato un lento declino, che però al tempo stesso, non essendoci stato questo evento di rottura, fa sì che tutte le volte che uno – a partire dal piano strategico, quello del 1998-2000 – parla di nuove vocazioni per la città nel turismo, nel terziario avanzato, c’è sempre ovviamente una parte della città che dice “È importante” e un’altra che replica “Va bene, sì, però l’automotive…”. Io credo sia anche un fatto culturale generazionale, perché se uno ne parla con gli under 40-50 l’hanno già dato abbastanza per scontato, son già cresciuti in una città che non era più la città-fabbrica. Chi ha oltre una certa età – quindi adulti/anziani – in realtà sono cresciuti nella città non solo della FIAT ma delle ciminiere, quindi fanno più fatica secondo me, ho notato anche questo, a credere che esistano davvero altre vocazioni adatte a Torino.
Ma la caduta della industria non è solo un fatto torinese, che gerarchie territoriali disegna?
Nel rapporto di 2 anni fa abbiamo sottolineato che in questi anni non è cambiata solo Torino ma è cambiata la geografia d’Italia. Nel senso che fino agli anni ’70 il motore stava nel triangolo industriale del Nord Ovest, poi s’è sviluppata molto anche la terza Italia della piccola impresa.. Adesso la fotografia è più diversificata, c’è un’area che va da Milano al Veneto (in modo diffuso, eccetto Venezia) e che poi scende giù verso Bologna, Firenze, arrivando per certi aspetti fino a Roma; quest’area, che disegna un 7, coincide di fatto con l’asse più praticato della linea TAV che è la nuova spina dorsale, il vero motore italiano.
Gli altri territori – vale per Torino e per Genova e specularmente ad est anche per Trieste, e poi ovviamente per il Mezzogiorno – sono territori marginali… non so come definirli, sono in difficoltà. È abbastanza sorprendente vedere che se uno sfoglia rapidamente tutti i grafici che noi mettiamo, non solo quelli sull’aspetto economico ma anche su aspetti culturali, sociali, la classifica è più o meno sempre quella: abbiamo Milano-Bologna e poi con qualche variazione pezzi di Veneto, Toscana e Lazio. Poi ci sono Torino e Genova, in genere anelli intermedi di congiunzione con il Sud, ma queste due città in diversi casi ormai cominciano ad assumere valori del Mezzogiorno, da indicatori sulle imprese all’occupazione, ai livelli di istruzione, fino alla copertura vaccinale per l’influenza o la gestione Covid di quest’anno. E’ abbastanza curiosa questa modalità, che ormai si è piuttosto consolidata proprio perché è diventata abbastanza pervasiva, appunto non è più solo una questione che riguarda l’economia, ma proprio la società più in generale.
In fondo si conferma la definizione di Torino come terza città meridionale d’Italia
Certo quella era la città della immigrazione degli anni ’50-’60 fino agli anni ’70: poi sì a tutti gli effetti per molti parametri adesso Torino assomiglia più ad alcune città del Mezzogiorno che non per esempio a Milano
Come vive Torino il rapporto con Milano? Sono prevalenti gli elementi di competizione su quelli di cooperazione? In quali ambiti sarebbe più importante fare sistema?
La questione del rapporto con Milano è curiosa: questo perché a Torino c’è una consolidata tradizione che vede questa specie di derby con Milano da l secolo fa, quando qualche ragione poteva anche esserci, perché effettivamente era un po’ un testa a testa per la leadership del triangolo industriale – in certi settori era meglio Torino in certi Milano. A partire dal 1980 e nei successivi decenni si è assistito però a due percorsi completamente divergenti, e tuttora solo per un ildiscorso di inerzia culturale, di cui dicevo prima, sono le persone soprattutto di una certa età che continuano a vivere molto interiormente questo derby con Milano, mentre le persone un po’ più giovani invece l’hanno dato quasi per scontato che a Milano ci si va come pendolari insomma…
Merito anche dell’alta velocità che di fatto ha unificato le due città, ciascuna periferia dell’altra con un centro dominante
