Vorrei cominciare, in puro approccio export-led che è il più tradizionale per Prato, a parlare di esportazioni. Se uno dà uno sguardo di lungo periodo, dal 2000 ad oggi, non può non accorgersi della relativa “stagnazione” dell’economia industriale di Prato. Se poniamo uguale a 100 le esportazioni del 2000 si può vedere che il livello sta decisamente fermo o sottoquota fino al 2009 con un recupero puntuale nel 2010 e poi di nuovo fermo per gli anni successivi. Nel 2017 le esportazioni in valore di Prato sono al valore indice di 100 e quindi pressoché uguali a quelle del 2000. Nel frattempo l’andamento della Toscana e dell’Italia segnano rispettivamente valori indice pari a 160 e 170. Come dire che a Prato, a fronte di 2,6 miliardi di esportazioni registrate nel 2017 mancano quasi 1,5 miliardi per allinearsi all’andamento medio della Toscana.
Se una trentina di anni or sono fosse successa una cosa del genere la situazione in città sarebbe stata drammatica. Scrivevo infatti in una pubblicazione del 1995: “ La crisi si trascina pesantemente fino a tutto il 1990 e porta con sé l’atmosfera tipica delle aree di crisi industriale: la richiesta di interventi statali, lo scontro fra il “territorio abbandonato” e Roma ”troppo lontana” dagli interessi locali, l’intervento del Vescovo affinché il Ministro aiuti la città e le manifestazioni sindacali e di categoria per coinvolgere l’opinione pubblica a “sostegno della lotta””.
In questi anni invece non è successo nulla di tutto ciò. E quali sono allora i fatti nuovi? Il primo è quello relativo alla sviluppo dell’economia cinese che non lavora per l’estero ma per il mercato italiano. Dal tessile all’abbigliamento con una risalita merceologica frutto più della cultura e dell’atmosfera del luogo che del legame tecnico fra le produzioni tessili preesistenti e il nuovo settore dell’abbigliamento.
Il secondo è la forte terziarizzazione della città che appare ancora oggi più frutto della domanda interna al sistema locale che base di esportazione verso gli altri sistemi locali della Toscana o magari dell’Italia. Voglio cioè sostenere che la terziarizzazione di Prato è stata perlopiù diretta a rispondere all’effetto interno della città, per molto tempo forse compresso dalla forte specializzazione industriale del comprensorio e dalla vicinanza di Firenze, e non ha ancora creato una specializzazione tale da essere appetibile anche per il resto del sistema regionale e nazionale.
Questi due elementi nuovi dell’economia pratese danno il senso del cambiamento in atto e ci parlano anche della opportunità di crescita della città per il futuro. Che dipenderà appunto da tre componenti: la forte industria ancora presente che sta oramai nelle parti alte della qualità e dell’innovazione (con qualche segnale di ingresso anche in quella meccanica dei macchinari un tempo segnalata come possibile ampliamento della gamma produttiva), l’economia cinese e il terziario.
Sulla prima componente non c’è molto da dire se non quello di integrare sempre di più, per sostenere l’innovazione, l’industria, a ricerca e i servizi avanzati.
Sulla seconda occorre invece passare da un’economia marginale, sopportata dal sistema anche nei suoi elementi non sempre “regolari”, ad una economia integrata nel sistema pratese a tutti gli effetti. Integrazione economica, sociale e istituzionale. Cioè farla diventare sempre più un pezzo di economia pratese. Con i limiti e le opportunità che questa definizione pone e consente.
Sulla terza invece occorre lavorare in termini di area vasta. La vicinanza di Firenze, con alcune funzioni avanzate, penso in primo luogo alla università, ai trasporti urbani e all’aeroporto, deve finalmente consentire, dopo anni e anni di “scontro”, l’apertura di una nuova stagione di integrazione. Si tratta di costruire e progettare una città ampia, innovativa e sostenibile. Prato e Firenze possono essere un nuovo terreno di sperimentazione di nuovi modi di vivere la città. E’ forse la più importante sfida per il prossimo decennio. Non resta che di augurarci di avere gruppi dirigenti, non solo pubblici, all’altezza di questa sfida.
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