Non ho ascoltato Piketty dalla Gruber, ma ho letto il resoconto su un giornale. La solita posizione centrata sul tema della “redistribuzione” con in più la “profezia” che dopo il Covid vincerà in Europa la sinistra.
Partiamo dal secondo punto. Lasciamo stare la profezia, che si sa i marxisti non sempre c’azzeccano, e andiamo a scoprire cosa c’è dietro. E dietro c’è una “storia” che la sinistra in Italia e nel mondo ama raccontare. La pandemia ha svelato, ancora una volta di più, la crisi del capitalismo e del liberismo e ha messo in evidenza la necessità di un ruolo più importante dello Stato nella gestione della società. Il profitto delle aziende farmaceutiche, allargando e generalizzando poi il concetto all’intero sistema economico, è apparso ancora di più come un “guadagno immorale” e si è riaffacciata, come per incanto dopo l’abbandono per fallimento evidente, l’idea del superamento del capitalismo come unica via per una società più giusta e più democratica.
Intendiamoci, la pandemia ha rivelato come l’idea di uno Stato leggero, à la Nozick, e di un liberismo senza paletti, à la scuola di Chicago, hanno fallito ed invece si è posto in maniera vincente l’idea di uno Stato “capace” e di un coordinamento continentale (l’Europa per noi) e mondiale (l’Oms, l’Onu, i vari g7, g20) per gestire quei fenomeni economici, sanitari e sociali che oramai travalicano gli angusti confini degli Stati nazionali. Oramai rimasti come “bandiera politica” per i sovranisti di tutte le latitudini ma immediatamente abbandonati al primo stormir di fronda. Basta, per capire di cosa si parla, osservare l’europeismo odierno di Salvini che appare il più strenuo sostenitore dell’europeista Draghi e del suo europeista Governo.
Ma dire no allo Stato minimale e dire sì ad uno Stato “capace”, che assomiglia allo Stato innovatore della Mazzuccato ma con minori pretese, non significa affatto cedere le armi ad una sorta di nuovo “comunismo” e al prevalere negli animi, nei cuori e negli interessi della popolazione europea dei principi, dei valori e degli strumenti predicati dalla sinistra.
Il capitalismo ha dimostrato ancora una volta, specie se supportato da uno Stato “capace” (e quindi interventista quando è necessario, controllore e regolatore quando l’intervento diretto è inefficiente e sollecitatore nei confronti del mondo privato e associativo quando questo è forte e funziona), di avere tanti difetti ma di essere ancora il migliore sistema esistente. Per efficienza, capacità di innovazione e flessibilità di adattamento alle nuove situazioni.
Le Big Pharma, certo anche grazie al supporto di Stati “capaci”, hanno fatto cose impensate fino a pochi anni fa. E le tante tante imprese private nel mondo hanno dimostrato che, in tempi veramente ristretti, sono state capaci di modificare strutture e organizzazioni produttive per corrispondere alla domanda impellente di dispositivi sanitari, medicinali e altri beni di supporto alla gestione della pandemia. Resta semmai il rammarico di un tardivo messaggio “chiaro e forte” da parte delle Istituzioni pubbliche a tutti i livelli (mondiali, continentali e nazionali) su ciò che stava per accadere e sulle necessità che si sarebbero palesate da parte dei sistemi sanitari e da parte delle diverse comunità del mondo.
Quindi dopo la pandemia in Europa si sentirà un forte bisogno di Stati “capaci” che poco hanno a che vedere con lo Statalismo e con valori, più o meno rinnovati, di stampo comunista o comunitario. E per quanto riguarda la proposta di uno Stato “capace”, che non vuol dire invadente, non mi sentirei di dire che la sinistra ha maggiori carte da giocare rispetto ad una destra democratica e liberale.
