Caro Professor Rovelli,
Chi le scrive non è un politico, solo uno psicoanalista e filosofo. Che legge con attenzione i suoi ottimi libri divulgativi. Anche per questa ragione le esprimo la mia solidarietà contro il ministro della Difesa Guido Crosetto quando dice che siccome lui non parla di fisica, nemmeno lei può parlare di politica. Una grave gaffe, dato che in una democrazia chiunque, chiamato a votare e a essere un buon cittadino, dovrebbe parlare di politica. Questa replica aberrante mostra che Crosetto ha capito ben poco dello spirito della democrazia.
È quindi in quanto cittadino che vorrei commentare le posizioni da lei espresse al Concertone del 1° maggio sulla posizione che dovrebbe tenere l’Italia rispetto alla guerra in Ucraina. Il tema mi riguarda da vicino, dato che ho insegnato psicoanalisi a Kiev – fino allo scoppio della guerra nel febbraio 2022 – per vent’anni, quindi credo di conoscere abbastanza l’Ucraina così come conosco la Russia, altro paese dove sono stato spessissimo e dove tuttora ho in corso collaborazioni. Vorrei commentare allora certe sue parole su questa guerra per confutarle, non in nome del mio legame con l’Ucraina, ma in nome della ragion politica. Di quella ragione di cui l’intellettuale dovrebbe essere specialista.
Lei attacca la decisione italiana di mandare armi all’esercito ucraino anche se tiene a precisare che non ha alcuna simpatia per Putin e che condanna la sua brutale invasione dell’Ucraina. Secondo lei è comunque sbagliato gettar olio sul fuoco della guerra aiutando militarmente il paese aggredito.
Ora, lei sa bene che anche se l’Italia rinunciasse a fornire armi agli ucraini, la guerra continuerebbe tranquillamente perché il grosso degli aiuti militari viene dagli USA, e in minor misura dall’UK. L’offerta di armi da parte dell’Italia ha più un valore simbolico che militare, esprime coram populis l’adesione dell’Italia alla strategia occidentale di difesa ad oltranza dell’Ucraina. È quindi così importante opporsi alle forniture italiane? Lei mi dirà che siamo in Italia e che quindi facciamo quel che possiamo nel nostro piccolo. Ma è veramente il caso di fare lotte simboliche quando di fatto ci troviamo di fronte a disastri ben reali, con centinaia di migliaia di morti e un paese semi-distrutto? Non sarebbe più utile pensare a uno sbocco non astratto ma possibile a questo disastro?
Lei sostiene che la giusta soluzione è politica, ovvero mandare nel Donbass e nelle altre regioni contese truppe internazionali in modo da permettere libere elezioni per decidere se stare in Ucraina o in Russia. E siccome le regioni del Donbass sono russofone – così si dice – è probabile che scelgano per la Russia. Come anche gli abitanti della Crimea sceglierebbero per la Russia. Insomma, far prevalere il principio dell’autodeterminazione dei popoli.
Voglio precisare che parlare di regioni russofone e regioni ucrainofone è una sciocchezza, perché tutti gli ucraini parlano perfettamente russo. E chi parla solo russo capisce comunque l’ucraino. Di fatto si tratta di un popolo bilingue. La verità è che gli ucraini sono in parte filo-indipendenza e in parte filo-russi. Come in ogni paese democratico, l’opinione pubblica è divisa. Grazie alla guerra, i filo-indipendenza sono ormai la grande maggioranza.
In teoria questa che lei propone sarebbe la soluzione ideale, lo ammetto. Ma la politica non si fa pensando solo alle soluzioni ideali. La Realpolitik si fa con quel che è possibile fare in un dato momento storico, non perseguendo a ogni costo il proprio ideale politico. Ora, se si guarda alla politica concreta, è facile capire che l’opzione ottimale – che quei popoli decidano loro con chi stare – è svanita nel momento stesso in cui Putin ha deciso di invadere l’Ucraina (e non solo le regioni dell’Est). E l’ha resa di fatto impossibile nel momento in cui ha annesso alla Russia i territori occupati, e non – come avrebbe fatto un Putin meno squilibrato – farne uno stato indipendente a sé stante, come è la Bielorussia per esempio. Facendo del Donbass parte integrante della Russia, Putin intendeva trasformarsi magicamente da aggressore ad aggredito: nella sua ottica (a cui però nessuno crede in Occidente) sono oggi gli ucraini a voler invadere il territorio russo, come Napoleone e Hitler, e non viceversa. Il che autorizzerebbe l’uso dell’arma atomica, perché secondo la dottrina russa l’atomica può essere usata per difendere il territorio nazionale, e per Putin le zone occupate sono parte integrante del territorio nazionale.