Esatto… un po’ come è sempre stato per i novaresi adesso è abbastanza così per molti torinesi: noi una volta in una presentazione usammo una metafora calcistica per dire che 100 anni fa la Pro Vercelli col Milan se la giocava alla pari in serie A, poi ci sono state delle storie diverse per cui oggi la Pro Vercelli gioca 2-3 categorie più giù di solito ed è un po’ successo così per le città Torino Milano, può succedere poi così come nel calcio, magari in una singola amichevole estiva, la Pro Vercelli riesce anche a fare un buon risultato, ma in un campionato non c’è proprio partita. Quindi è proprio velleitario alimentare questo dualismo che l’abbiamo visto non so per il Salone del Libro, caso in cui Torino è riuscita a difendersi abbastanza bene anche perché per Milano obiettivamente era l’ennesima fiera della capitale delle fiere italiane, quindi alla fine non è che gli spostasse più di tanto e forse non hanno nemmeno progettato al meglio quell’evento. Ma anche la questione della mancata candidatura alle Olimpiadi del 2026 a Torino è stata vissuta malissimo, è stata attaccata la giunta, la sindaca “Ecco Milano ci ha scippato di nuovo ma il problema è che se Torino si mette in una logica competitiva con Milano, non arriva da nessuna parte, tant’è che lo stesso CONI ha detto “Sentite, se proprio volete facciamo una candidatura – in quel caso specifico del 2026 – centrata su Milano e qualche gara la facciamo decentrata, neanche a Torino ma nelle valli, Val di Susa e zone limitrofe, allora se uno si inventa delle complementarietà deve avere ben presente che Milano gioca 2-3 serie più su, e questo è certificato da analisi tipo ESPON in Europa sulle gerarchie delle città europee, che collocano Londra e Parigi lassù, in cima, e subito in seconda fascia ci sono in genere 2, 3, 4 città che cambiano leggermente, a seconda degli indicatori che hanno usato, ma Milano sta sempre lì, poi uno scende in 4a 5a fascia – a seconda di nuovo degli indicatori usati – e lì si trova anche Torino, con Bologna, Roma… quindi questa storia della rivalità con Milano è sempre più anacronistica in realtà.
In sostanza del vecchio triangolo industriale è rimasto solo il vertice di Milano
Sì, il quale ormai ha delle saldature, sia per le connessioni infrastrutturali più comode sia per complementarietà dal punto di vista economico, sociale, culturale ecc., più verso, come dicevo, Veneto, Bologna ecc. per cui i milanesi Torino proprio non se la filano: anche quando hanno fatto il piano per l’Expo 2015 a Milano si immaginavano dove mettere i propri turisti , sì c’era anche Torino ma come c’erano tante altre località mentre si immaginavano molto di più delle connessioni per esempio con Verona e con Bologna, per dire, per tanti motivi.
Per andare a Torino da Roma o Firenze si passa da Milano…
Esattamente! Un torinese per andare a Roma fa il giro da Bologna, mentre storicamente lo faceva da Genova! … che vuole anche dire che tutte le connessioni con Genova sono meno forti…
Nella percezione degli italiani Torino è la più francese delle città italiane, secondo quella che è anche la sua storia, di una antica realtà statuale a cavallo delle Alpi. In fondo la Lione Torino, oltre a essere l’essenziale completamento di un grande collegamento europeo da Lisbona a Kiev è anche il consolidamento di questo legame speciale.
Ma non sarebbe più interessante per Torino giocare un campionato delle Alpi, sulle orme dei Savoia? D’altronde Stellantis si colloca in questo solco.
Sicuramente più che guardare a Milano con cui ormai i rapporti di forza sono totalmente squilibrati, (più che fare da succursale, da periferia di Milano diventa difficile immaginarsi altro ruolo, tranne qualche caso) avrebbe senso muoversi in modo strategico un po’ in generale non verso Est ma nell’arco Ovest, intendendo arco Ovest comunque da Nord a Sud quindi sicuramente non soltanto Francia, ci sono rapporti con Rhone-Alpes ma anche verso la Liguria dove Genova come dicevo prima ha gli stessi problemi di marginalità crescente di Torino, per certi aspetti sta pure peggio, ad esempio dal punto di vista delle connessioni
Torino aveva uno storico legame di infrastrutture forti con Genova, e più in generale con le ferrovie per l’epoca veloci con il Tirreno, che sono state assolutamente declassate in modo clamoroso.
E’ molto importante la questione della connessione con la Francia ma anche lì bisognerebbe capire con quali strategie per Torino: qualche anno fa c’erano dei progetti per creare questa macroregione alpina, qualche volta era stata l’idea di creare il Limonte, un’alleanza regionale Liguria Piemonte. Di fatto da più di 10 anni di quei temi lì non se ne parla granché.
