Credo che sia difficile trovare un’eredità genetica del Pci, positiva o negativa che sia, nei possibili discendenti del partito che in realtà non fu mai sciolto, ma che prima cambiò semplicemente nome e poi, via via, si andò trasformando in qualcosa di non facile a interpretare. Ci si può domandare se tutto quello che è successo nella sinistra italiana dall’’89 in poi abbia portato semplicemente ad una fine per estenuazione, sia fra gli ex-militanti e i simpatizzanti del Pci, sia fra ciò che rimaneva di un gruppo dirigente che non potendosi più identificare con il partito della prima repubblica, non sarebbe mai riuscito a darsi un’identità nuova riconoscibile.
IL Pd di Zingaretti mantiene qualche eredità genetica del Pci? Forse solo nella resistenza a tutti gli urti e alla sconfinata capacità di adattamento a qualsiasi tattica di mantenimento di un vago potere, che sia raggiungibile con l’uno o con l’altro, che sia un cinque stelle o Renzi, non ha importanza?
Francamente non mi sembra che lo si possa capire, anche perché la leadership di Zingaretti si distingue più per i silenzi che per proposte visionarie del futuro.
Del resto, la discussione di quale fosse il patrimonio genetico del Pci è ancora da fare e come questo si sia più o meno tramandato fino agli esponenti attuali è tutto da vedere, ammesso che interessi a qualcuno, se non agli irriducibili nostalgici che si possono trovare in qualche segmento del mondo politico e di quello intellettuale.
Di certo c’è un fatto: quel poco di DNA riformistico che poteva esserci nel Pci non ha trovato da riprodursi in maniera utilmente visibile nella classe dirigente dei partiti post-quello di Gramsci, Togliatti etc.
I geni del riformismo, al di là delle affermazioni di circostanza dei politici della sinistra, sembrano sopravvivere solo in isole come la vostra.
C’è da sperare che si possano conservare in attesa di possibilità di riapparizione nel futuro, come talora succede.
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