In una situazione del genere la soluzione saggia – lasciamo decidere alle popolazioni con un libero voto – non è più possibile. Sia l’Ucraina che la Russia dovrebbero accettare di sguarnire militarmente aree che considerano parte integrante del territorio nazionale, ovvero, entrambe dovrebbero accettare una cocente sconfitta: ritirarsi da zone che considerano parte integrante delle loro nazioni. Questo significherebbe vanificare il sacrificio di decine di migliaia di uomini da ambo le parti e di tante città distrutte… Prima di questa guerra poteva essere pensabile una soluzione di questo tipo, più la guerra continua meno essa ha senso realistico.
Mi pare che lei, professor Rovelli, abbia un approccio puramente intellettualistico alla politica, ovvero sembra che l’importante per lei sia avere la posizione corretta eticamente, senza preoccuparsi se questa posizione corretta è fattibile oppure no. In questo modo lei dà alimento a reazioni del tipo di quella di Crosetto, ovvero che gli intellettuali non sono capaci di occuparsi di politica concreta. Rischia di fare come il leader del pacifismo italiano, Aldo Capitini, il “Gandhi italiano”: questi era contrario al fatto che Francia e Gran Bretagna dichiarassero guerra alla Germania nel 1939 e avrebbe voluto che gli ebrei non resistessero alle persecuzioni – non resisterono infatti, e vennero sterminati a milioni. E altri milioni sarebbero morti se Hitler non fosse stato sconfitto in una guerra spaventosa. Mi pare che anche lei voglia salvarsi l’anima, più che veramente risolvere i conflitti politici di oggi.
Paradossalmente, è solo se gli ucraini riuscissero a riprendersi i territori occupati dai russi, quindi a sconfiggerli completamente, che la soluzione da lei prospettata potrebbe diventare un’opzione possibile. In effetti l’Ucraina dipende e dipenderà sempre più dal benvolere occidentale: è dall’Occidente che le viene la forza militare per resistere ai russi e sconfiggerli, dall’Occidente potranno venire i fondi e i capitali per la ricostruzione, l’esistenza stessa dell’Ucraina dipende dalle potenze occidentali. Quindi, una volta che l’Ucraina avesse vinto la guerra, l’Occidente potrebbe fare pressioni su di essa per convincerla a rinunciare a quelle terre attraverso un libero referendum. Opzione improbabile, ma almeno pensabile. Ma fin quando i russi occuperanno il Donbass, questo tipo di soluzione è impensabile.
Quando si subisce una guerra – e l’Ucraina l’ha subita, nemmeno Zelensky la prevedeva – occorre vincerla, non c’è altra soluzione. La guerra non è un gioco da cui si può uscire quando si vuole senza subire un’atroce sconfitta, non si può fare come i bambini quando, irritati, dicono “non ci gioco più!” In una guerra subita si può solo o vincere o essere sconfitti, non è possibile ritirarsi perché ci si è stufati. La violenza dell’altro ti obbliga a essere bellicoso. Mi pare invece che il pacifismo a cui lei crede prenda la guerra come un gioco troppo dispendioso, dal quale siamo liberi di ritirarci. Dal quale potrebbe ritirarsi l’Occidente, Italia inclusa. Sarebbe come se un energumeno volesse uccidere un bambino e si negasse al bambino la pistola per difendersi per non essere complici di questo duello… Sarebbe una combinazione di codardia e di politica dello struzzo.
Una situazione che ricorda il racconto di Conrad The Duel: A Military Tale. Un ufficiale napoleonico viene sfidato varie volte a duello da un altro ufficiale napoleonico che lo detesta per dei futilissimi motivi, ma il primo deve accettare questi duelli per 15 anni perché non può fare altrimenti. Dall’esterno i due sono visti come due brutali che si odiano e che occorre assolutamente separare. Mi pare che molti ragionamenti che si sentono sulla guerra in Ucraina siano proprio di questo tipo: “che entrambi la smettano!”, senza distinguere chi obbliga l’altro alla guerra.
