Sessant’anni anni fa, il 27 ottobre 1962 moriva Enrico Mattei, in un incidente aereo che solo recentemente è stato riconosciuto come “non accidentale”.
Mattei rappresenta nella nostra storia il simbolo di un Paese che ha raggiunto la modernità della democrazia economica attraverso tutte le luci e tutte le ombre del ventesimo secolo. Ed è questa un’ottima ragione per parlarne ancora.
Marchigiano di Acqualagna, Mattei era il secondo dei cinque figli di un brigadiere dei carabinieri convinto che “restare poveri è una disgrazia perché non si può studiare”. La povertà della famiglia e la rigida disciplina imposta dal padre lo spinsero a cercarsi presto un lavoro. Iniziò in una fabbrica come verniciatore, quindi venne assunto come garzone in una Conceria. La sua carriera fu rapida: prima operaio, poi aiutante chimico, infine direttore di laboratorio. Nel 1929 Mattei fondò con la sorella e un fratello la sua prima fabbrica: un piccolo laboratorio di oli emulsionanti per l’industria conciaria e tessile. Nel 1934 provò a diventare un vero industriale e fondò a Milano la Chimica Lombarda.
Ma la sua storia è intimamente legata a quella – estremamente attuale – dell’indipendenza energetica italiana.
A seguito della tardiva unità raggiunta, il nostro Paese, all’inizio del Novecento, si trovava svantaggiato rispetto alle altre nazioni europee, dotate di colonie che fornivano regolarmente materie prime energetiche.
Il governo fascista, negli anni Venti, mostrò grande pragmatismo, stringendo un accordo con l’Unione Sovietica per l’approvvigionamento di petrolio a un prezzo decisamente inferiore a quello imposto dagli americani. Con il paradosso che il governo fascista fu il primo nel mondo occidentale a riconoscere di fatto l’Unione Sovietica, con grande disappunto degli altri Paesi occidentali (oggi diremmo degli altri Paesi della NATO).
Sempre in quegli anni un’altra società americana, la SINCLAIR, tentò di ottenere alcuni contratti per lo sfruttamento dei giacimenti italiani in Sicilia ed Emilia, facendo un larghissimo ricorso a strumenti di corruzione. Alcuni storici sostengono che il reale movente del delitto Matteotti fu legato alla conoscenza da parte di quest’ultimo di numerosi fatti di corruzione e alla sua volontà di denunciare corrotti e corruttori davanti al Parlamento.
In questo contesto, nel 1926, venne creata l’Agip, Azienda Generale Italiana Petroli, la quale funzionò in modo alterno, sino alla sua quasi dissoluzione negli anni del conflitto mondiale.
Nell’immediato dopoguerra, su pressioni degli Stati Uniti e delle compagnie petrolifere americane, si pensò di smantellare l’Agip.
A questo compito fu chiamato proprio Enrico Mattei.
Il quale, tuttavia, ebbe un’idea geniale. Anziché concentrarsi sul petrolio, comunque scarso e fuori mercato, individuò la possibilità fornita dai giacimenti di gas. Non facevano viaggiare le auto ma permettevano il funzionamento delle industrie.
Da quel momento l’Agip, anziché essere liquidata, si rese protagonista di uno sviluppo senza precedenti, dotando il Paese di una rete di gasdotti tra le più ramificate del mondo.
Per il petrolio, invece, imitò il pragmatismo del fascismo e, grazie all’aiuto dell’amico partigiano Luigi Longo, strinse un accordo con l’Unione Sovietica per ottenere il prodotto a un costo irrisorio rispetto a quello delle compagnie petrolifere statunitensi e offrendo in cambio tecnologia per la costruzione di oleodotti e le petroliere costruite da Fincantieri.
Mattei voleva conseguire un obiettivo che riteneva fondamentale: garantire al Paese un’impresa energetica nazionale, che dal 1953 si chiamerà Eni, in grado di assicurare quanto serviva ai bisogni delle famiglie e allo sviluppo della piccola e media impresa, a prezzi più bassi rispetto a quelli degli oligopoli internazionali.
