Prima i riformisti faranno fuori Elly Schlein e prima il PD proverà a riacquistate un po’ di cervello per aggregare forze di sinistra e moderati, e cercare così di competere al meglio con la ducetta al governo.
La quale ducetta, mentre a Tokyo assumeva la presidenza del G7, l’aver riportato la riottosa Ungheria di Orban all’ovile europeo dei finanziamenti all’Ucraina, ha acquisito a se stessa e all’Italia ulteriore credibilità internazionale, guadagnandole perfino il plauso del New York Time.
Invece la segretaria dem continua a perdere colpi, sfibrando il partito in canee ideologiche insensate e perciò perdenti.
La protesta a Roma proprio nei giorni di Sanremo contro quella che la sinistra chiama l’occupazione meloniana della Rai non poteva che franare nell’indifferenza generale e nella sostanziale apatia degli stessi media fiancheggiatori, essendo nota peraltro la pervasiva presenza del PD in tutti i gangli della televisione di stato.
In più il cancan chiassoso voluto da Schlein a Bruxelles, dove la delegazione dem ha letteralmente sfidato il sistema giudiziario ungherese sul caso Ilaria Salis, l’insegnante anarco-socialista da un anno in attesa di processo a Budapest con l’accusa di aver partecipato a un’aggressione contro militanti di estrema destra locali.
Lei si dichiara innocente, lamenta anche un indegno regime carcerario, e vederla trascinata in catene in tribunale ha sollevato in Italia un’ondata di indignazione, subito pompata da Schlein & Soci per aggredire Meloni in quanto amica di Orban.
Gli appelli della sinistra per riportare “l’antifascista” Salis in Italia si reggono in realtà solo sull’idea di azzoppare due avversari politici, Orban e Meloni compagni di sovranismo. Ma in concreto, se c’era davvero un modo per irrigidire la giustizia ungherese è stato proprio quello, rischiosissimo, scelto dalla segretaria armocromatica. Un modo che fa a pugni con un dato non aggirabile: anche in Ungheria la magistratura è indipendente e non accetterà mai pressioni sgangherate soprattutto da un pulpito straniero.
Contro Salis c’è un processo e occorre perciò aspettarne il risultato. In Italia accade lo stesso. E i detenuti sono trattati in modo identico. Le manette fanno orrore, ma nessuno arriva in tribunale in carrozza, scordato da guardie in livrea, parrucca e polpe. In genere, i più pericolosi vengono anche chiusi in gabbie con le sbarre.
Dunque per Salis l’Italia può giusto attivare una cauta azione diplomatica, chiedendo prima di tutto che sia trattata con umanità e dignità. Poi, in caso di condanna, si vedrà come arrivare a misure domiciliari.
La delusione manifestata dal padre della ragazza è comprensibile, ma che Meloni o il ministro Nordio possano dare ordini in Ungheria può crederlo solo la cervellotica testa di Elly Schlein, che condanna se stessa e il PD ad abbaiare senza alcun costrutto e a sprofondare nella marginalità.
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