Per dire solo di una questione certo minore, di dettaglio: noi quest’anno occupandoci di turismo abbiamo dedicato molte decine di pagine a indagini e dati che abbiamo raccolto, è emerso tra l’altro che molti turisti che vengono in Piemonte in realtà saldano la vacanza col mare, perché poi alla fine stanno un po’ a Torino, Langhe, montagna e poi vanno in Liguria, già che c’è il mare a 1 ora di distanza… Eppure dal punto di vista delle strategie turistiche Torino del mare proprio non se ne occupa, cioè non gli viene in mente di dire “Abbiamo a distanza di 1 ora Savona con le spiagge, oltre che uno dei principali porti crocieristici del Mediterraneo”; lasciamo stare quest’anno che è andato tutto in baracca, ma fino al 2019 proprio non ce ne siamo occupati… cioè il fatto di avere il mare a un tiro di schioppo, che per chi viene da altre nazioni d’Europa è ovvio che è lì dietro l’angolo, ai torinesi non viene neanche in mente, per questa perdurante vocazione di nuovo a guardare un po’ a Est piuttosto che a Ovest o a Sud.
Nonostante Paolo Conte che canta “Genova per noi”…
Certo!
Driver essenziali per lo sviluppo economico, sociale e civile sono oggi la crescita del capitale umano e la ricerca, pura ed applicata. Che ruolo ha avuto storicamente il Politecnico di Torino e come deve adattarsi nel nuovo scenario disegnato da Next Generation EU?
Noi proprio quest’anno, siccome il tema del Rapporto Rota era l’attrattività ed uno degli aspetti considerati l’attrattività di popolazione, soprattutto popolazione qualificata, abbiamo raccolto molti dati su questo. Il quadro non è esattamente confortante nel senso che di nuovo guardando al sistema complessivo si vede che la manodopera più qualificata e i giovani qualificati in questo momento, se non emigrano all’estero, emigrano a Milano, Bologna e a Roma.
E’ venuta fuori in modo inedito, perché per la prima volta Alma Laurea ha elaborato dei dati su nostra richiesta, che è vero che i due atenei attraggono dall’esterno, soprattutto il politecnico che è l’unico grande ateneo metropolitano che ha più della metà degli iscritti che vengono da fuori regione e dall’estero. Poi però, se uno va a vedere i dati a 2 o 3 anni dopo la laurea, circa il 40% se n’è andato a lavorare fuori, in Italia e all’estero, dunque anche il politecnico attrae ma non riesce a trattenere. Detta in parole povere, gli studenti italiani di altre regioni stanno un po’ qui, dopo la laurea cercano di capire se trovano delle opportunità, dopodiché se non le trovano se ne vanno a Milano, a Bologna o al limite tornano nella regione di origine in molti casi. Per gli stranieri non ne parliamo, ancora peggio. Dal canto suo, l’università di Torino (pur con differenze tra facoltà) pesca più nel bacino locale-regionale, , ma poi questi li trattiene di più.
Il politecnico ha invece questa grande capacità di attrattiva, garantisce alti tassi di occupazione, e di remunerazione ai suoi laureati, solo che ne perde una gran parte. Sostanzialmente alla fine la ricaduta per la città è il fatto di avere degli studenti che per un tot di anni rimangono qui a vivere, ma giusto per gli anni dell’università, e poi – soprattutto ovviamente i più bravi, i più competitivi che possono anche permettersi di emigrare e di trovare lavoro in altre città – se ne vanno. Non parliamo poi adesso che con gli atenei chiusi per quasi un anno e la didattica a distanza molti studenti nemmeno più vengono fisicamente a Torino
In futuro sarà una partita completamente nuova
Sarà una partita completamente nuova, lo dicevamo anche alla presentazione, probabilmente per Torino c’è da fare una riflessione critica-autocritica sulle responsabilità, che sono di tutti, dal sistema delle imprese alle amministrazioni locali e in genere di chi fa le politiche pubbliche, ma forse anche un po’ degli atenei, parlo del politecnico, io ci lavoro anche dentro, può anche esserci un po’ di autocompiacimento nel dire “Ah, quanto siamo attrattivi!” poi sì ci occupiamo degli stage e dei tirocini poi cosa fanno, fanno. In realtà quest’idea dell’investimento permanente e più lungimirante per trattenere le risorse che uno aveva attirato e trattenerle qui è ancora parecchio da sviluppare.
Start up, spin off universitari sono attivati?
Si ci sono. Per dire ci sono gli incubatori di impresa per le start up, Torino ha delle indicazioni anche positive. Poi sempre bisogna pensare però anche alla massa critica di queste cose perché per esempio anche sulle impese innovative Torino è messa piuttosto bene, sono uno dei punti di forza della città: se però se uno va a vedere la capacità di crescere di queste imprese – nel tessuto diffuso, nei tassi di occupazione, nelle imprese che crescono e sopravvivono ecc. – risulta che Torino in realtà continua a perdere posizioni da anni rispetto alle altre città italiane, quindi evidentemente questa parte di innovazione di start up e giovani imprese fa poi fatica a fare un salto di livello.
Il rapporto Giorgio Rota può essere scaricato a questo link
https://www.rapporto-rota.it/index.php
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