Quali sono i geni utili che dalla esperienza del PCI si rintracciano nella vicenda storica italiana, contro quali vizi o derive può contribuire ancora oggi a difendere la sinistra in primo luogo ma assieme la società e la politica italiana?
Il Pci è stato un partito complesso. Certamente l’impegno per strappare l’Italia alla dittatura, per ricostruire la democrazia a partire dal patto costituzionale del 1946-47 e poi per difendere le istituzioni minacciate in maniera particolarmente grave nella seconda metà degli anni Settanta rappresenta un lascito a cui si può e si deve continuare a guardare come ad una fonte di ispirazione tuttora utile per scrivere pagine di buona politica. Degna di positiva sottolineatura in sede storiografica è anche la sostanziale coerenza con cui il Pci, pur dibattendosi tra non poche contraddizioni, riuscì nei suoi settant’anni di vita a essere palestra di civismo e di senso di comunità per milioni di donne e di uomini e a testimoniare l’importanza di conferire alla militanza e all’iniziativa politica solide basi culturali e etiche, di serietà organizzativa, di studio rigoroso delle più scottanti questioni economiche e sociali. Parimenti rilevante fu la lunga lotta che il partito comunista italiano condusse per l’emancipazione sociale dei ceti meno abbienti e per l’ampliamento dei diritti civili. Questi elementi costituiscono senza dubbio la parte migliore dell’eredità del Pci insieme alla volontà di rendere il partito credibile e spendibile come forza nazionale pronta nelle fasi più cruciali della vicenda sociopolitica italiana a riconoscere e ad affermare la prevalenza degli interessi generali su quelli particolari.
Quali sono i geni dannosi trasmessi in eredità che hanno contribuito e contribuiscono a frenare le potenzialità ed a condizionare il ruolo e l’azione della sinistra per il cambiamento del Paese ?
I principali fattori negativi della storia e dell’azione del Pci sono da ricercare senz’altro nella pervicacia con cui a lungo i suoi gruppi dirigenti ritennero di poter tacere o minimizzare la realtà del regime dittatoriale imperante in Urss e di poter tener vivo il legame di ferro del Pci con quel mondo. Quel legame, determinante e condizionante fin dalla fondazione del partito nel 1921, venne messo in discussione troppo tardi e con troppe incertezze e ambiguità. Portandosi dietro un corredo di parole d’ordine illiberali, anticapitalistiche e antisistema, quella relazione deleteria compromise l’attendibilità delle ripetute affermazioni del Pci a sostegno dei valori democratici e costituzionali e rese di fatto impossibile l’evoluzione del Pci verso un approdo che a partire dagli anni Sessanta sarebbe stato possibile raggiungere: quello di un partito saldamente collocato, pur con tutte le sue specificità, nel campo occidentale e nell’universo delle socialdemocrazie europee operanti in sistemi politici imperniati sull’alternanza. La grande occasione mancata da questo punto di vista fu senz’altro quella che si presentò successivamente all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956. Il credere di poter risolvere pesanti contraddizioni reali con fughe in avanti dialettiche e con contorti esercizi retorici miranti a conciliare l’inconciliabile finì per intaccare seriamente la capacità del Pci di accreditarsi in profondità come forza di governo nazionale realistica, pienamente disposta a misurarsi con i problemi oggettivi del Paese e i vincoli da essi creati nonché con la sfida della edificazione, senza asfittiche pretese di superiorità, di tutte quelle alleanze sociali e politiche senza le quali non era possibile affrontare efficacemente quei problemi. Queste vene di settarismo e di velleitarismo furono certamente un limite pesante nell’agire del Pci e influirono non poco sulla decisione di far nascere il Pds tra le fumisterie e i confusionismi dell’oltrismo piuttosto che nel segno nitido e ineludibile della socialdemocrazia occidentale.
Salvatore Lagaccia
Apprez zo tutta la prima parte dell’intervento del senatore Parrini che stimo per il rigore e la capacità di lettura del passato nonchè l’impegno e la coerenza a portare avanti idee lallora argamente minoritarie nel Partito. La resistenza e la lotta per cacciare il tedesco invasore, si dice che fu opera di tutti, C’era bisogno di unità fra tutte le forze politiche rappresentative del popolo italiano e si riconobbero sotto la bandiera del CNL di cui Togliatti auspicava che ne facessero parte anche i monarchici ed i fascisti onesti. Ma diciamo anche ,dando a Cesare quel che è di Cesare, che la forza messa in campo•dai comunisti fu straordinaria e che pagarono alto il costo di quella lotta con la galera, le torture , l’esilio, Insomma voglio dire che il peso della resistenza italiana gravò sui conunisti come gravarono sui comunisti sovietici il peso di 20 milioni di morti caduti •per difendere l’idea dell’Europa. come nel Manifesto di Ventotene. E tutta l’opera di ricostruzione dell’Italia fu seguita passo passo dal PCI a difesa della democrazia e della libertà su cui poggiava la Costituzione italiana. iI pericoli che i comunisti dovettero sventare furono numerosi a partire dalle politiche del ’48 e poi del ’53 quando con una legge elettorale farlocca (senatore Parrini , ci trova affinità con l’avventuriero di Rignano che impose per due volte la fiducia su una legge di natura parlamentare , con la cacciata di alcuni membri delle commissioni che si opponevano al disegno del Renzi d’Arabia?) la Dc tentò di stravolgere la Costituzione. E malgrado le invasioni di Ungheria e della Cecoslovacchia, il PCI cresceva con maggiore impulso a partire dalle elezioni amministrative del ’75 e nelle politiche del ’76. Mi sia consentito un ricordo personale: da studente universitario fuori sede tutti i fine settimana andavo al golf dell’Ugolino a fare il caddy, Quel fine settimana al golf non c’era nessuno, tutti i numerosi imprenditori erano a Ventimiglia! Concludo: fino al 1992 da Mosca arrivavano i rubli nella banca vaticana dello IOR. I soldi venivano cambiati ed inviate alle federazioni che pagavano i funzionari con il contratto dei metalmeccanici. Ho scritto molto, non posso continuare se non per dire che dopo anni di militanza sin dall’Università sono rimasto fedele ai miei miti dell’età giovanile: Berlinguer, Ghevara, Ho chi min