E veniamo alla distribuzione, che è un tipico “pallino” di Piketty. Anche qui sgombriamo il campo dalle cose ovvie e, se ben argomentate, condivise dalla gran parte della popolazione del mondo. Negli ultimi decenni la ricchezza si è concentrata sempre di più nelle mani di una minoranza schiacciante della popolazione lasciando ai resti la maggioranza. E questo è un esito inaccettabile che deve trovare una “correzione strutturale” dentro il processo economico piuttosto che, dopo, attraverso il sistema di tassazione. Quando un giocatore di calcio ventenne dice no ad un contratto di 12 milioni di euro non è la tassazione che va cambiata ma piuttosto il processo di valorizzazione di quella risorsa.
Veniamo all’Italia. La ricchezza sta intorno ai 10 mila miliardi, per lo più immobili ma anche beni immobiliari. Il 40% della popolazione più povera detiene il 7% di questa ricchezza (con una media di 65 mila euro a famiglia) mentre l’1% della popolazione più ricca detiene quasi il 20% (con una media di 6,5 milioni a famiglia). La sproporzione è evidente. Con un sistema di tassazione della ricchezza che va dallo 0% per il 40% della popolazione fino all’1% della popolazione più ricca si potrebbe arrivare ad una entrata media di 50 miliardi all’anno. Attualmente le tasse patrimoniali sulle famiglie danno un gettito pari a 40 miliardi. Come dire, qualcosa si può fare ma a meno di “espropri proletari” non è con la tassazione che si risolvono problemi di cattiva distribuzione del reddito e quindi della ricchezza.
E allora più che guardare alla distribuzione, da cui può venire qualche contributo, magari un po’ di giustizia, ma non molto di più occorre invece puntare sulla crescita dell’economia e sulla diffusione del lavoro e dell’impresa e su un diverso processo di valorizzazione delle risorse umane e imprenditoriali.
Sulla crescita non c’è molto da dire. Il PNRR se giocato bene insieme alle Riforme può essere lo strumento per innescare un nuovo sentiero di sviluppo per il paese. Un paese dove deve rinascere la voglia di fare e di intraprendere e dove la PA deve smettere di essere un “freno”. Basta con controlli, autorizzazioni e licenze inutili e difficili da “superare” e puntare invece su poche norme e paletti da controllare e verificare con procedure ex post e con sanzioni dure per chi sgarra.
Sulla diversa valorizzazione delle risorse bisogna puntare a combattere il precariato e lo sfruttamento dei deboli, per esempio imponendo nel paese un salario minimo orario il cui rispetto non deve consentire deroghe o zone d’ombra (calmierando con defiscalizzazioni il costo dei lavoratori che svolgono funzioni ad alto valore sociale: es. badanti). E poi puntando su una formazione continua e innovativa lungo tutto l’arco della vita lavorativa e sulla facilitazione, con relativo sostegno economico, finanziario e amministrativo, per chi vuole tentare la strada della costruzione di una nuova impresa.
Queste sono le sfide per la sinistra. Non è sulla spinta di un po’ di “paura” per la pandemia e di un po’ di bisogno di assistenza per chi si sente abbandonato e solo in questa difficile fase dell’economia che si può costruire una sinistra vincente a scala europea e nazionale. Lasciamo stare i “profeti” e riscopriamo i “cultori del fare”. Come fu nel dopoguerra per una stremata e distrutta Italia.
Maria Grazia Chiappinelli
Condivido del tutto il pensiero di Mauro Grassi. Ma, purtroppo, non penso che la sinistra possa sposarlo, significherebbe rinunciare alla propria identità. Ora come ora mi sembra che l’obiettivo principale di tutti i personaggi della nostra sinistra, Enrico Letta in testa, sia proprio quello di riaffermare la propria personalità politica un po’ ingrigita, aggrappandosi, sostenendo e accentuando alcune posizioni che oggi si rivelano non solo desuete, ma addirittura dannose per quella fascia di popolazione che dovrebbero difendere. Perché continuano a comportarsi così? Mah… io penso non per stupidità, ma piuttosto per un prepotente desiderio di apparire, per un un forte egocentrismo e una notevole vanità