Mattei si mosse con intelligenza anche sulla scena internazionale e fu tra i primi a coltivare il rispetto delle culture diverse, avendo ben chiaro che non era possibile fare strategia internazionale senza conoscere bene i singoli territori. La diversità Eni fu per anni una sorta di eccezione, un’impresa che compiva scelte diverse da quelle della maggioranza dei suoi concorrenti. Anche per questo Mattei è stato il simbolo di un modo di pensare l’Italia talmente visionario da riuscire a trasformare una nazione sconfitta e contadina in un Paese avanzato con una forte industria energetica.
Mattei, a capo dell’ENI, avvicinò il mondo africano e mediorientale armato di una formula di concessione (“75-25”, ossia 75 al paese produttore e 25 all’ENI) molto più favorevole per i Paesi produttori rispetto a quello delle compagnie petrolifere statunitensi. Inoltre il suo linguaggio era sintonizzato sulle parole d’ordine di tutti i giovani nazionalismi anti-colonialisti. Nacquero così gli accordi con Marocco, Iran, Libia, Tunisia e l’Egitto di Nasser.
L’Eni di Mattei divenne un operatore planetario. Il suo successo, ovviamente, era visto con grande livore negli Stati Uniti. Lo stesso avvenne in Gran Bretagna: in alcuni documenti di quegli anni del Foreign Office si legge che “l’Eni sta diventando una crescente minaccia, non solo dal punto di vista commerciale. La minaccia dell’Eni si sviluppa infatti, in molte parti del mondo, nell’infondere una sfiducia latente nei confronti delle compagnie petrolifere occidentali”.
Quando la sera del 27 ottobre 1962 l’aereo di Mattei cadde in fiamme a Bascapè, nei pressi di Pavia, furono in molti a pensare a un attentato.
Ma fu soltanto 43 anni dopo, nel 2005, che una perizia tecnica ordinata dai magistrati pavesi – sulla scorta di filoni giudiziari riguardanti fatti mafiosi – accertò che l’aereo fu distrutto in volo da un’esplosione.
Per il sostituto procuratore Vincenzo Calia il fondatore dell’ENI fu “inequivocabilmente” vittima di un attentato. L’indagine ha definitivamente dimostrato che l’esplosione che abbatté il bimotore su cui viaggiava Mattei fu causata da una bomba collocata nel carrello d’atterraggio del velivolo. Venne anche provato che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale dell’Aeronautica Ercole Savi, fu un vero insabbiamento.
Che Mattei sia stato vittima di un attentato è stato altresì ribadito nella sentenza di un processo a latere, quello per l’omicidio del giornalista Mauro de Mauro: secondo la Corte d’assise di Palermo de Mauro è stato ucciso perché stava per divulgare quanto aveva scoperto sulla morte di Enrico Mattei.
Così come Pierpaolo Pasolini fu ucciso pochi giorni prima che scrivesse il capitolo del romanzo “Petrolio” intitolato “lampi sull’ENI”, in cui avrebbe trattato dei mandanti del delitto Mattei.
Nel nostro Paese non ci si rese conto della funzione straordinaria di Mattei nella ricostruzione e nell’ascesa del Paese a grande potenza industriale.
Mattei è stato un manager che ha reso grande l’Italia per amore del suo Paese e per senso del dovere. Quanta diversità rispetto a tanti presunti super-manager attuali! Pensate che Mattei aveva disposto che il suo stipendio venisse versato al monastero delle Clarisse di Matelica, cittadina nella quale era cresciuto. Questo perché, nel suo rigore morale, riteneva possibile un minuscolo conflitto d’interessi, visto la originaria comproprietà con il fratello di una piccola azienda chimica. Cose d’altri tempi, verrebbe da dire, ma tempi certamente migliori.
Enrico Mattei rimane un simbolo per il nostro Paese. Un’Italia eternamente imperfetta, ma capace, nella sua “provincia”, di inventare grandi visioni, grandi aziende, grandi italiani. Un Paese che non si genuflette all’arroganza, che non si arrende alla corruzione, capace di una larga visione dell’interesse comune.
Un’Italia che sembra scomparsa, in una cupa rassegnazione intrisa di cinismo, nell’elogio del “così fan tutti”.
Ricordare oggi Mattei significa riscoprire valori solo apparentemente arcaici e proporre nuovamente tale visione, perché un diverso futuro è ancora possibile.
E’ sempre possibile!
Luciano
mi pare un fantasy. È Italia dei sempiterrn misteri, irrisolti per la gioia di chi può sbizzarrirsi. Su Mattei resto giudizio di Sturzo