Quali sono i geni utili che dalla esperienza del PCI si rintracciano nella vicenda storica italiana, contro quali vizi o derive può contribuire ancora oggi a difendere la sinistra in primo luogo ma assieme la società e la politica italiana?
Dobbiamo stare attenti quando parliamo di geni per i partiti politici. Angelo Panebianco, nel suo magistrale libro Modelli di partito, ha mostrato l’importanza del modello genetico per i partiti politici: i valori fondamentali che sono all’origine della nascita di un partito, spesso portati avanti da un leader, guidano a lungo la sua traiettoria. Ma, allo stesso tempo, i partiti politici possono cambiare parte dei loro geni originali. Questo è stato il caso del PCI. Così, dopo il 1945, il PCI, per ragioni tattiche ma anche strategiche, contribuì all’elaborazione della Costituzione della Repubblica e se ne fece uno dei più convinti difensori; in confronto, l’altro grande partito comunista dell’Europa occidentale, quello francese, non ha fatto la stessa scelta.
Negli anni ’70, il PCI ha difeso le istituzioni dagli assalti del terrorismo nero e rosso. Il Pci acquisì così gradualmente la cultura della democrazia liberale e rappresentativa, anche se nella sua base alcuni continuavano a criticare la democrazia borghese. In questo senso, lascia un’importante eredità alla sinistra italiana.
Allo stesso modo, la sua difesa delle categorie sociali più svantaggiate, operai, contadini, impiegati, ricorda alla sinistra l’imperativo di non perdere mai il contatto con quelle parti di popolo che oggi soffrono ma che non sono più le stesse del passato. Il sociologo francese Emile Durkheim ha affermato che il socialismo non è una scienza ma è soprattutto l’espressione “di un grido di dolore e rabbia pronunciato dagli uomini che più acutamente sentono il nostro disagio collettivo”.
Su un altro versante, il Pci ha pagato i suoi legami con l’URSS perché, pur avendo rivolto critiche che dagli anni ’70, non ha mai rotto con quella esperienza. Il suo modello organizzativo, esattamente e anche geneticamente derivato dal modello bolscevico, gli impedì di comprendere le nuove aspirazioni democratiche che si esprimevano in parte della popolazione italiana. Infine, il suo marxismo sofisticato, contraddistinto dall’importanza del pensiero di Gramsci, gli impedì di cogliere i profondi mutamenti della società italiana
Quali sono i geni dannosi trasmessi in eredità che hanno contribuito e contribuiscono a frenare le potenzialità ed a condizionare il ruolo e l’azione della sinistra per il cambiamento del Paese ?
Il PCI era un partito brillante, intellettualmente attraente, a tal punto che era diventato una fonte di ispirazione per parte della sinistra, comunista e non, in Europa, anche a Est tra i dissidenti che aspiravano al tempo, negli anni ’70, ad un socialismo democratico. In Francia a Sartre piaceva parlare con Togliatti quando era a Roma, e François Mitterrand negli anni ’70 e ’80 era più attratto da Enrico Berlinguer che da Bettino Craxi. Nei campus americani, il PCI suscitava entusiasmo. Geniale quindi ma incapace di comprendere i grandi cambiamenti avvenuti alla fine degli anni Settanta e Ottanta nel mondo e in Italia. E soprattutto politicamente impotente perché senza possibilità di accesso al governo nazionale. Fu solo negli anni ’90, quando il PCI non esisteva più, che gli ex comunisti arrivarono ad assumerne la guida. Tuttavia, la sua gestione del potere ha spesso deluso parte della sinistra, sia per le riforme solo in parte realizzate, sia per un modo di esercitare il potere con giochi tattici spesso incomprensibili ai cittadini italiani. Se il PCI ha acquisito la cultura della democrazia, non ha però cancellato completamente nella sinistra la sfiducia nei confronti della rappresentanza politica o la sfiducia verso lo Stato con questa presenza importante della “dietrologia” che, peraltro, , non è presente solo a sinistra. A lungo convinti della loro irriducibile differenza, convinti di essere nella direzione di marcia della storia, sicuri di possedere la verità scientifica, i comunisti hanno spesso mostrato settarismo, arroganza e un atteggiamento di sufficienza. Tipico a questo proposito è il disprezzo sociale di tanti della sinistra in Italia che lamentano quella che considerano l’incultura del popolo italiano incapace di comprenderne la correttezza delle proposte politiche. A loro vogliamo dire che c’è solo una soluzione, sciogliere il popolo, come ironicamente suggerì Berltolt Brecht dopo le rivolte del 1953 a Berlino Est. Infine, l’antifascismo, di cui il PCI ha voluto rivendicare il monopolio, è stato certamente una vera conquista democratica in un Paese che ha conosciuto vent’anni di fascismo, regime che ha lasciato tracce profonde. Ma è stato e resta sistematicamente utilizzato per squalificare avversari di destra, il che non ha permesso alla sinistra di comprendere la singolarità del berlusconismo o di cogliere ora ciò che rappresenta Matteo Salvini. Indossare gli occhiali del passato impedisce di comprendere la complessità del presente. In un certo senso, il PCI ha commesso spesso un peccato di superbia. Tuttavia, la sinistra deve ora proporre soluzioni originali per consentire all’Italia di affrontare molteplici sfide economiche, sociali, politiche, ambientali e culturali.
Guido Guastalla
Trovo molto interessante questa analisi. Nonostante Gramsci e la sua raccomandazione di conoscere l’avversario il PCI si é quasi o sempre rappresentato in avversario di comodo, incapace quindi di capire realmente i processi reali di cambiamento.. oggi la sinistra, o quello che di chiama tale, è un partito, non troppo grande, radicale di massa.