L’autodeterminazione dei popoli. Ecco un principio niente affatto rispettato, sia a Est che a Ovest.
L’autodeterminazione implica il fatto che certe popolazioni possano far secessione da una nazione attraverso libere elezioni. Ma questa opzione non è affatto contemplata innanzitutto dagli Stati Uniti. Ricordiamo che nella civil war americana del 1861-1865 morirono più americani che nelle due guerre mondiali successive sommate insieme, perché l’Union americana non poteva permettere la secessione degli stati confederati del Sud. E la Confederation era anche più democratica dell’Union, schiavitù a parte ovviamente. Oggi tutti pensiamo che Lincoln abbia fatto bene ad affrontare quella carneficina per evitare la secessione di undici stati schiavisti. Lincoln è venerato oggi come uno dei padri della Patria, anche se è responsabile di una guerra spaventosa. Questo significa che se uno stato americano di oggi, mettiamo l’Alaska, decidesse dopo libere elezioni di uscire dall’Unione, il governo federale dovrebbe costringerlo a rientrarvi con una guerra. Insomma, non verrà mai dagli USA la spinta per far concedere un referendum sull’indipendenza alle regioni orientali dell’Ucraina. Possiamo proporlo ai comizi del 1° maggio, nessuno può prendere sul serio questa proposta.
Quanto ai paesi europei, il rifiuto di eventuali secessioni è meno netto. Certamente questo rifiuto è chiaro per la Spagna, che non potrebbe mai tollerare un’uscita della Catalogna, anche se i catalani votassero a maggioranza per l’indipendenza dal Regno di Spagna. Così come è impensabile la secessione dei paesi baschi. Più incerta sarebbe la reazione del governo di Londra a un’eventuale secessione della Scozia, nel caso che questa passasse a maggioranza tra gli scozzesi. Il Regno Unito permise in effetti un referendum a Gibilterra nel 1967 sull’eventuale passaggio dell’isola alla Spagna. Il 99,64% degli abitanti scelse la Gran Bretagna.
Ricordo che l’opinione pubblica europea simpatizzò per la guerra di secessione del Bangla Desh dal Pakistan, che portò alla sua indipendenza nel 1971. Ma perché gli europei simpatizzarono per il Bangla Desh e niente affatto per il Katanga, per esempio, che si scisse dal resto dello Zaire nel 1960-1963? Perché abbiamo simpatizzato per la secessione della Bosnia dalla Jugoslavia e non per quella più recente della Cirenaica dalla Tripolitania? Certe volte ci schieriamo con i secessionisti, altre volte contro. Direi a seconda delle nostre simpatie.
Insomma, nulla di meno unanime del riconoscimento del diritto dei popoli all’autodeterminazione. La sua proposta di un libero referendum nel Donbass è una soluzione magnifica sulla carta, quasi impossibile nella realtà dopo lo scoppio della guerra.
Max Weber aveva distinto una politica dei principi da una politica della responsabilità. Il politico che bada solo ad atti coerenti con i propri principi finirà col commettere atti irresponsabili, i quali creeranno molti più disastri di una politica realista. Quando Stalin decise di passare dalla NEP (Nuova Politica Economica) al socialismo in Unione Sovietica, applicò i puri principi leninisti, ma al prezzo della responsabilità di uno sterminio di milioni di persone… in particolare di ucraini (Holodomor). Se lei, professor Rovelli, finisse col convincere non Crosetto ma Biden, questo sarebbe certo in linea con i suoi principi, ma avrebbe la responsabilità della distruzione dell’Ucraina, della sua democrazia e della sua indipendenza. Perché, tutti lo sanno, senza le armi occidentali l’Ucraina non sarebbe in grado di resistere a lungo.
Purtroppo gli intellettuali cadono spesso nel loro vizio più frequente, ovvero di fare discorsi solo di principi e non di responsabilità. Così facendo, lasciano lo spazio proprio ai politici peggiori. A quelli che non seguono né i principi né la responsabilità, ma l’efficacia della demagogia e del successo personale.
Grazie per l’attenzione
Giorgio Linguaglossa
inappuntabile spiegazione.
Giulio Di Donato
Ottimo. Condivido dalla a alla z una confutazione radicale ben argomentata. Giulio Di Donato allievo del grande Mario Benvenuto